LETTURA - COMMENTO - VITA
Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 17 luglio 2022, XVI Domenica T. O. - Anno C
Ama Dio, chi ascolta le parole di GesùGenesi 18, 1-10° . Salmo 14 . Colossesi 1, 24-28 . Luca 10, 38-42
LetturaSiamo ancora durante il viaggio di Gesù verso Gerusalemme. Egli ha appena riproposto ai discepoli l'autorevolezza del doppio comandamento dell'amore: amare Dio ed il prossimo. Con la parabola del buon samaritano insegna anche che nell'amore al prossimo è necessario compiere un salto di qualità, passando da un amore indirizzato soltanto verso i connazionali ad un amore offerto a tutti coloro che sono nel bisogno. Anche l'episodio narrato nel brano odierno si collega alla domanda posta a Gesù dal dottore della legge (Lc 10,25) e quindi al doppio comandamento dell'amore.
Lc 10, 38-4238Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò . 39Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. 40Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: "Signore, non t'importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti". 41Ma il Signore le rispose: "Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, 42ma di una cosa sola c'è bisogno . Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta".CommentoGesù, entrato in un villaggio, è accolto nella casa di Marta. Colpisce la sottolineatura data da Luca a questa figura femminile, la quale evidentemente, pur avendo una sorella di nome Maria, esercita un ruolo di preminenza nella gestione della casa attraverso la dedizione ai molti servizi. Si tenga conto che a quel tempo le donne non potevano leggere la Torà ed erano esonerate dal partecipare alle assemblee liturgiche nelle sinagoghe o nel tempio. In questo modo Gesù non solo diventa esempio delle istruzioni date precedentemente ai discepoli (i Settantadue), in cui invita ad accettare l'ospitalità nelle case dove si è accolti, ma indica anche che nel popolo ci sono delle categorie di persone come le donne, abitualmente emarginate, da amare e da accogliere come prossimo. Anche Maria viene presentata con sottolineature specifiche. Era seduta ai piedi di Gesù ed ascoltava la sua parola. Tali aspetti di Maria rimandano al modello del discepolo del Signore ed invitano il lettore, cioè il cristiano, a fare propri gli atteggiamenti di Maria. Il punto decisivo del racconto è costituito dalla domanda rivolta da Marta a Gesù come conseguenza del comportamento di Maria: "Signore, non ti importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti". Marta, donna generosa, intraprendente, energica, che si è fatta in quattro per accogliere Gesù e tutta la comitiva dei discepoli, garantendo loro un servizio accurato e preciso, ora rimprovera Gesù perché, trattenendo Maria con lui, sembra non aver riguardo nei confronti suoi e della sua opera. Fa pensare la reazione di Marta perché rivela due aspetti di un unico problema sempre presente nei discepoli: come deve essere il rapporto con Gesù Cristo delle persone attive e molto impegnate e come trovare equilibrio tra dimensione contemplativa ed attiva della vita. Gesù risponde alla provocazione di Marta dapprima riprendendola simpaticamente non tanto del servizio che sta svolgendo, quanto piuttosto dell'ansia, dell'agitazione e dell'affanno con i quali ella fa le cose. Poi Gesù afferma che una sola è la cosa di cui c'è bisogno e cioè ascoltare le sue parole. Gesù non vuole in questo modo creare una graduatoria di importanza tra l'agire ed il contemplare, egli invece insegna che tutte le situazioni di vita sono riuscite nella misura in cui si pone a loro fondamento l'ascolto della sua Parola e la comunione di vita con lui. Tutti devono avere nell'ascolto della parola di Gesù la parte migliore della loro vita, che non può essere mai trascurata.
Gesù accolto nella casa di Marta e Maria insegna che anche tra i connazionali vi è un prossimo da amare: coloro che abitualmente vivono ai margini della società. Insegna anche che in ogni scelta di vita occorre porre a fondamento l'ascolto delle sue parole, secondo l'icona di Maria che stava seduta ai suoi piedi. Come Gesù ha introdotto una novità riguardo all'amore del prossimo, egli perfeziona pure l'amore per Dio. Questo diventa vero per il cristiano ed è vissuto con tutto se stessi quando si ascoltano le parole di Gesù Cristo.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTUREAnche nella prima lettura, come nel vangelo, si parla di ospitalità. Abramo, che siede alle Querce di Mambre, accoglie presso di lui il Signore che gli appare sotto le sembianze di tre uomini. Dapprima egli si prostra fino a terra davanti al Signore, invitandolo a fermarsi presso di lui e a non passare oltre, e poi in modo attivo e generoso, prepara una adeguata accoglienza. Non penso sia una forzatura vedere in Abramo riassunti sia gli atteggiamenti di Marta come quelli di Maria davanti a Gesù. Il Signore, prima di partire, promette ad Abramo che Sara sua moglie avrà un figlio. É evidente l'insegnamento conseguente! Come Maria anche Abramo ha scelto la parte migliore, questa non gli viene tolta ed è per lui benedizione e fonte di fecondità. La seconda lettura aiuta ad approfondire in chiave cristiana il discorso precedente. Chi accoglie il Signore Gesù Cristo nella vita, ascoltando la sua parola, è chiamato anche a partecipare alla sua passione per il bene della Chiesa. Tutto questo risulta indispensabile per essere degli evangelizzatori che realizzano veramente il ministero ricevuto da Dio e che con sapienza sanno annunciare Cristo affinché ciascuno sia perfetto in lui.
La vita(per continuare il lavoro nella riflessione personale)
Cerchiamo ora di interagire col testo del vangelo e chiediamoci:
- Quale parte del vangelo letto (in tutta la sua ampiezza) e commentato mi ha colpito di più e perché?
- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con quanto il vangelo ci comunica? Individuare almeno un punto su cui lavorare.
- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è un contributo che io posso dare, per diffondere il vangelo o per realizzarlo, che mi è stato ispirato dal vangelo letto e meditato?
(scegliere un impegno da vivere nella settimana)
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Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 10 luglio 2022, XV Domenica T. O. - Anno C
É prossimo chiunque ha bisognoDeuteronomio 30, 10-14 . Salmo 18 . Colossesi 1, 15-20 . Luca 10, 25-37
LetturaDopo aver inviato i Settantadue in missione, con degli obiettivi e delle strumentazioni ben determinate, Gesù loda il Padre perché il mistero della redenzione e della salvezza procedono nella storia dell'umanità non secondo sapienza ed intelligenza umane, ma con sapienza divina. Questa consiste nella rivelazione che Dio fa di sé a coloro che, anche se ignoranti, sono disponibili a camminare con lui. La pericope odierna aiuta a capire come si deve vivere per essere degni della rivelazione divina.
Lc 10, 25-3725Ed ecco, un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: "Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?". 26Gesù gli disse: "Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?". 27Costui rispose: "Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso". 28Gli disse: "Hai risposto bene; fa' questo e vivrai".29Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: "E chi è mio prossimo?". 30Gesù riprese: "Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. 32Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. 33Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. 34Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. 35Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all'albergatore, dicendo: "Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno". 36Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?". 37Quello rispose: "Chi ha avuto compassione di lui". Gesù gli disse: "Va' e anche tu fa' così".CommentoIl racconto inizia presentando l'intervento di un dottore della legge, il quale chiede a Gesù che cosa deve fare "per ereditare la vita eterna". Il testo dice anche che la domanda tende a "mettere alla prova Gesù". Egli non risponde e richiede al suo interlocutore di risolvere lui stesso il quesito posto, in base a quanto conosceva della legge. Il dottore della legge cita a questo punto il doppio comandamento dell'amore: "Amerai il Signore Dio tuo... e il prossimo tuo come te stesso". Il duplice comandamento è considerato da Gesù come un riassunto dell'antica legge, per questo se uno lo mette in pratica ha la vita. Emerge però tra le righe, tenendo conto anche di altri passi lucani, che il doppio comandamento non è qualcosa di caratteristico di Gesù. Egli infatti ha insegnato l'amore che deve arrivare fino all'estrema conseguenza di accogliere anche il nemico. Da un'altra domanda posta a Gesù dal dottore, il quale voleva giustificarsi perché non aveva messo in pratica la legge, emerge l'interesse particolare dell'evangelista Luca, che vuole determinare chi sia il prossimo. Secondo il doppio precetto dell'amore, prossimo è il connazionale che appartiene allo stesso popolo di Dio e che va amato come se stesso. La risposta di Gesù sulla questione del prossimo va oltre la tradizione religiosa ebraica e dà una sua indicazione specifica. La parabola di Gesù presenta un uomo che, tornando dal tempio di Gerusalemme, viene aggredito dai briganti. Per la stessa strada passano anche due connazionali, prossimi per eccellenza: un sacerdote ed un levita. Costoro, pur vedendo lo sfortunato pellegrino, passano oltre perché le leggi di purità impediscono loro di avvicinarsi ad un ferito. Il samaritano, straniero e a volte ostile agli ebrei (poco prima i samaritani avevano rifiutato l'ingresso di Gesù in un loro villaggio proprio perché era ebreo), ha compassione dello sventurato e lo soccorre con grande generosità. L'ultima domanda di Gesù e la risposta data dal dottore della legge fanno capire chi è il prossimo per Gesù. Prossimo è colui che è nella necessità e nei confronti del quale si prova compassione nel senso di partecipazione piena alla sua situazione. Anche Gesù, davanti all'uomo bisognoso, prova sempre compassione. Infine la pericope liturgica si chiude con le parole di Gesù che invitano a passare rapidamente alla fase operativa: "va e anche tu fa lo stesso".
Conclusione. Gesù invita con una parabola a completare l'idea di amore per il prossimo presente nei suoi interlocutori. Poiché prossimo per Gesù non sono soltanto i connazionali ma tutte le persone che sono nel bisogno, anche gli stranieri e gli avversari, l'amore evangelico per il prossimo è quello che viene offerto indistintamente a tutti. La compassione o solidarietà per chi versa nella necessità non chiede ai cristiani soltanto delle disquisizioni accademiche, ma invita ad acquisire celermente una prassi adeguata.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTUREIl testo del Deuteronomio, della prima lettura, invita ad obbedire alla voce del Signore, Dio d'Israele. Chi mette in pratica la legge approda necessariamente alla conversione di tutto se stesso al Signore Dio. Il comando dato dal Signore interseca l'esistenza del pio israelita al punto tale da essere nella sua bocca e nel suo cuore, perché egli lo metta in pratica. Gesù, nel vangelo, chiede ai suoi discepoli di superare la legge dell'amore al prossimo, inteso come connazionale, per essere disponibili ad amare tutti coloro che sono nella necessità. Questa situazione fa le persone prossimi e suscita solidarietà autentica. É Gesù Cristo, dice Paolo, "immagine del Dio invisibile e generato prima di ogni creatura", il fondamento di ogni comunione. Le diversità tra gli individui esistono ed i conflitti spesso sono inevitabili. Soltanto per mezzo di Gesù Cristo si può sperimentare di far parte dello stesso corpo pur nella diversità, si arriva alla riconciliazione vera anche se con posizioni o vedute diverse, si è capaci di solidarietà e di amore generoso per tutti.
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Goito 3 luglio 2022, XIV Domenica T. O. - Anno C
Tutti i discepoli sono degli evangelizzatoriIsaia 66, 10-14 . Salmo 65 . Galati 6, 14-18 . Luca 10, 1-12.17-20
LetturaAll'inizio del viaggio di Gesù verso Gerusalemme, Luca, unico tra gli evangelisti, inserisce il racconto di invio in missione dei Settantadue discepoli. Occorre premettere che in 9, 1-6 il testo ha già presentato Gesù che associa alla sua missione i dodici. Essi, mandati dal maestro e da lui assistiti, anticipano un'esperienza che li qualificherà dopo la Pasqua. Vediamo ora da vicino il testo di Luca.
