LETTURA - COMMENTO - VITA
Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 17 dicembre 2023 – III Domenica di Avvento anno