Lc 10, 1-12.17-201Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. 2Diceva loro: "La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! 3Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; 4non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. 5In qualunque casa entriate, prima dite: "Pace a questa casa!". 6Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. 7Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all'altra. 8Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, 9guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: "È vicino a voi il regno di Dio". 10Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: 11"Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino". 12Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città...17I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: "Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome". 18Egli disse loro: "Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. 19Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. 20Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli".CommentoIl racconto inizia presentando Gesù che solennemente sceglie e manda Settantadue discepoli. Chi sono questi Settantadue? e perché un nuovo invio? Si è pensato che l'invio dei Settantadue sia una prefigurazione della missione universale a tutte le genti, mentre l'invio dei Dodici, presentato precedentemente (Lc 9,1-6), rappresenterebbe l'incarico per la missione verso Israele. Sicuramente il numero dei Dodici rimanda a quello delle dodici tribù e quello dei Settantadue ricorda i settanta anziani che, con Nadab ed Abiu, sono presenti accanto a Mosé nel momento della fondazione del popolo d'Israele (Es 24,1.9). Di conseguenza, allora, i settantadue inviati da Gesù, come i dodici, sono mandati anch'essi a Israele, il quale è, durante il viaggio, oggetto particolare dell'attenzione del maestro. Infine la nuova missione sottolinea che tutti i discepoli devono sentirsi degli evangelizzatori. Li manda "a due a due" perché così possono facilmente difendersi da eventuali pericoli e soprattutto le loro parole hanno un valore più decisivo, in quanto convalidate dalla testimonianza dell'altro discepolo. Il loro compito sarà di preparare la venuta del Signore, cioè del regno di Dio. Ma come va realizzato tutto questo? Prima di affidare ad essi le adeguate istruzioni per la missione Gesù fa due considerazioni preliminari: gli operai sono pochi, rispetto alla messe abbondante, e gli inviati si presentano come agnelli in mezzo ai lupi. Il numero degli evangelizzatori è sempre esiguo rispetto alla moltitudine dei destinatari a cui sono mandati. Tale coscienza li fa crescere in un atteggiamento di umiltà e di dipendenza dal maestro. Infatti continuamente devono chiedere che il Signore mandi altri evangelizzatori. Essi vanno anche inadeguati, rispetto al compito da svolgere e sono disorientati ed impauriti come agnelli tra i lupi. Anche ciò li porta a confidare non nei propri mezzi o possibilità, ma nella potenza del Signore. Le istruzioni per il viaggio date da Gesù sono conseguenti alle premesse fatte. All'evangelizzatore è vietato portare l'equipaggiamento per il viaggio (borsa, bisaccia e sandali) e per la strada non deve fermarsi a salutare nessuno. Queste prime indicazioni sottolineano la completa dipendenza del missionario cristiano non dai mezzi, ma dalla missione stessa e dal Signore, e l'urgenza dell'annuncio del Regno, per il quale nulla deve distrarre. L'ingresso in una casa o in una città, deve avvenire con estrema semplicità e naturalezza: si mangi, si predichi, si guarisca senza sfruttare la situazione. Quando non si è accolti, il comportamento sia ugualmente naturale e semplice: senza irrigidirsi ci si allontani da quei luoghi denunciando la gravità della loro scelta. Il gesto di scuotere la polvere dai calzari richiama quello dell'israelita che, di ritorno da terre pagane, si purifica prima di rimettere piede sulla terra santa. Quando i Settantadue ritornano dalla missione, la gioia che li caratterizza è il segno che le indicazioni ricevute da Gesù hanno funzionato. Infine la missione di Gesù e quella degli evangelizzatori è finalizzata all'annientamento definitivo di satana, affinché i nomi di tutti siano scritti nei cieli. Chi partecipa alla missione dell'evangelizzazione, non deve temere perché nulla lo danneggerà.
Tutti i discepoli di Gesù sono invitati ad essere degli evangelizzatori. La loro forza non sta nei mezzi materiali ma in una fiducia incondizionata nel maestro. Chi con umiltà si colloca in tale dinamica sperimenta la gioia e l'efficacia della missione evangelizzatrice, non subisce danni e contribuisce efficacemente alla salvezza di tutti.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTURELa missione di evangelizzare gli uomini è presente con diverse prospettive nelle letture di questa domenica. Gesù manda i discepoli ad evangelizzare e tale esperienza è parte costitutiva dell'identità del cristiano. Paolo, nella seconda lettura, sottolinea che la radice, il fondamento, la vitalità dell'annuncio sta "nella croce del Signore nostro Gesù Cristo". É la croce che fa nuove creature, che trasforma il mondo, che rende liberi dalle tradizioni. La croce abbracciata dall'evangelizzatore produce le stigmate, cioè i segni fisici riscontrabili come conseguenza delle difficoltà e delle fatiche vissute nella missione. La prima lettura indica l'atteggiamento con cui va vissuta l'evangelizzazione. Come una madre, occorre offrire a tutti la ricchezza dei doni ricevuti affinché si delizino di tale abbondanza. É necessario investire senza misura nell'annuncio e tale opera dovrebbe essere come un fiume che scorre copioso di acque. Dio infatti si è comportato così e la sua mano sarà con i suoi servi che seminano con abbondanza.
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Cerchiamo ora di interagire col testo del vangelo e chiediamoci:
- Quale parte del vangelo letto (in tutta la sua ampiezza) e commentato mi ha colpito di più e perché?
- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con quanto il vangelo ci comunica? Individuare almeno un punto su cui lavorare.
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Goito 26 giugno 2022, XIII Domenica T. O. - Anno C
La vocazione va realizzata con decisione1Re 19,16b.19-21 . Salmo 15 . Galati 5, 1.13-18 . Luca 9, 51-62
LetturaCon Lc 9,51 inizia la parte centrale della narrazione lucana, chiamata la sezione del viaggio verso Gerusalemme. L'evangelista presenta così Gesù che, in modo deciso, va verso il compimento della sua missione. Durante questo itinerario egli è impegnato particolarmente ad istruire i suoi ascoltatori e tra questi occupano un posto privilegiato i discepoli.
Lc 9,51-6251Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, egli prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme 52e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l'ingresso. 53Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. 54Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: "Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?". 55Si voltò e li rimproverò. 56E si misero in cammino verso un altro villaggio. 57Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: "Ti seguirò dovunque tu vada". 58E Gesù gli rispose: "Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo". 59A un altro disse: "Seguimi". E costui rispose: "Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre". 60Gli replicò: "Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va' e annuncia il regno di Dio". 61Un altro disse: "Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia". 62Ma Gesù gli rispose: "Nessuno che mette mano all'aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio".CommentoIl brano si apre richiamando la prospettiva del compimento: "mentre stavano compiendosi i giorni...". Per Gesù sta compiendosi la vicenda storica, che è indicata nel testo con l'espressione "sarebbe stato elevato in alto". Il significato del termine greco è proprio nella linea di "assunzione". Gesù allora sta portando a compimento la sua vicenda storica, la quale però si prolunga, attraverso il mistero pasquale, culminando nella risurrezione e nell'ascensione in cielo presso il Padre. Egli parte con un atteggiamento molto determinato che è descritto dalla espressione: "egli prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme". Ancora una volta la traduzione liturgica, usando l'espressione "prese la ferma decisione", riduce la plasticità ed il significato del termine originale; esso è da rendere invece con: "rese dura la sua faccia". Gesù, intravedendo il compimento della sua missione, che si sarebbe realizzata a Gerusalemme, secondo le modalità dette precedentemente, intraprende il suo viaggio con l'atteggiamento indicato da Isaia: facendo dura la sua faccia come pietra (Is 50,7). Il primo episodio raccontato è il rifiuto di Gesù da parte di un villaggio di samaritani. Costoro sono considerati degli stranieri e, quando sanno che Gesù è diretto verso Gerusalemme, gli impediscono di passare dal loro territorio. Come a Nazaret, Gesù viene rifiutato dai suoi concittadini, così ora non è accolto anche dagli stranieri. Ma la reazione di Gesù non è di rinuncia e, come a Nazaret, insiste nuovamente sulla sua missione, avviandosi "verso un altro villaggio". Colpisce la reazione di Giacomo e Giovanni. Essi suggeriscono a Gesù un atteggiamento che evoca quello di Elia (2Re 1,2-17). Il rimprovero di Gesù, mentre sta camminando precedendoli, sottolinea l'inadeguatezza del loro intervento e la diversità dei suoi atteggiamenti rispetto a quelli assunti dagli antichi profeti. Il racconto continua presentando situazioni di vocazione e detti di Gesù sul discepolato. Chi segue Gesù "non ha dove posare il capo", cioè incontra sicuramente difficoltà e procede senza sicurezze materiali. Ai discepoli è anche chiesto di porre all'apice di tutto la necessità e l'urgenza dell'annuncio del regno di Dio. Questo prevale su tutto, anche sulle necessità derivanti dai rapporti affettivi e sulle regole di carattere religioso.
Gesù, sostenuto dalla tradizione biblica, va risoluto verso Gerusalemme, dove si compie per lui la missione nella passione, morte, resurrezione e ascensione. Chi incontra Gesù, o lo segue o lo rifiuta. Coloro che lo rifiutano per il momento non vengono giudicati né condannati, ma per chi lo segue si impone con urgenza la necessità di mettere in conto le prove e la mancanza di qualsiasi sicurezza, e di collocare il servizio al regno di Dio all'apice di tutto.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTUREIl tema del discepolato interseca le tre letture odierne. Gesù nel brano evangelico non solo diventa modello del discepolo, che tra le difficoltà procede deciso verso la meta della usa vocazione, ma da anche istruzioni per vivere adeguatamente il discepolato. Chi vive in questo modo sperimenta la libertà descritta da Paolo nel passo della lettera ai Galati. Tutti i cristiani sono chiamati a libertà. Questa si raggiunge nella misura in cui si cammina secondo lo Spirito, il quale porta a realizzare la vocazione di ciascuno. La ricerca di sicurezza, di protezione affettiva, di esoneri dalle prove, fanno parte dei desideri della carne e quindi sono da evitare. Questa è stata l'esperienza di Eliseo, come leggiamo nella prima lettura. Egli, chiamato ad essere profeta attraverso il gesto simbolico compiuto da Elia che gli getta addosso il suo mantello, lascia tutto e segue con decisione la sua vocazione.
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- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è un contributo che io posso dare, per diffondere il vangelo o per realizzarlo, che mi è stato ispirato dal vangelo letto e meditato?
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In Vescovo Marco ha nominato don Jonathan Vicario Parrocchiale di Asola, con l'incarico di docente IRC presso l'istituto superiore "G. Falcone" di Asola.
Mentre nomina nuovo vicario della nostra Unità pastorale "Madonna della Salute" don Marco Sbravati.
Le nomine saranno effettive dal primo settembre.
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Goito 19 giugno 2022, Corpus Domini - Anno C
Eucaristia: il corpo ed il sangue di Cristo per tuttiGenesi 14, 18-20 . Salmo 109 . 1 Corinzi 11, 23-26 . Luca 9, 11b-17
LetturaI dodici, che fino a questo punto hanno accompagnato Gesù nel suo ministro, ora ricevono da lui il suo stesso potere e sono mandati a proclamare il Regno di Dio (9,1-6). Al ritorno dalla loro missione gli apostoli raccontano a Gesù tutto ciò che avevano fatto. Essendosi ritirati a Betzaida, sono subito raggiunti dalla folla, che Gesù accoglie, parlando del regno di Dio e sanando "quanti avevano bisogno di cure". Così siamo introdotti nel brano di questa domenica.
Lc 9, 11b-1710Al loro ritorno, gli apostoli raccontarono a Gesù tutto quello che avevano fatto. Allora li prese con sé e si ritirò in disparte, verso una città chiamata Betsàida. 11Ma le folle vennero a saperlo e lo seguirono. Egli le accolse e prese a parlare loro del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.12Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: "Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta". 13Gesù disse loro: "Voi stessi date loro da mangiare". Ma essi risposero: "Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente". 14C'erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: "Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa". 15Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. 16Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. 17Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.CommentoIl racconto inizia presentando il giorno che declina ed i dodici indaffarati a convincere Gesù perché congedi la folla che deve cercarsi viveri ed alloggio nelle borgate vicine. L'iniziativa presa dai dodici risulta notevolmente ingenua, se confrontata col numero dei presenti: "circa cinquecento uomini". Nessuna località infatti avrebbe potuto ospitare tutta quella gente. La proposta diventa però emblematica della risposta che spesso è data dai dodici e dai discepoli ai bisogni concreti delle persone in cammino con Gesù. A questo punto il maestro interviene sconvolgendo le prospettive ed i progetti: "voi stessi date loro da mangiare". I discepoli più vicini a Gesù, restano sconcertati da queste parole, cercano di capirne il senso e balbettano in risposta qualche frase: "non abbiamo che cinque pani e due pesci" e "andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente". Evidentemente non avevano colto il significato specifico delle parole di Gesù e lui è quindi costretto a prendere direttamente l'iniziativa: "disse ai discepoli: «fateli sedere per gruppi di cinquanta circa»". I discepoli fanno eseguire le indicazioni date dal maestro. Il racconto è al suo culmine e Gesù, come ogni capofamiglia, compie quanto è prescritto prima del pasto: ringrazia Dio con la benedizione, spezza i pani ed i pesci e li distribuisce ai commensali. É evidente che il v. 16 non è soltanto la memoria di quanto Gesù attuò quella sera in Palestina, ma per la Chiesa esso anticipa e richiama la prassi liturgica della cena eucaristica. I gesti di Gesù, che prende il pane, alza lo sguardo al cielo, per esprimere la comunione col Padre, pronuncia la benedizione sui pani e sui pesci e spezza i doni, rimandano al contesto eucaristico. Ancora una volta Gesù coinvolge direttamente i discepoli. Dopo aver spezzato i pani "li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla". I temi della sazietà e dell'abbondanza, con i quali si chiude il racconto, sono segni dei tempi messianici e della realizzazione piena delle promesse divine.
Il racconto della moltiplicazione dei pani e dei pesci si può leggere ad un triplice livello. Gesù interviene direttamente per soccorrere le necessità concrete delle folle, alle quali i discepoli non riuscirono a provvedere. Questo gesto del Signore è stato visto subito come prefigurazione dell'istituzione eucaristica e della sua celebrazione nella Chiesa. La Chiesa, quando celebra l'Eucaristia, invita i discepoli a rivivere la comunione con Gesù, a nutrirsi alla mensa della parola e del pane spezzato per trovare le energie che aiutino a continuare il cammino, ad essere attivi e protagonisti nei confronti dei problemi e delle necessità concrete della gente.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTUREL'Eucaristia collega le tre letture della solennità odierna. Nella prima lettura leggiamo l'episodio di Melchisedek. Egli, sacerdote del Dio altissimo, offre pane e vino benedicendo Abramo, perché ha vinto sui re d'oriente. L'offerta di pane e vino è sempre stata vista in relazione con l'Eucaristia neotestamentaria. Anche il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, compiuto da Gesù, è sempre stato letto in chiave eucaristica. Infine Paolo, nella lettera ai Corinzi, consegna l'antica formula celebrativa ricevuta dalla sua comunità. Il testo paolino sottolinea che il sacramento del corpo e del sangue è offerto da Gesù "nella notte in cui veniva tradito". L'Eucaristia è il dono per eccellenza lasciato dal Risorto ai suoi discepoli, ma è anche il sacramento che richiama la povertà di coloro che seguono il Signore e la crisi a cui il discepolato è soggetto nell'itinerario cristiano. Da qui ne consegue la necessità di una continua verifica e conversione dei singoli e delle comunità per partecipare degnamente all'Eucaristia. Il pane che mangiamo ed il calice che beviamo sono anche annuncio della Pasqua del Signore, "finché egli venga". Il corpo ed il sangue del Signore, di cui ci nutriamo, orientano e preparano decisamente all'incontro definitivo con lui.
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Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 12 giugno 2022, SS. Trinità - Anno C
Gesù Cristo e lo Spirito Santo conducono al PadreProverbi 8, 22-31 . Salmo 8 . Romani 5, 1-5 . Giovanni 16, 12-15
LetturaSi continua la lettura del vangelo di s. Giovanni. Siamo durante l'ultima cena e Gesù sta parlando con i suoi. Nel capitolo XVI, Gesù, dopo aver preannunciato la persecuzione dei discepoli (16, 1-4a), parla della sua partenza ormai imminente e della venuta dello Spirito Paraclito. Di questa sezione fa parte la pericope della solennità odierna.
Gv 16, 12-15
12Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 13Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. 14Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. 15Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà.CommentoIl brano si apre con la dichiarazione di incompletezza del messaggio di Gesù e con la presentazione del bisogno di cammino che i discepoli hanno ancora da compiere: "molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso". Le parole di Gesù non alludono ad una ulteriore rivelazione futura. Egli afferma che la situazione oggettiva di chiusura dei discepoli ai suoi insegnamenti, sarà superata dopo la pasqua. Solo allora essi comprenderanno quanto era accaduto ed era stato detto durante il suo ministero, ed avranno la forza di portarne tutte le conseguenze concrete. Per giungere a questa meta verrà in loro aiuto "lo Spirito di Verità", il quale li porterà ad entrare nella "verità tutta intera". La verità è Gesù; egli infatti aveva detto ai suoi di essere la verità. Il Paraclito, allora, è colui che guida verso Gesù, permette la comprensione dei suoi insegnamenti e fa in modo che si viva secondo il vangelo. Questa esperienza non era solo per coloro che ascoltavano direttamente Gesù, ma è offerta a tutti quelli che, nel corso dei secoli, incrociano sulla loro strada le sue parole. Anche in futuro lo Spirito Santo dirà ai discepoli il significato del messaggio di Gesù, che essi non sono naturalmente capaci di capire e recepire. L'opera dello Spirito è strettamente collegata con Gesù Cristo e col Padre. Egli annuncia quanto ha udito da Gesù ("prenderà da quel che è mio e vi annunzierà le cose future") e, poiché tutto ciò che è di Gesù viene dal Padre ("tutto quello che il Padre possiede è mio"), conduce alla volontà del Padre. Così l'opera dello Spirito porta a compimento la partecipazione dell'uomo alla comunione trinitaria a cui è chiamato ad accedervi direttamente. In questo modo si realizza la gloria di Gesù, cioè egli si manifesta pienamente ai discepoli ed essi lo colgono in tutto il suo splendore, non più velato da nulla. Chi vede Gesù e lo accoglie, per mezzo dello Spirito, entra anche in comunione col Padre. Gesù infatti, parlando con Filippo aveva detto: "chi vede me vede il Padre" (Gv 14, 8-9).
Tutti i discepoli sono chiamati a vivere, durante il loro itinerario storico, la comunione con la Santissima Trinità. Tale esperienza si concretizza incontrando autenticamente Gesù, che si manifesta con le sue parole, ed accogliendo il dono dello Spirito Paraclito, che porta continuamente i discepoli verso Gesù. Gesù e lo Spirito Santo conducono sempre alla comunione piena col Padre.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTURELe letture odierne potrebbero articolarsi attorno all'icona di Dio che sempre comunica se stesso agli uomini in modo sovrabbondante. La prima lettura presenta la sapienza di Dio come una realtà da lui creata: "Il Signore mi ha creato all'inizio della sua attività, prima di ogni sua opera, fin dal principio". Questo "principio" rimanda a Dio stesso e all'eternità in cui si colloca il suo mistero. Nella riflessione teologica, d'Israele prima e della Chiesa poi, la sapienza è stata sempre più identificata col Messia - Cristo. Egli, come architetto, ha collaborato con Dio alla creazione, era "la sua delizia ogni giorno " e poneva la sue "delizie tra i figli dell'uomo". La sapienza, presente nel creato, è la prima manifestazione di Dio per la vita e la gioia dell'uomo. Nel brano evangelico, attraverso il dono esplicito di Gesù Cristo e dello Spirito Santo, Dio Padre offre tutto se stesso ai discepoli del vangelo e, attraverso la loro adesione, essi partecipano direttamente al mistero della Trinità. Nel testo paolino, l'autore afferma che "per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo ... e mediante la fede abbiamo ottenuto di accedere a questa grazia". Tutto questo è però ora mescolato a tribolazioni, le quali producono pazienza, virtù provata e speranza. La speranza poi non delude e anima il cammino del credente che, avendo ricevuto nel cuore l'amore del Pdre per mezzo dello Spirito Santo, sa che un giorno parteciperà pienamente al mistero di Dio.
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Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 5 giugno 2022, Pentecoste - Anno C
Il Paraclito continua la missione di GesùAtti 2, 1-11 . Salmo 103 . Romani 8, 8-17 . Giovanni 14, 15-16.23b-26
LetturaNella solennità odierna rileggiamo parti del capitolo XIV di s. Giovanni. Gesù è a mensa con i suoi nel contesto dell'ultima cena e comunica loro gli insegnamenti che più gli stanno a cuore. Dopo aver presentato se stesso come via per giungere al Padre (14, 1-14), ora approfondisce ulteriormente la dinamica di relazione esistente tra Dio ed i suoi discepoli.
Gv 14, 15-16.23b-2615Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; 16e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, 17lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. (18Non vi lascerò orfani: verrò da voi. 19Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. 20In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi. 21Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui".22Gli disse Giuda, non l'Iscariota: "Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi, e non al mondo?". 23Gli rispose Gesù:) "Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.25Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.CommentoIl brano lega due testi in cui si parla dello Spirito Santo. Nel primo (14, 16-17) si dice che il discepolo, amando Gesù attraverso l'osservanza dei suoi comandamenti, è introdotto nella comunione d'amore trinitaria del Padre, Figlio e Spirito Santo. Nel secondo (14, 23-26) si indica ancora che l'amore del discepolo porta ad osservare le parole di Gesù. Poiché Gesù ha presentato le parole del Padre, il discepolo, che recepisce l'insegnamento del maestro, diventa di conseguenza la dimora del Padre, perché accoglie e vive la sua volontà. In entrambi i passi Gesù, per completare il rapporto d'amore tra i discepoli con lui e col Padre promette il dono del Consolatore che resti con loro per sempre. Lo Spirito Santo insegnerà ogni cosa ed opererà affinché ricordino tutto ciò che Gesù ha detto. Nel testo giovanneo lo Spirito Santo è chiamato "il Paraclito", cioè colui che viene chiamato a scendere per assistere i discepoli in difficoltà. Paraclito è lo Spirito Santo che si avvicina a chi lo invoca per essere aiutato; una specie di difensore, che si affianca ai discepoli quando sono messi alle corde ed è posta seriamente in crisi la loro vita cristiana. Paraclito è lo Spirito Santo che, come un amico, intercede e supplica Dio ed i discepoli, affinché la comunicazione tra di loro si realizzi sempre più e sia piena. Paraclito è lo Spirito consolatore, cioè lo Spirito Santo che conforta, sostiene e da speranza. Egli, prendendo il posto di Gesù, continua a svolgere tra i discepoli la missione attuata precedentemente dal maestro. Infine il Paraclito è lo Spirito Santo che istruisce e guida i discepoli, illuminandoli con le parole di Gesù, affinché siano nel mondo testimoni liberi e luminosi della verità evangelica.
Il dono dello Spirito Santo, il Paraclito dato dal Padre ai discepoli per mezzo di Gesù, porta costoro a partecipare pienamente alla comunione trinitaria. A questa sono stati ammessi attraverso le parole di Gesù e sono invitati a viverla concretamente osservando le parole del maestro ed invocando incessantemente il Paraclito.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTUREIl dono dello Spirito Santo concesso ai discepoli è la linea che collega le letture odierne. Nel testo di Atti incontriamo il racconto della discesa dello Spirito su coloro che a Gerusalemme erano radunati insieme. L'azione dello Spirito Santo rende i discepoli capaci di comunicare a tutti "le grandi opere di Dio" ed il messaggio annunciato è accolto positivamente dai loro interlocutori. Lo stesso dono dello Spirito è concesso a tutti i discepoli che amano Gesù Cristo. Essi, seguendo le sue parole, diventano dimora del Padre e destinatari del suo amore. La presenza dello Spirito nella vita del credente, afferma Paolo, fa superare "il dominio della carne", dà la vita ai corpi mortali, rende "figli di Dio" e, dopo aver partecipato alle sofferenze di Cristo, porta a condividere la sua stessa gloria. Le linee indicate da Paolo diventano la modalità concreta attraverso la quale, anche oggi, si è chiamati ad uscire dal "cenacolo", per comunicare a tutti, con passione e credibilità, "le grandi opere di Dio".
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Goito 29 maggio 2022, VI Ascensione del Signore - Anno C
Testimoni tra le genti con la forza dello SpiritoAtti 1, 1-11 . Salmo 46 . Ebrei 9, 24-28.10,19-23 . Luca 24, 46-53
LetturaLa solennità dell'Ascensione ci porta a leggere nuovamente il vangelo di s. Luca. Siamo nell'ultimo capitolo, che sembra essere organizzato in tre grandi parti, attorno al fatto della risurrezione del Signore. La prima parte (24,1-12) indica le vicende capitate al sepolcro trovato vuoto. La seconda (24,13-35) contiene il racconto dei discepoli che da Gerusalemme scendevano a Emmaus. La terza (24,36-53) conclude la prima opera lucana con la narrazione dell'apparizione del Risorto, a coloro che erano radunati nel Cenacolo, e con il racconto dell'Ascensione.
Lc 24, 46-53(44Poi disse: "Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi". 45Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture) 4
6e disse loro: "Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, 47e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48Di questo voi siete testimoni. 49Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall'alto".50Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. 51Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. 52Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia 53e stavano sempre nel tempio lodando Dio.CommentoIl brano odierno inizia con le parole di Gesù risorto pronunziate nel Cenacolo. Per comprendere meglio il testo occorre tener conto del v. 45, non riportato dalla pericope liturgica: "Allora apri loro la mente all'intelligenza delle Scritture e disse:". Dopo aver affermato che il suo insegnamento e la sua vita sono state il compimento delle Scritture (v. 44), Gesù dichiara che solo lui può rendere realmente comprensibile la Bibbia. Dopo la resurrezione, ai discepoli, che credono in lui, Gesù toglie l'incomprensione prepasquale delle Scritture e li rende capaci di cogliere fino in fondo l'evento Cristo e di viverlo in pienezza. Tutto questo ha due puniti di riferimento irrinunciabili: la passione e la resurrezione di Cristo da un lato e dall'altro la predicazione della salvezza "nel suo nome" a tutte le genti. Di conseguenza il discepolo parteciperà pienamente all'evento Cristo credendo alla sua passione-morte-risurrezione e annunciandole di rimando a tutti. D'altro canto l'evento Cristo, che è il compimento delle Scritture, non si realizzerà pienamente fino a quando "la conversione ed il perdono dei peccati" non saranno predicati a tutte le genti. Questo è lo scopo della missione della Chiesa! In tale ottica i discepoli, che hanno incontrato il Risorto, diventano i testimoni, cioè garantiscono la certezza della risurrezione e sono disposti ad accettarne tutte le conseguenze. Gesù non lascia soli i suoi e per svolgere la missione, appena indicata, da a loro in dotazione "quello che il Padre mio ha promesso", la "potenza dall'alto" che li rivestirà. La promessa consiste nel dono dello Spirito Santo che sarà l'attore principale della missione della Chiesa.
Incontriamo infine nel passo il racconto della Ascensione. Una narrazione simile si trova anche all'inizio degli Atti. Gesù, prendendo ancora l'iniziativa, porta i discepoli fuori da Gerusalemme ed in una località verso Betania (Atti 1,12 parla di "monte degli ulivi") alza le mani e li benedice. Egli non sarà più presente col corpo tra i suoi, ma la sua benedizione continua a legarli a lui e diventa garanzia della sua presenza invisibile. L'ultimo gesto di Gesù avvolge quindi pienamente i discepoli, nel tempo e nello spazio, fino al suo ritorno negli ultimi tempi. Davanti a Gesù, che benedicente si stacca da loro, i discepoli si prostrano in adorazione orante. Questo sembra essere l'atteggiamento fondamentale d'assumere davanti al mistero di Gesù Cristo, il quale, se accolto così, produce a Gerusalemme, o in qualsiasi altra città del mondo, "grande gioia" nei discepoli e costituisce la fonte inesauribile della lode perenne della Chiesa a Dio.
Gesù sale al cielo e lascia i suoi. Egli però continua ad essere con i discepoli attraverso la potenza della sua benedizione e col dono dello Spirito Santo. Costui diventerà l'anima vitale della missione della Chiesa nella misura in cui i discepoli accoglieranno, con atteggiamento orante, il mistero di Cristo nella loro vita e, con ogni strategia, lo faranno conoscere a tute le genti. La gioia diventa il segno tangibile dell'inserimento vitale nel progetto di salvezza di Dio.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTUREL'Ascensione del Signore collega le tre letture della celebrazione odierna. Il Vangelo e gli Atti riportano la narrazione dell'avvenimento accaduto fuori da Gerusalemme, forse sul monte degli Ulivi, mentre la lettera agli Ebrei presenta la realtà nella quale Cristo è giunto con l'Ascensione: "non è entrato in un santuario fatto da mani d'uomo, ... ma nel cielo stesso". Gesù crocefisso-risorto ora è presso il Padre; egli ha inaugurato per noi una via nuova ed è diventato il "sacerdote grande sopra la casa di Dio". Invita ad avere piena fiducia in lui credendo di poter entrare nel nuovo santuario, cioè al cospetto di Dio, e di poter accostarsi a lui. Perché questo si realizzi, Gesù manda lo Spirito Santo, che dà forza ai discepoli e li rende capaci di testimoniarlo in ogni luogo, fino a quando apparirà la seconda volta "a coloro che l'aspettano per la loro salvezza". I discepoli nel frattempo sono invitati a mantenere, senza vacillare, la professione della speranza, "perché è fedele colui che ha promesso".
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Veglia di preghiera per la morte di don Fausto Gavioli
Solarolo, 15 maggio 2022
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi (1,24-29)
Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa.
Di essa sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio presso di voi di realizzare la sua parola, cioè il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi, ai quali Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo ai pagani, cioè Cristo in voi, speranza della gloria.
È lui infatti che noi annunziamo, ammonendo e istruendo ogni uomo con ogni sapienza, per rendere ciascuno perfetto in Cristo.
Per questo mi affatico e lotto, con la forza che viene da lui e che agisce in me con potenza.
«Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo».
Completare e mancare sono due verbi che rimandano a una qualche necessità di tipo estetico o funzionale: non sta bene, manca qualcosa, ce lo metto e adesso sì che è bello; senza quel pezzo lì non può funzionare, lo inserisco e adesso è tutto ok, va che è una meraviglia.
Ebbene, alle sofferenze e al sacrificio di Cristo non manca proprio nulla, non necessita di alcun completamento: è pieno, perfetto, efficace, portatore di salvezza per l'intera umanità.
E allora quel "completare", non va inteso in senso estetico o funzionale, ma diventa sinonimo di compartecipare, di prendere parte, di condividere.
E di questo sì che Cristo ha bisogno: che la sua Pasqua (che è passione, croce, morte e risurrezione) non rimanga qualcosa di esterno ed estraneo rispetto all'esistenza degli uomini, che non rappresenti un fattore ulteriore o opzionale, ma che diventi parte della nostra vita, parte della nostra carne.
Dunque Cristo ha bisogno. Ha bisogno di uomini e di preti come don Fausto. Perché la condivisione fondamentale che lui ci chiede non si pone tanto sotto il segno dell'efficienza, quanto della sofferenza. Del sacrificio, della dedizione e della sofferenza.
E potremmo fermarci qui. Perché già questo è rivoluzionario, sia in rapporto a come tutti noi intendiamo la vita, sia per come purtroppo talvolta anche noi preti intendiamo il ministero o per come le nostre comunità parrocchiali quasi lo "pretendono". La sofferenza viene ben prima e vale molto più che l'efficienza.
Non si tratta infatti di un dolore fine a se stesso, di un patimento unicamente distruttivo (o auto distruttivo), ma di un'offerta, di un servizio, di un ministero a favore degli altri, della Chiesa e del mondo: "sopporto per voi", "a favore della Chiesa", "mi è stato affidato presso di voi". Le parole di Paolo non potrebbero essere più chiare.
«È lui che noi annunziamo, ammonendo e istruendo ogni uomo». Annunziare, ammonire, istruire. Se non stessimo vivendo un momento così triste, apparirebbe quasi ironico. Tre azioni che hanno a che fare con la dimensione verbale (annunciare, ammonire, istruire) e proprio don Fausto faceva una fatica terribile a parlare, a respirare, a emettere un flusso vocale a volume sufficiente alto. Ma era proprio da questo che passava il suo annuncio. Anzi, era proprio questo il suo annuncio.
Ben prima e ben più del contenuto, ben prima e ben più di quanto effettivamente dicesse. La cosa bella e fondamentale è che volesse usare fino all'ultimo respiro, fino all'ultimo alito di fiato, fino all'ultima nota di voce per proclamare il Vangelo e, quando era necessario, per rivolgere all'assemblea la sua riflessione nell'omelia. E questo non era solo commuovente, non era solo un'emozione che stringeva il cuore: questo era ed è vero annuncio, era ed è vera rivelazione.
Il poco che ho e che rappresenta il tutto che ho, il tutto che mi rimane, lo metto a disposizione di Cristo e del suo Vangelo, lo getto nel mio ministero.
"Per questo mi affatico e lotto", scrive ancora l'apostolo. Una fatica e una lotta pienamente condivise anche da don Fausto, non solo però contro la malattia e i problemi di salute che lo tormentavano sommandosi uno all'altro. Ma una fatica e una lotta vissute anzitutto per portare avanti sempre e comunque il suo servizio e il suo ministero.
Siete mai stati a San Nicolo Po? Forse stasera sono presenti anche alcuni membri di quella comunità. Ebbene, la scorsa estate mi capitava di passarci spesso durante i miei giri in bicicletta lungo il Po e il mio pensiero non poteva non andare a don Fausto. È un luogo tranquillo e pittoresco, abitato da una comunità senza dubbio disponibile, calda e accogliente, ma di certo non il posto più agevole per fare il parroco, soprattutto dopo il gravissimo incidente che lo aveva pesantemente segnato nel corpo e non solo.
Lontano dai centri principali, piuttosto isolato, con la chiesa fuori dal paese e con la facciata orientata contro l'argine del fiume. Eppure, non solo don Fausto vi ha abitato per parecchi anni, ma vi ha fatto il parroco al cento per cento, senza tirarsi indietro, senza rinunciare a nulla. Industriandosi con l'auto e con la carrozzina per andare ovunque e, ancor di più, per arrivare a tutti. Nessuno escluso.
E tutto questo, nel ministero come nella sofferenza, nell'annuncio come nella malattia, nella fatica come nel servizio, tutto questo, come scrive ancora san Paolo, solo grazie «alla forza che viene da lui e che agisce in me con potenza». Tutto questo solo grazie alla forza di Cristo.
Ricordo del presbitero mantovano don Fausto Gavioli
+ Marco Busca vescovoRispose Gesù a Pietro: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi» (Gv 21,17-18).
Con queste parole Gesù annuncia a Pietro il futuro che lo attende, ma, più in generale, sta descrivendo la parabola della vita umana. La giovinezza è la stagione primaverile, ricca di energie e di
promesse, di spazi aperti e di corse veloci; poi viene l'autunno con il declino delle forze, il ridimensionamento degli spazi e dei progetti.
Il passaggio dall'attività a una crescente passività rappresenta, per certi versi, un'esperienza di "morte anticipata". Limiti inevitabili sopraggiungono negli ultimi anni della vita di molte persone:
diminuisce il potenziale della salute, della memoria, del lavoro, delle relazioni e tutto ciò rappresenta una dura prova per noi che siamo fatti per agire, realizzare progetti, muoverci in libertà. L'infermità rende impotenti a compiere diverse azioni, mentre, giorno dopo giorno, cresce l'esperienza di dover dipendere dall'agire altrui. Imparare a rinunciare all'autonomia e acconsentire ad essere serviti da altre persone è tutt'altro che scontato. È richiesta una lotta, prima di arrivare all'accettazione di tendere le mani e lasciarsi portare, specie per quelle passività che assumono forme umilianti.
Eppure le parole di Gesù a Pietro aprono una prospettiva accettabile e persino positiva: la vita è un misto di attività e di passività, di cose decise e di cose subite e accettate. Dio opera in ogni esperienza della vita e in tutte apre una strada di fecondità. La sfida consiste nel trasformare i limiti imposti in un'occasione di maggiore comunione con Dio e con l'universo umano e cosmico. Esiste una passività virtuosa e feconda, non immediata, che bisogna intercettare e abbracciare.
L'abbiamo vista in don Fausto. L'esperienza dei limiti fisici – con tutte le conseguenze relazionali e pastorali – è sopraggiunta presto nella sua vita. Non è entrato nella trappola di pensare in retrospettiva, ripiegandosi nella nostalgia di un passato trascorso nella salute e nell'attività, ha accettato la sfida della fede e della fantasia per immaginare un ministero sacerdotale sostenibile dentro le nuove condizioni di vita. Questa fortezza d'animo è fedeltà alla missione ricevuta dal Signore, che per un prete anziano o malato si trasforma ma non viene mai meno; si è in missione fino all'ultimo respiro!
Una fortezza d'animo che è anche fedeltà a sé stessi, a quell'anelito profondo di vivere in pienezza che reagisce alla tentazione di sopravvivere in totale passività. Quando si è nelle prove, la risorsa della fede è in grado di aprire una strada nell'impossibile. La partita della fede si gioca su due parole: resistenza e resa. Più ci si arrende, nell'accettazione attiva delle vicende della vita attraverso l'abbandono fiducioso nelle mani del Padre, e più si resiste al rischio di lasciarsi andare, maledire la vita, rassegnarsi, disperarsi, ridurre al minimo il perimetro degli interessi, diventare apatici, isolarsi.
Nelle parole di Gesù a Pietro si intravvede come i limiti che dovrà sperimentare nella sua carne non gli impediranno di pascere il gregge affidato alle sue cure. Don Fausto, da uomo pensoso e profondo qual era, coltivava una coscienza chiara della sua missione sacerdotale sempre attiva, in ogni circostanza, seppure in forme differenti, magari meno appariscenti ma non meno intense. La prima volta che lo incontrai, nella canonica di Solarolo, mi raccontò con dovizia di particolari come era organizzata la sua giornata tra preghiera, lettura di libri, incontri con alcune persone che lo cercavano per dialogare o confessarsi, spostamenti in carrozzina o in macchina. Era più preoccupato di raccontarmi e convincermi di quello che poteva fare, piuttosto che dilungarsi sugli aspetti invalidanti della malattia.
Quando alcuni anni fa andai a visitarlo durante un ricovero a Negrar, mi aprì il cuore rispetto a una intuizione missionaria che gli venne all'inizio della sua "carriera" di prete ammalato. Potremmo
chiamarla una sorta di "vocazione nella vocazione", un suo carisma personale che avrebbe contrassegnato da lì in avanti il suo ministero sacerdotale. Il dono pastorale che il Signore gli consegnava era di "pregare nell'offerta per i malati che sono senza fede nelle prove. Io faccio mediazione per loro. È un'esperienza veramente grande che aiuta a maturare personalmente". Riesco a citare fedelmente queste parole di don Fausto che mi avevano impressionato e che appuntai, insieme a un altro particolare della sua testimonianza. Malato tra i malati, diceva di avere un'arma a suo vantaggio che si mostrò particolarmente efficace specie con i papà dei ragazzi colpiti da malattia. Cercava di instaurare con loro un rapporto alla pari in modo da raccoglierne gli sfoghi. Quando i tempi sembravano maturi, almeno per alcuni, li invitava a proseguire la chiacchierata in cappella e a pregare perché il Signore li aiutasse a trovare insieme qualche barlume di risposta ai tanti "perché".
Quando proposi a don Fausto di accettare l'ufficio di canonico della cattedrale reagì con grata sorpresa. Vi scorgeva il "dito" del Signore che lo chiamava ancora una volta alla missione e a cui voleva rispondere mettendo volentieri a disposizione della Chiesa mantovana tutte le sue risorse di intercessione e di offerta. Venne istituito canonico nella Solennità dell'Incoronata nell'anno 2019. Nell'omelia dissi che don Fausto rappresenta quella schiera di sacerdoti che conoscono bene il viaggio del dolore, della Via crucis. Su quella strada li attendeva un appuntamento singolare con lo Spirito Consolatore che li ha resi "paracliti" per consolare i fratelli tribolati con la stessa consolazione con cui sono stati consolati loro stessi da Dio.
Nell'ultimo periodo il corpo di don Fausto assomigliava sempre più alla fragile tenda che va disfacendosi, di cui parla san Paolo. Il lungo cammino nella tenda precaria del suo corpo infermo lo ha
fatto sospirare come sotto un peso, ma in lui non è mai venuta meno la speranza nella promessa di Dio: quando ciò che è mortale verrà assorbito dalla vita da Dio riceveremo un'abitazione, una dimora non costruita da mani d'uomo, eterna, nei cieli (cf 2Cor 5,1-2).
La morte è l'estremo Sì che il cristiano dice al Signore. La massima passività – subire la morte – diventa l'opportunità per esercitare la massima attività: restituire la vita al Padre che ce l'ha donata.
Il nostro caro don Fausto ha compiuto il suo ultimo passo dal provvisorio al definitivo, dal tempo all'eternità. Affidiamo alla terra le sue spoglie mortali sapendo che, quando il Signore verrà nella
sua gloria, riprenderà questo corpo terreno per cambiarlo in bellezza eterna. Pensiamo già don Fausto nella pienezza di vita del Regno, dove tutto da Dio si riceve e tutto a Dio si restituisce in lode e adorazione.
La sua testimonianza ci ricordi la sapienza di restare vivi sempre, anche in mezzo a molti limiti, vivi nell'offerta di noi stessi che è l'azione più nobile che esiste, l'unica che rimane per l'eternità. A noi ministri della Chiesa, don Fausto ricorda che si è preti sempre dedicati all'altare: l'altare eucaristico e i tanti altari esistenziali che la vita e il ministero ci riservano, compreso l'altare della sofferenza. Questo è il culto della nuova alleanza, conforme a quello offerto dal Figlio di Dio nei giorni della sua carne: "Vi esorto, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale" (Rm 12,1).

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Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 22 maggio 2022, VI Domenica di Pasqua - Anno C
Formati e guidati dallo Spirito SantoAtti 15, 1-2.22-29 . Salmo 66 . Apocalisse 21, 10-14.22-23 . Giovanni 14, 23-29
LetturaGesù aveva preannunciato ai suoi la sua partenza imminente. Davanti a tale prospettiva i discepoli rimasero sconcertati e tanti interrogativi sorsero in loro. L'ultimo discorso di Gesù, iniziato nel capitolo precedente, vuole essere una risposta alle difficoltà che i discepoli avrebbero incontrato dopo la sua partenza. Il capitolo quattordicesimo si apre con una nota rassicurante: "Non sia turbato il vostro cuore". I discepoli non saranno separati da Gesù, anche se per ora egli si sottrarrà dalla loro esperienza sensibile. Il suo allontanamento si rende necessario affinché nella casa del Padre siano preparati i posti per i suoi amici. Poi Gesù tornerà e porterà i discepoli con sé. In questo contesto di rassicurazione generale si trova il brano offerto dalla liturgia odierna.
Gv 14, 23-2923Gli rispose Gesù: "Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.25Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.27Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. 28Avete udito che vi ho detto: "Vado e tornerò da voi". Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. 29Ve l'ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate.CommentoPrima di tutto Gesù indica la via attraverso la quale si ha la certezza dell'amore vero verso di lui, quando la sua presenza sensibile sarà sottratta ai discepoli: "se uno mi ama, osserverà la mia parola". Chi non ama Gesù, e quindi non ha cercato un rapporto forte con lui, non ha motivazioni sufficienti per ascoltare e mettere in pratica la sua parola. L'amore a Gesù ed il legame mantenuto con lui, attraverso la sua parola, inseriscono nell'amore del Padre e rendono il discepolo la "dimora" del Padre e del Figlio. Questo può realizzarsi perché le parole di Gesù, ascoltate dai discepoli, non sono sue, ma del Padre che lo ha mandato. É una prospettiva grandiosa, ma nello stesso tempo terribile: il discepolo, per mezzo della sua scelta concreta, ha la possibilità di vivere immerso nel mistero di Dio, già nel suo cammino storico, oppure di rifiutarlo definitivamente. Perché non si realizzi per i discepoli questa seconda possibilità, il Padre manderà nel nome di Gesù lo Spirito Santo, il quale insegnerà loro ogni cosa e ricorderà tutto ciò che Gesù ha detto quando era ancora con loro. I discepoli quindi non devono temere, perché hanno dallo Spirito assistenza ed aiuto. Gesù lascia ai suoi, prima di partire, il dono della pace: "vi lascio la pace, vi do la mia pace". La pace di Gesù non si identifica con quella del mondo. Essa non consiste soltanto nell'assenza di guerra, né nella caduta di tensioni di natura psicologica, né in un sentimento di benessere generalizzato. La pace di Gesù é il dono della salvezza offerta agli uomini ed essa è attiva fin da ora. Chi accoglie la salvezza diventa anche fruitore di beni umani conseguenti: concordia, serenità amicizia e benessere. Infine Gesù invita nuovamente a non essere turbati e a non aver timore a causa della sua partenza. Il discepolo dovrebbe rallegrarsi dell'incamminarsi di Gesù verso il Padre. Questo fatto è la premessa necessaria perché Gesù possa ritornare e quindi anche i discepoli arrivare presso il Padre. Il discorso di Gesù va accolto con fede.
Gesù prepara gradualmente i suoi discepoli alla sua partenza. Egli promette di continuare ad essere con i suoi quando costoro lo ameranno, attraverso l'osservanza concreta delle sue parole, accoglieranno il dono dello Spirito Santo e della salvezza che produce la pace. I discepoli che vivono così saranno visitati anche dal Padre e diventeranno tempio della Trinità. Con la fede si entra già adesso in questo mistero di amore e ad esso si parteciperà per sempre quando Gesù tornerà e porterà noi con lui.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTUREQuando la Chiesa sperimenta problemi o difficoltà al suo interno o nell'incontro con storie e culture diverse, sorgono preoccupazione e timore perché si pensa che Gesù Cristo si sia allontanato dalla sua comunità. Anche oggi le parole rassicuranti di Gesù, con tutte le implicanze presentate dal vangelo di Giovanni, vengono affidate alla fede della Chiesa. Questa, nella visione dell'Apocalisse è la città santa, che scende da Dio risplendente della sua gloria. "Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino". La grandezza della Chiesa sta nell'essere fondata sull'Agnello (Gesù Cristo morto e risorto) e sugli apostoli. L'Agnello è poi la lampada che le dà luce e le permette di illuminare attorno a sé. Il testo degli Atti invita a considerare che a tale immagine di Chiesa vi giunge percorrendo pazientemente e con fatica le strade del confronto, del dibattito, della ricerca e della passione per la volontà del Signore. Se si superano gli interessi di parte e ci si lascia guidare dallo Spirito Santo, si diventa la città che illumina e che accoglie ogni uomo disponibile al dialogo e alla comunione.
La vita(per continuare il lavoro nella riflessione personale)
Cerchiamo ora di interagire col testo del vangelo e chiediamoci:
- Quale parte del vangelo letto (in tutta la sua ampiezza) e commentato mi ha colpito di più e perché?
- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con quanto il vangelo ci comunica? Individuare almeno un punto su cui lavorare.
- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è un contributo che io posso dare, per diffondere il vangelo o per realizzarlo, che mi è stato ispirato dal vangelo letto e meditato?
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Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 15 maggio 2022, V Domenica di Pasqua - Anno C
L'amore fa presente il SignoreAtti 14, 21b-27 . Salmo 144 . Apocalisse 21, 1-5° . Giovanni 13, 31-33a.34-35
LetturaIl brano di questa domenica è collocato nella seconda parte del vangelo di Giovanni chiamata "Libro della gloria". Qui è presentata la glorificazione di Gesù. Essa consiste nel compimento dell'"ora" della passione, crocifissione, risurrezione e ascensione. In questo modo Gesù è innalzato al Padre, per godere nuovamente della gloria che aveva con lui prima della creazione del mondo. È emblematico al riguardo l'inizio del libro: "Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine" (Gv 13,1). A questo punto Gesù ha ormai compiuto il gesto significativo della lavanda dei piedi e lo ha interpretato. Giuda, seduto a cena con loro e sedotto dal diavolo, ha già progettato il tradimento. Qui si inserisce la nostra breve pericope.
Gv 13,31-33a-34-3531Quando fu uscito, Gesù disse: "Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. 32Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. 33Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire. 34Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. 35Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri".CommentoLe parole di Gesù sono introdotte da una nota sull'uscita di Giuda dal cenacolo. Egli, con la decisione di tradire il maestro, si colloca fuori dall'orizzonte d'amore di Gesù Cristo e si allontana anche dalla comunità radunata attorno al Signore nel cenacolo. L'ultimo discorso si apre con la proclamazione della glorificazione del Figlio dell'uomo. Il titolo "Figlio dell'uomo", è per Giovanni sinonimo di Figlio di Dio. Per cui, in un movimento circolare, tutto quello che riguarda il Figlio coinvolge anche il Padre e viceversa. Di conseguenza la morte del Figlio diviene la glorificazione di Dio, perché in essa il Figlio compie per amore il comandamento del Padre. Dio a sua volta glorifica subito il Figlio, attraverso la risurrezione. Il tema della gloria si riferisce al dispiegarsi del disegno di amore di Dio sul doppio versante della morte e della risurrezione del Figlio. Il Padre chiede al Figlio il dono della vita come gesto di obbedienza e di amore. In questo modo Gesù, accogliendo la difficile e dolorosa richiesta di comunione, glorifica Dio Padre. Dio, per mezzo della risurrezione, dona a sua volta la vita al Figlio e lo glorifica svelando il significato vero della morte. Gesù annuncia poi ai discepoli che sarà ancora con loro per poco tempo. Dopo un periodo in cui i suoi non potranno incontrarlo fisicamente, senza però essere assente, egli ed il Padre torneranno da loro. Nel frattempo, cioè nella vita in questo mondo, Gesù lascia un comandamento da osservare: "che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi". Il comandamento è detto anche nuovo, però non è da intendersi come sintesi del doppio comando di amare Dio ed il prossimo già presente nella tradizione ebraica. Esso è nuovo perché scaturisce dalla nuova alleanza stipulata da Gesù e perché in lui trova la misura ed il metodo: "come io vi ho amato". Il discepolo è invitato ad amare fino a dare la vita anche per persone che non sono di fatto amabili.
Ogni peccato grave, commesso volutamente e coscientemente dai discepoli, colloca fuori dall'amore di Gesù Cristo ed esclude dalle dinamiche vitali della comunità ecclesiale. Soltanto la glorificazione del Figlio di Dio, avvenuta attraverso la pasqua, rimette in movimento nei discepoli peccatori la speranza di partecipare pienamente alla salvezza. Nel frattempo, cioè nella vita storica, essi sono invitati ad amarsi come ha amato Gesù. Questo modo di volersi bene tra cristiani, inserisce il credente nella dinamica d'amore della Trinità, diventa segno credibile che si è discepoli del Figlio dell'uomo, si pone come sfida per il mondo e continua a rendere presente nella storia il Signore Gesù.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTUREI discepoli che vivono l'amore reciproco sull'esempio di Gesù, sono portatori della novità introdotta nella storia e nel mondo dal Risorto. In questo modo si realizzano gradualmente il nuovo cielo e la nuova terra ed anche "la città santa, la nuova Gerusalemme", contemplati in visione da Giovanni e presentati nell'Apocalisse. É il comandamento nuovo, accolto dai cristiani, che da forma alla "dimora di Dio con gli uomini", rende popolo di Dio e permette a lui di fare "nuove tutte le cose". L'opera degli apostoli nei confronti delle comunità dell'Asia, descritta da Atti, è un'azione di Dio verso la realizzazione della Gerusalemme nuova. Gli apostoli del Risorto fondano comunità anche tra i pagani, perché l'appartenenza al nuovo popolo non è più per discendenza quanto piuttosto per accoglienza sincera del comandamento di Gesù. Questo però richiede ai discepoli saldezza nella fede, perseveranza nell'attraversare le tribolazioni inevitabili, comunione sincera ed appassionata con gli anziani posti a presiedere le loro comunità.
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Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 8 maggio 2022, IV Domenica di Pasqua - Anno C
Il Padre e Gesù custodiscono il greggeAtti 13, 14.43-52 . Salmo 99 . Apocalisse 7, 9.14b-17 . Giovanni 10, 27-30
LetturaNella quarta domenica di pasqua tradizionalmente campeggia la figura di Gesù Cristo pastore buono delle pecore. Nel vangelo di Giovanni l'immagine ricorre due volte nello stesso capitolo, però con contesti diversi. In Gv 10, 1-21 Gesù, dopo aver partecipato a Gerusalemme alla festa dei Tabernacoli, dialogando con i suoi avversari, si presenta ovile e pastore delle pecore. L'icona di Gesù pastore buono ritorna anche in Gv 10, 26-30. Qui Gesù è a Gerusalemme nel Tempio, in occasione della festa annuale della dedicazione. La festa, chiamata in ebraico hanukkàh, ricorre in inverno e ricorda la vittoria dei Maccabei e la riconsacrazione dell'altare e del Tempio che erano stati profanati dai dominatori stranieri. In quella occasione, mentre Gesù passeggiava sotto il portico di Salomone, sorse un dibattito con i giudei che volevano da lui una chiarificazione sulla sua identità: "se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente". Nella risposta data egli riprende la figura del pastore, precedentemente illustrata, e che ora approfondiremo nel suo contenuto.
Gv 10, 27-3022Ricorreva allora a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno. 23Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone. 24Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: "Fino a quando ci terrai nell'incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente". 25Gesù rispose loro: "Ve l'ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. 26Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. 27Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. 29Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30Io e il Padre siamo una cosa sola".CommentoAbbiamo riportato il passo evangelico dal v. 22, mentre il testo liturgico inizia dal v. 27. Occorre sottolineare il v.26 che risulta di notevole importanza per cogliere le ragioni delle parole di Gesù ed il loro significato: "ma voi non credete, perché non fate parte delle mie pecore". Gesù sottolinea che i suoi interlocutori non hanno alcun rapporto con lui e quindi la fede è assente in loro. Essi infatti non avevano riconosciuto in lui il pastore, con tutte le implicanze messianiche che ciò comportava, per questo non ascoltavano la sua voce. Le pecore vere invece ascoltano la voce di Gesù, costruiscono con lui una relazione interpersonale di conoscenza significativa e seguono decisamente il pastore. È evidente che qui il gregge sta per la comunità di Gesù, la comunità dei suoi discepoli che dopo la sua morte e resurrezione si sviluppò nella prima comunità cristiana. Per i componenti della comunità, Gesù ha dato la sua vita e con tale dono li rende partecipi della vita eterna, della vita trinitaria, fin dall'ora presente. Poiché egli è il pastore buono e non un mercenario, vigilerà affinché le pecore non vadano perdute e nessuno possa strapparle dalla sua mano. A questo punto il discorso di Gesù si collega al Padre. Egli "è più grande di tutti", quindi anche di Gesù stesso, ed è stato lui a consegnare al Figlio il gregge. Nessuno quindi potrà rapire le pecore dalla mano del Padre, perché il suo amore copre i credenti come scudo di protezione. Il ministero di Gesù diventa espressione dell'interesse e dell'amore del Padre verso la comunità cristiana. Il brano si chiude con l'affermazione solenne: "Io e il Padre siamo una cosa sola".
Le parole di Gesù chiariscono che la fede del cristiano consiste nel creare un intenso rapporto interpersonale con lui, ascoltando le sue parole e seguendolo decisamente. Egli delinea anche il suo rapporto col Padre. La profonda unità esistente tra il Padre e Gesù è all'origine del suo ministero, è la fonte della vita trinitaria concessa ai credenti ed è la forza che impedisce di essere strappati al Padre a al Figlio.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTUREIl tema che percorre le tre letture è la pastoralità che scaturisce dalla risurrezione del Signore. Esso assume due aspetti. Il primo è la figura del pastore. Negli Atti Paolo e Barnaba sono gli annunciatori posti come luce delle genti, per portare la salvezza agli estremi confini del mondo. Nell'Apocalisse l'Agnello pastore è capace di guidare alle fonti dell'acqua della vita, perché è stato immolato. Gesù, nel vangelo, è presentato buon pastore perché custodisce le pecore che il Padre gli ha dato. Il secondo aspetto è la vita eterna come frutto di ogni pastoralità compiuta. Gesù dona la vita eterna alle pecore che ascoltano la sua voce e lo seguono, perché già donate a lui dal Padre. Destinati alla vita eterna, dice Atti, sono coloro che attraverso il ministero degli evangelizzatori, si aprono alla parola di Dio e abbracciano la fede. La vita eterna, nella sua dimensione escatologica, è già vissuta concretamente nella storia attraverso il passaggio faticoso per la grande tribolazione, lavando le vesti nel sangue dell'Agnello. Questa fedeltà del credente permette di essere inserito nel dialogo tra le persone divine.
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Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 1 maggio 2022, III Domenica di Pasqua - Anno C
L'amore obbediente feconda la missioneAtti 5, 27b-32.40b-41 . Salmo 29 . Apocalisse 5, 11-14 . Giovanni 21, 1-19
LetturaIl capitolo ventunesimo di Giovanni è sempre stato particolarmente studiato dagli esegeti a causa delle anomalie presentate, rispetto a tutta la narrazione nel suo insieme. Dopo la conclusione di Gv 20,30-31, il racconto riprende nuovamente. Le prime apparizioni del Risorto si ebbero a Gerusalemme (Gv 20) mentre Gv 21 presenta delle vicende che portano in Galilea, sulla riva del lago. Quando i discepoli tornarono lì? Perché vi giunsero? Molti problemi restano aperti al riguardo. Al termine del capitolo ritorna una nuova chiusura generale dell'opera. Gv 21 si suddivide in due parti principali con una conclusione (21,24-25). Nella prima parte (21,1-14) è descritta una apparizione di Gesù collegata ad una pesca miracolosa. Nella seconda parte (21,15-23) abbiamo delle parole di Gesù riguardanti Pietro e Giovanni. La liturgia propone la prima parte e della seconda il passo riferito a Pietro.
Gv 21, 1-191Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: 2si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due discepoli. 3Disse loro Simon Pietro: "Io vado a pescare". Gli dissero: "Veniamo anche noi con te". Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla. 4Quando già era l'alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. 5Gesù disse loro: "Figlioli, non avete nulla da mangiare?". Gli risposero: "No". 6Allora egli disse loro: "Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete". La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. 7Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: "È il Signore!". Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. 8Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri. 9Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. 10Disse loro Gesù: "Portate un po' del pesce che avete preso ora". 11Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. 12Gesù disse loro: "Venite a mangiare". E nessuno dei discepoli osava domandargli: "Chi sei?", perché sapevano bene che era il Signore. 13Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. 14Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti. 15Quand'ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: "Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?". Gli rispose: "Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene". Gli disse: "Pasci i miei agnelli". 16Gli disse di nuovo, per la seconda volta: "Simone, figlio di Giovanni, mi ami?". Gli rispose: "Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene". Gli disse: "Pascola le mie pecore". 17Gli disse per la terza volta: "Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?". Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: "Mi vuoi bene?", e gli disse: "Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene". Gli rispose Gesù: "Pasci le mie pecore. 18In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi". 19Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: "Seguimi".CommentoIl racconto inizia presentando Gesù che sul lago di Tiberiade si manifestò ad alcuni discepoli. Costoro uscirono a pescare con Pietro, "ma in quella notte non presero nulla". Essi vissero un'esperienza poco incisiva e per nulla feconda: le reti infatti vennero recuperate vuote. All'alba si presentò Gesù sulla riva, ma non fu riconosciuto dai discepoli. Allora prese lui l'iniziativa di dialogare con loro, chiedendo qualcosa da mangiare. La risposta di Pietro e dei suoi compagni fu negativa; non avevano nulla da offrirgli. Forse in quel momento essi non solo avevano le reti vuote, ma erano anche senza speranza in quanto tutti i loro interessi erano soffocati dai piccoli problemi esistenziali. Furono ancora una volta le parole di Gesù a cambiare radicalmente la loro situazione. Anche se avevano concluso con un insuccesso la pesca, Gesù li invitò a gettare nuovamente le reti. Questa volta la pesca fu sovrabbondante al punto da non riuscire a tirar su la rete "per la grande quantità di pesci". La vita, il proprio servizio sociale ed ecclesiale diventano fecondi quando si realizzano non secondo i propri progetti ma in obbedienza fedele ai comandi del Signore. Solo dentro a questa logica si riesce a cogliere l'amore che Gesù ha per ogni discepolo e l'esperienza vissuta da Giovanni diventa di tutti coloro che lo seguono. La percezione dell'amore di Gesù per noi e l'esperienza che di esso si fa, portano inevitabilmente a comunicarlo agli altri, perché anch'essi incontrino il Signore: "il discepolo che Gesù amava disse a Pietro: È il Signore" e lui andò subito dal maestro. Scesi dalla barca, i discepoli vissero un'esperienza insolita: furono invitati da Gesù a consumare un pasto a base di pane e pesce arrostito. Con questo gesto Gesù insegna ai suoi che egli continua a donarsi nel segno dell'eucarestia e attraverso di essa la sua missione si prolunga nella storia. Alla missione di Gesù anche i discepoli partecipano nella misura in cui vivono seguendo le sue parole e portano a lui i risultati positivi delle loro fatiche apostoliche ottenuti nel suo nome: "Portate un po' del pesce che avete preso ora". Infine Pietro fu coinvolto profondamente da Gesù con una domanda fondamentale: "Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?". Egli rispose affermativamente, ma la domanda idealmente vuole raggiungere ogni cristiano. Dalla risposta data dipende la missione per il regno del discepolo la quale va associata sempre alla croce da portare ogni giorno. Dopo la resurrezione la relazione tra Gesù ed i suoi, si gioca in un rapporto d'amore autentico. Questo si pone alla base della chiamata e della risposta generosa da dare al Signore, ma diventa anche la condizione indispensabile per incontrare il Risorto nei segni che lui ha lasciato per noi.
La missione della Chiesa, fondata unicamente su progetti umani, resta inesorabilmente infeconda. Solo l'obbedienza fedele agli insegnamenti del risorto, garantisce frutti abbondanti. Questi però, quando ci sono, vengono dal Signore e a lui vanno riconsegnati con umiltà. La missione del discepolo e di tutta la Chiesa risulta impostata correttamente nella misura in cui è fondata in una relazione di autentico amore con Gesù Cristo.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTURELa forza del Risorto che agisce ancora, può diventare l'elemento che unisce le letture. In Atti gli apostoli, interrogati dal sommo sacerdote, trovano nella potenza della risurrezione del Signore la forza di "obbedire a Dio piuttosto che agli uomini". Tale fedeltà li porta ad accettare con letizia "di essere stati oltraggiati per amore del nome di Gesù" e ad essere testimoni per mezzo del dono dello Spirito Santo. L'Apocalisse suggerisce di non dimenticare la forza che viene dalla celebrazione cristiana del Risorto. È qui dove si incontra realmente "l'Agnello che fu immolato" e da lui si riceve la luce e la sapienza che aiutano a leggere positivamente la storia e a camminare con speranza in essa. Il vangelo indica che la missione della Chiesa produrrà frutti se essa procederà saldamente radicata nella parola del Risorto ed in un amore autentico nei suoi confronti.
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Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 24 aprile 2022, II Domenica di Pasqua - Anno C
Mandati dal Risorto!Atti 5, 12-16 . Salmo 117 . Apocalisse 1, 9-11a.12-13.17-19 . Giovanni 20, 19-31
LetturaIl brano del vangelo di san Giovanni della seconda domenica di pasqua, si colloca dopo il rinvenimento del sepolcro vuoto da parte di Maria Maddalena, di Pietro e di Giovanni e segue la prima apparizione del Risorto a Maria, che lo scambia per il giardiniere.
Gv 20, 19-3119La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: "Pace a voi!". 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: "Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi". 22Detto questo, soffiò e disse loro: "Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati".24Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25Gli dicevano gli altri discepoli: "Abbiamo visto il Signore!". Ma egli disse loro: "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo".26Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: "Pace a voi!". 27Poi disse a Tommaso: "Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!". 28Gli rispose Tommaso: "Mio Signore e mio Dio!". 29Gesù gli disse: "Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!".30Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. 31Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.CommentoIl testo presenta due manifestazioni di Gesù risorto nel cenacolo. Nella prima, avvenuta il giorno stesso di Pasqua (vv.19-23), egli entra a porte chiuse nel "luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei giudei" e li saluta donando loro la pace. Questa, unita alla visione dei segni della passione sulle mani e sul costato, genera gioia nei discepoli che vedono il Signore. Gesù poi invia i suoi e li manda a prolungare l'opera che il Padre aveva a lui affidato: "Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi". A sostegno della loro missione, il Risorto dona lo Spirito Santo e ad essi conferisce il compito di rimettere i peccati: "A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati...". Al centro del brano abbiamo la presentazione di Tommaso che, non essendo stato presente "quando venne Gesù", manifesta scetticismo ed incredulità sull'accaduto (vv.24-25). La seconda manifestazione di Gesù avviene "otto giorni dopo", quando "i discepoli erano di nuovo in casa e c'era anche Tommaso" (vv.26-31). Il Risorto, oltre ad offrire nuovamente a tutti il dono della pace, indica personalmente a Tommaso i segni della passione presenti sul suo corpo e lo invita a "non essere più incredulo, ma credente!". A questo punto Tommaso riconosce Gesù e professa la sua fede: "Mio Signore e mio Dio!". Le parole di Gesù si chiudono preannunziando la beatitudine di coloro che crederanno in lui senza vederlo di persona.
Solo con la resurrezione di Gesù, il discepolo, per mezzo della fede, può ottenere da lui la pienezza della pace e della gioia. Queste sono rese stabili dal dono dello Spirito e dalla remissione dei peccati. Anche chi è scettico o dubbioso, incontrandosi con lui, approda ad una fede vera. I doni concessi dal Signore risorto sono per tutti i discepoli che hanno fede in lui, anche per coloro che nel corso dei secoli non avrebbero incontrato direttamente il Risorto.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTURENelle letture odierne si intersecano il tema della fede e la necessità della sua testimonianza da parte del discepolo. Tommaso è l'esempio di chi ha difficoltà nel credere. Egli vuole vedere con i suoi occhi e non si fida della testimonianza di coloro che già hanno incontrato il Risorto (è una certa sfiducia nei confronti della Chiesa). Coloro che vedono i segni compiuti da Gesù Cristo e credono in lui, "pur non avendo visto" direttamente, avranno "la vita nel suo nome", cioè parteciperanno della vita eterna e della sua missione. É quanto sperimenta Pietro nella vicenda presentata dal racconto di Atti. L'apostolo, superata la crisi dei giorni della passione e morte del maestro, avendolo incontrato risorto e credendo fermamente in lui, porta anch'egli la salvezza a coloro che lo avvicinano: "perché quando Pietro passava, almeno la sua ombra coprisse qualcuno di loro". Anche Giovanni viveva un rapporto intenso col Risorto, fino ad essere esiliato "a causa della parola di Dio". Egli nell'esperienza del "Giorno del Signore" non solo ritrova una relazione più immediata con Cristo, ma riceve anche da lui una nuova missione a sostegno delle Chiese.
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Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 17 aprile 2022, Pasqua di risurrezione - Anno C
Pasqua: ricordare le parole di GesùAtti, 10, 34.37-43 . Salmo 117 . Colossesi 3, 1-4 . Luca 24, 1-12
LetturaLe donne non sono figure nuove nella narrazione lucana. Erano presenti accanto a Gesù già durante il ministero in Galilea. Anche alla passione e alla morte erano con lui: hanno pianto su Gesù e guardavano da lontano quanto avveniva sul Calvario. Con Giuseppe d'Arimatea sono andate al sepolcro e hanno visto dove veniva sepolto Gesù. Mentre aspettavano che trascorresse il sabato, hanno preparato gli aromi e gli oli profumati per onorare, con un gesto affettuoso, l'amico ed il maestro giustiziato.
Lc 24, 1-121Il primo giorno della settimana, al mattino presto esse si recarono al sepolcro, portando con sé gli aromi che avevano preparato. 2Trovarono che la pietra era stata rimossa dal sepolcro 3e, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù. 4Mentre si domandavano che senso avesse tutto questo, ecco due uomini presentarsi a loro in abito sfolgorante. 5Le donne, impaurite, tenevano il volto chinato a terra, ma quelli dissero loro: "Perché cercate tra i morti colui che è vivo? 6Non è qui, è risorto. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea 7e diceva: "Bisogna che il Figlio dell'uomo sia consegnato in mano ai peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno"". 8Ed esse si ricordarono delle sue parole 9e, tornate dal sepolcro, annunciarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri. 10Erano Maria Maddalena, Giovanna e Maria madre di Giacomo. Anche le altre, che erano con loro, raccontavano queste cose agli apostoli. 11Quelle parole parvero a loro come un vaneggiamento e non credevano ad esse. 12Pietro tuttavia si alzò, corse al sepolcro e, chinatosi, vide soltanto i teli. E tornò indietro, pieno di stupore per l'accaduto.CommentoIl racconto inizia con la notizia delle donne che "al mattino presto si recarono al sepolcro, portando con sé gli aromi che avevano preparato". Tutto era secondo la norma ed in continuità con quanto prima era accaduto; non traspariva nulla di significativo. Anche "la pietra rimossa" ed il sepolcro vuoto sembravano non suscitare reazioni particolari nelle donne. Infatti il ritrovamento della tomba vuota e l'assenza del corpo di Gesù, non erano ancora elementi capaci di suscitare la fede. Quanto le donne avevano fatto fino a quel punto, faceva parte della dimensione umana, tutti si comportavano così con i morti illustri e non emergeva la fede. A questo punto la narrazione segna una svolta decisiva: "ecco due uomini presentarsi a loro in abito sfolgorante". Costoro rivolsero alle donne una domanda di rimprovero, perché esse stavano cercando tra i morti colui che era vivo. A testa bassa e piene di paura, in quanto percepivano di essere a contatto col divino, le donne si rendevano conto che qualcosa di grande stava accadendo. Infatti gli angeli comunicarono ad esse che Gesù era vivo ed era risuscitato; tale avvenimento poteva essere compreso soltanto se si ricordavano le parole insegnate da lui durante il suo ministero: "ricordatevi come vi parlò". Ricordare significa far emergere nella vita quanto è stato sperimentato nel passato e richiamare alla memoria, approfondendolo, ciò che fu assimilato non adeguatamente. Questo modo di ricordare non è archeologia, ma attività che produce profondità e fecondità di vita perché pone in comunione col Signore. "Ed esse si ricordarono delle sue parole", cioè si innestarono con fede negli insegnamenti di Gesù, lasciandosi coinvolgere completamente. Solo così poterono ricevere l'impulso nuovo dell'evangelizzazione: "annunciarono tutto questo agli undici e a tutti gli altri". Si diventa evangelizzatori coraggiosi credendo alla parola di Gesù. Le parole delle donne non furono accolte pacificamente al punto che "parvero come un vaneggiamento". Allora Pietro corse al sepolcro e, trovatolo vuoto, restò pieno di stupore. Soltanto la memoria credente delle parole di Gesù suscita fede, da vita nuova e porta ad incontrare realmente il risorto.
Luca, scrivendo questo testo, come tutto il suo vangelo, ha presente i credenti che aderirono alla fede dopo la generazione apostolica. La fragilità della loro fede e lo smarrimento del loro pensiero possono essere superati se ricordano le parole di Gesù, cioè se poggiano la loro vita sull'insegnamento ricevuto e che è stato tramandato fino ad oggi. Anche noi siamo tanti "Teofilo" chiamati ad accogliere l'annuncio di salvezza, portato dai ministri della parola, affinché ci si renda conto della solidità degli insegnamenti ricevuti, si ravvivi l'incontro con il Risorto e si diventi degli autentici evangelizzatori.
COLLEGAMENTO TRA LE LETTURELa risurrezione di Gesù dà unità alle letture odierne. La risurrezione è l'evento decisivo di tutta la vita cristiana ed è il punto cruciale su cui la fede è messa a dura prova. Non ci sono prove e non ci sono segni su cui ancorare la fede. Resta soltanto la forza del ricordo delle parole dette da Gesù, che sono state tramandate e sono giunte fino a noi. Su questa roccia siamo chiamati anche oggi a fondare la nostra fede. È l'esperienza fatta dai primi discepoli. Essi riscaldati dalle Scritture spiegate lo hanno visto ed incontrato. Da tale esperienza trae origine l'autorevolezza dell'annuncio di Pietro, come leggiamo nella prima lettura. La lettera ai Colossesi presenta la risurrezione di Cristo mistero centrale della vita cristiana: "se siete risorti con Cristo... Voi siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio". Questo significa che il cristiano, che crede nella risurrezione di Gesù, non può soccombere sotto i suoi limiti o le sue povertà. Egli è invitato a conservare la speranza e a credere che le parole di Paolo diventeranno evento per tutti.
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Goito 10 aprile 2022, Domenica delle Palme - Anno C
Chiamati tutti ad essere in paradisoIsaia 50, 4-7 . Salmo 21 . Filippesi 2, 6-11 . Luca 22, 14-23,56
LetturaLa narrazione della passione e morte di Gesù secondo Luca, pur articolandosi seguendo lo schema caratteristico di Marco e Matteo, presenta aspetti e particolari propri. Si richiede quindi un'attenta lettura per cogliere le novità lucane. La passione costituisce l'ultima tappa del cammino di Gesù fino a Gerusalemme Qui però l'itinerario non si ferma perché, nella città santa, riprenderà il suo corso per mezzo dei discepoli che accolgono il Signore risorto. La Struttura del racconto della passione può essere cosi articolata: l'ultima cena 22, 1-38; l'agonia e l'arresto 22, 39-53, il processo giudaico 22, 54-71, il processo romano 23, 1-25; la crocefissione morte e sepoltura 23, 26-56. Ci soffermeremo soltanto sull'ultima parte, iniziando da quando Gesù viene abbandonato da Pilato alla volontà dei giudei ed è già stato crocefisso.
Lc 23, ... 33-5633Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l'altro a sinistra. 34Gesù diceva: "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno". Poi dividendo le sue vesti, le tirarono a sorte.35Il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: "Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l'eletto". 36Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell'aceto 37e dicevano: "Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso". 38Sopra di lui c'era anche una scritta: "Costui è il re dei Giudei".39Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: "Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!". 40L'altro invece lo rimproverava dicendo: "Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? 41Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male". 42E disse: "Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno". 43Gli rispose: "In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso".44Era già verso mezzogiorno e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio, 45perché il sole si era eclissato. Il velo del tempio si squarciò a metà. 46Gesù, gridando a gran voce, disse: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito". Detto questo, spirò.47Visto ciò che era accaduto, il centurione dava gloria a Dio dicendo: "Veramente quest'uomo era giusto". 48Così pure tutta la folla che era venuta a vedere questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornava battendosi il petto. 49Tutti i suoi conoscenti, e le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, stavano da lontano a guardare tutto questo.50Ed ecco, vi era un uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio, buono e giusto. 51Egli non aveva aderito alla decisione e all'operato degli altri. Era di Arimatea, una città della Giudea, e aspettava il regno di Dio. 52Egli si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. 53Lo depose dalla croce, lo avvolse con un lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia, nel quale nessuno era stato ancora sepolto. 54Era il giorno della Parasceve e già splendevano le luci del sabato. 55Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse osservarono il sepolcro e come era stato posto il corpo di Gesù, 56poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati. Il giorno di sabato osservarono il riposo come era prescritto.CommentoIl passo da noi considerato si apre con una prima scena che presenta Gesù in viaggio verso il Calvario. Nel suo cammino è circondato da personaggi che, nella narrazione lucana, diventano emblematici e ne creano il telaio portante. Dapprima incontriamo Simone di Cirene, "che veniva dalla campagna e gli mettono addosso la croce da portare dietro a Gesù". Poiché l'evangelista, rispetto agli altri sinottici, toglie la menzione della flagellazione e la scena dei maltrattamenti, il compito di Simone non è più soltanto di aiutare un condannato ridotto ormai ad una debolezza fisica estrema. Se poi si considera la sottolineatura di dover portare la croce "dietro a Gesù", sembra che Luca suggerisca al lettore di vedere in Simone l'immagine del discepolo, che porta la croce ogni giorno dietro al maestro, come lui si era espresso in Lc 9,23. Abbiamo poi "una grande folla di popolo e di donne che si battono il petto e fanno lamenti su di lui". Mentre in Marco Gesù va solo verso il suo morire, Luca lo circonda di personaggi che sono interessati a lui. Spiccano tra gli altri le donne, che col pianto manifestano Gesù Messia sofferente e sono occasione per lui di pronunciare una profezia su Gerusalemme, che lo aveva rifiutato. Infine anche due malfattori sono "condotti insieme con lui per essere giustiziati".
La seconda scena si colloca sul Calvario e lì si staglia nitidamente la figura di Gesù Cristo che, solidale con l'umanità fino al punto di essere crocefisso tra "due malfattori", offre da quella posizione il perdono a tutti ed in particolare ai nemici: "Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno". Il comportamento di Gesù è coerente fino all'ultimo con l'insegnamento da lui impartito ai suoi discepoli (cfr. Lc 6). Luca presenta la reazione di cinque categorie di persone davanti a Gesù crocefisso. "Il popolo sta a vedere", indifferente per ora, ma rispettoso. I capi lo deridono, ironizzando sulla sua pretesa messianica: "Ha salvato gli altri, salvi se stesso se è il Cristo di Dio, il suo eletto". "Anche i soldati lo scherniscono", riferendosi alla sua presunta regalità. Da ultimo è insultato da uno dei malfattori, il quale chiede a Gesù di manifestare la sua messianicità salvando tutti dal patibolo della croce. La reazione del secondo malfattore è completamente diversa da quella del primo. Dapprima egli invita il socio ad avere timore di Dio, che lì in Gesù è condannato alla loro stessa pena, e poi dichiara la loro colpevolezza e l'innocenza di Gesù: "non ha fatto nulla di male". È a questo punto che il malfattore, rivolgendosi direttamente a Gesù, invoca da lui la salvezza: "ricordati di me quando entrerai nel tuo regno". La risposta di Gesù va al di là di ogni aspettativa: "oggi sarai con me nel paradiso". Qui abbiamo un punto decisivo dell'opera di Luca e nel malfattore detto "buono" si intravede ogni discepolo. Infatti chi giunge ad incontrare Gesù, da qualsiasi storia provenga, e a lui si affida, creando una relazione interpersonale significativa e decisiva, ottiene subito la salvezza. Questa diventa definitiva per chi muore con Cristo e come lui.
La terza scena presenta la morte di Gesù che è preceduta da due segni: l'oscuramento per tre ore del sole e la scissura del velo del tempio. I segni indicano fatti straordinari che richiamano l'eccezionalità dell'avvenimento che si sta realizzando sul Calvario. Al centro sono collocate le sue ultime parole prima di spirare: "Padre nelle tue mani consegno il mio spirito". Citando il salmo 31, una preghiera di fiducia, la morte di Gesù, presentata da Luca, diventa un sereno abbandono nelle braccia del Padre. Così egli è esempio per il discepolo: di come ci si deve affidare nelle mani di Dio e di come si deve andare incontro alla morte. Davanti a Gesù morto, l'evangelista riporta nuovamente delle reazioni di persone che interagiscono con lui. Il centurione romano proclama l'innocenza del condannato, le folle tornano a casa pentite battendosi il petto, i suoi con le donne assistono da lontano e guardano gli avvenimenti. La morte in croce di Gesù produce sicuri risultati positivi in chi ha costruito una relazione interpersonale con lui. Restano esclusi per ora da questo quadro, ma non definitivamente, i capi ed il primo malfattore perché non hanno avuto l'umiltà ed il coraggio di dialogare costruttivamente con Gesù. La croce è sempre efficace per la conversione e richiede almeno un minimo di coinvolgimento personale. La su potenza è talmente grande da trasformare gli schernitori (i soldati rappresentati dal centurione) in proclamatori dell'innocenza di Gesù, la folla indifferente in un popolo consapevole dei suoi sbagli e quindi penitente ed i discepoli che, se anche hanno visto da lontano, diventeranno capaci di testimoniare il Signore.
Chi cammina con Gesù, portando ogni giorno la croce dietro a lui e perdonando come lui, entra sicuramente in paradiso. La sua morte è per i cristiani, insegnamento di come si fa ad accogliere la volontà di Dio e di come si deve morire. Per ora resta a noi discepoli il compito di entrare in profonda comunione con lui per testimoniare nella storia.
COLLEGAMENTO TRA LE LETTUREIl tema centrale della domenica, detta delle "Palme", è costituito dal dono della salvezza offerta ai discepoli che interagiscono con Gesù Cristo. L'inno cristologico della Lettera ai Filippesi delinea con chiarezza il dramma d'umiliazione ed esaltazione di Cristo Gesù, che pur essendo di natura divina, spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo per il bene di tutta l'umanità. Cristo in croce, racconta Luca, è una provocazione forte davanti alla quale non si può restare indifferenti. O ci si schiera contro oppure ci si affida a lui, come ha fatto il brigante crocifisso con lui. Chi sceglie di stare con Gesù deve essere consapevole che dovrà condividere col maestro due esperienze: portare la croce e perdonare anche i nemici. Camminando così si sperimenta già oggi il "paradiso". Tutto quanto è espresso nel racconto evangelico e nella Lettera ai Filippesi è anticipato profeticamente nel passo di Isaia. Il sevo del Signore, chiamato ad indirizzare allo sfiduciato una parola di conforto e speranza, svolge il suo ministero in ascolto fedele della Parola di Dio, affrontando con coraggio le difficoltà che s'incontrano. La contemplazione di questi misteri diventa stimolo per la vita cristiana.
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Ogni settimana si accosteranno le diverse parti del sacramento per avere maggior consapevolezza, in questo tempo liturgico, del sacramento della Penitenza.
PremessaDurante il suo ministero pubblico, Gesù ha invitato la gente a convertirsi e a credere che Dio è misericordioso e che nessun peccato è più grande della sua misericordia. Ha accolto i peccatori e ha partecipato a conviti festosi con loro, per riconciliarli con Dio (Mc 2,1-12).
Dopo la sua morte e risurrezione, il Signore ha affidato alla Chiesa il potere di perdonare i peccati nella potenza dello Spirito, come parte fondamentale della salvezza realizzata nel mistero pasquale: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi perdonerete i peccati saranno perdonati» (Gv 20,22-23).
Questa missione viene svolta innanzitutto con la predicazione del vangelo, che chiama alla fede e alla conversione, e poi con il battesimo, che cancella ogni genere di peccato. Ma, pur essendo riconciliati, i battezzati non sono immuni per sempre dal peccato; possono ancora cadervi. Ai battezzati ricaduti nella schiavitù del peccato, il Signore offre una nuova possibilità di salvezza attraverso il sacramento della Riconciliazione, quasi un secondo Battesimo o meglio "la sorella del Battesimo" (cfr. CEI, Catechismo degli adulti, 338).

Peccatori in cammino per una vita nuovaLa celebrazione del sacramento della Riconciliazione inizia quando si prende coscienza di essere peccatori. Questo avviene attraverso l'incontro con Gesù Cristo che si avvicina a noi o attraverso il vangelo, o la testimonianza di un cristiano, o con un'esperienza di vita forte. Vengono smascherati i nostri peccati e sorge in noi il disgusto per ciò che abbiamo commesso. Qui inizia a sorgere il dolore dei peccati commessi, la sofferenza per aver offeso Dio e i fratelli. Gradualmente dentro di noi nasce l'esigenza e l'inizio di una vita nuova, guidata dal Signore e non più dai peccati.
Dopo essere diventati consapevoli dei peccati e rattristati per essi, si decide di confessarli alla Chiesa attraverso il sacramento. È questo il dolore vero dei peccati che spinge a confessare al più presto i peccati commessi. Questa è la parte del sacramento che propriamente si chiama "confessione dei peccati". La confessione prevede che prima di tutto che si ringrazi il Signore per tutti i benefici e le cose belle che ha concesso a noi nel percorso della vita dall'ultima celebrazione del sacramento. Poi mediante la confessione dei peccati il penitente manifesta, con umiltà e sincerità, davanti al sacerdote confessore tutti i peccati gravi o mortali di cui si ricorda e che non ha già confessato in altra occasione. Il perdono dato da Dio con il sacramento della Riconciliazione è un perdono vero che non va richiesto continuamente per gli stessi peccati. È bene anche dire i peccati veniali che mettono in crisi la nostra vita spirituale. Tutto questo prevede l'esame di coscienza, che consiste nel confrontare la nostra vita col vangelo per vedere quanto è in sintonia con esso oppure è lontano dagli insegnamenti di Gesù.
Dopo essere diventati consapevoli dei peccati e rattristati per essi, averli confessati alla Chiesa attraverso il sacramento, avviene l'assoluzione dei peccati impartita dal sacerdote confessore. A questo punto inizia il percorso di penitenza o soddisfazione o riparazione. Il penitente è tenuto per giustizia a riparare gli eventuali danni, morali e materiali, causati al prossimo o alla società dai peccati commessi. Con questo percorso penitenziale si recupera gradualmente la piena guarigione spirituale dopo i peccati e viene restaurato il disordine che è stato causato. L'impegno penitenziale, proposto dal sacerdote e accettato dal penitente, consiste in una concreta esperienza che porta a colmare la scelta sbagliata vissuta col peccato. Se uno ha rubato restituire il maltolto. Se si sono rotte le relazioni personali, cercare la riconciliazione. Se si è danneggiato qualcuno, il creato, la società scegliere di colmare il danno procurato. A secondo dei peccati commessi si trova sempre una penitenza corrispondente. Solo a questo punto il sacramento è stato celebrato completamente e il perdono di Dio produce nel penitente adeguati frutti di grazia.
Come vivere il colloquio penitenziale? Esso si può descrivere secondo tre momenti fondamentali:
1 Il primo momento lo chiamo
"CONFESSIO LAUDIS", cioè CONFESSIONE DI LODE. Invece di cominciare la confessione dicendo "ho peccato così e così", si può dire "Signore ti ringrazio", ed esprimere davanti a Dio i fatti, ciò per cui gli sono grato.
2 Segue la
"CONFESSIO VITAE", CONFESSIONE DI VITA. Non è semplicemente un elenco dei miei peccati (ci potrà anche essere), ma la domanda fondamentale dovrebbe essere questa: "Che cosa dall'ultima Riconciliazione, nella mia vita in genere, vorrei che non ci fosse stato, che cosa vorrei non aver fatto, che cosa mi dà disagio, che cosa mi pesa?".
3 Il terzo momento: la
"CONFESSIO FIDEI", CONFESSIONE DELLA FEDE. Cioè il nostro sforzo e il proposito è unito a un profondo atto di fede nella potenza risanatrice e purificatrice dello Spirito. È deporre il nostro cuore nel Cuore di Cristo, perché lo cambi con la sua potenza. Quindi la "confessio fidei" è dire al Signore: "Signore, so che sono fragile, so che sono debole, so che posso continuamente cadere, ma Tu per la tua misericordia cura la mia fragilità, custodisci la mia debolezza, dammi di vedere quali sono i propositi che debbo fare per sostenere la mia buona volontà di piacerti". (cfr Martini)
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Goito 3 aprile 2022, V Quaresima - Anno C
Il Signore è misericordioso!Isaia 43, 16-21 . Salmo 125 . Filippesi 3, 4-14 . Giovanni 8, 1-11
LetturaGesù è a Gerusalemme. Ha partecipato alla festa delle Capanne (cfr. Gv 7), anche se vi andò di nascosto. Giunto però nella città santa, non poté passare inosservato. La sua presenza alla festa diventa quindi occasione di insegnamenti rivolti ai suoi ascoltatori ed anche di scontri con gli avversari, fino al punto che alcuni vogliono arrestarlo. A Gerusalemme, al termine della festa, si colloca la vicenda narrata nel passo odierno.
Gv 8, 1-111Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. 2Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. 3Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e 4gli dissero: "Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. 5Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?". 6Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. 7Tuttavia, poiché insistevano nell'interrogarlo, si alzò e disse loro: "Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei". 8E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. 9Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. 10Allora Gesù si alzò e le disse: "Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?". 11Ed ella rispose: "Nessuno, Signore". E Gesù disse: "Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più".CommentoGesù, dopo aver trascorso la notte sul "monte degli ulivi", prima di tornarsene a casa dopo la festa, all'alba si reca di nuovo nel tempio e lì ammaestra il popolo che numeroso andava da lui. Mentre svolge la sua attività di evangelizzatore, "gli scribi ed i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio", per avere un suo parere e subdolamente "per metterlo alla prova e per avere di accusarlo". Non c'è alcun dubbio sulla colpevolezza della donna e la questione sta in che cosa voglia fare Gesù di fronte ad un peccato certo. Gesù dapprima reagisce scrivendo col dito per terra. Che cosa scrisse? È impossibile ricostruire quel messaggio, anche se si può intuire il contenuto. Sicuramente era una risposta alla domanda postagli: "Mosé ... ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?". Probabilmente gli interlocutori di Gesù non percepirono la sua posizione, oppure la considerarono inadeguata o incompleta, visto che continuavano ad insistere nell'interrogarlo. A questo punto egli pronunzia la sentenza perentoria: "chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei" e poi continua a scrivere per terra. Con questo principio Gesù non vuole affermare che ogni giudice, per pronunciare una sentenza, debba essere senza peccato. Egli invece sottolinea che, partendo dalla parola di Dio e dalla dimensione religiosa, è sempre necessario nei confronti dei peccatori, avere chiaro l'obiettivo a cui si vuole arrivare ("non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori") e tener realmente conto della situazione personale del singolo peccatore. Tutto questo non interessava agli accusatori della donna, perché il loro vero obiettivo non era la verità, ma tendere un tranello a Gesù. Per questo, dopo aver ascoltato le sue parole, "se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani". La parte finale della narrazione presenta il dialogo di Gesù con la donna peccatrice. Nessuno l'aveva condannata. Ella con umiltà e pentimento attendeva il giudizio di colui che riconosceva "Signore". Nemmeno Gesù la condanna e la invita accoratamente a non peccare più.
Attraverso la vicenda dell'adultera il testo evangelico presenta la giustizia di Gesù, che è quella di Dio. Egli condanna il peccato, ma è misericordioso col peccatore. Gesù ha anche la capacità di smascherare tutto ciò che non è orientato verso una vera giustizia, anche se coperto da motivazioni di carattere religioso. Chi riconosce in lui il Signore e si rimette al suo giudizio, incontra sicuramente misericordia e perdono.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTUREL'asse portante delle tre letture è dato dall'intervento di Dio, che viene a mutare la situazione e la prospettiva futura del suo interlocutore. Il popolo degli israeliti a Babilonia, deve spostare il baricentro della sua fede dalla vicenda dell'esodo antico al suo ritorno da Babilonia: "Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa". Il cambiamento di prospettiva comporta un impegno anche per il futuro: "Il popolo che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi". Il fariseo Paolo riceve la manifestazione della vera giustizia "che viene da Dio, basata sulla fede" e si apre alla "sublimità della conoscenza di Cristo Gesù". La gioia di questo sbocco comporta l'impegnativa partenza per una corsa verso la perfetta assunzione della potenza della resurrezione di Cristo, con tappa obbligatoria alla conformazione alla sua morte. L'allontanarsi dei lapidatori della donna, nel racconto evangelico, affiancato al perdono ricevuto da Gesù, diventa il dono di una vita che può ricominciare. La scena comporta una decisione seria: "va e d'ora in poi non peccare più". È importante quindi impegnarsi a maturare contesti in cui la magnanimità aiuti a rendere possibili il perdono e la conversione. La conversine richiede sempre anche la disponibilità a tornare a rischiare nella vita, sostenuti dalla fiducia che dà il Signore.
La vita(per continuare il lavoro nella riflessione personale)
Cerchiamo ora di interagire col testo del vangelo e chiediamoci :
- Quale parte del vangelo letto (in tutta la sua ampiezza) e commentato mi ha colpito di più e perché?
- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con quanto il vangelo ci comunica? Individuare almeno un punto su cui lavorare.
- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è un contributo che io posso dare, per diffondere il vangelo o per realizzarlo, che mi è stato ispirato dal vangelo letto e meditato?
(scegliere un impegno da vivere nella settimana)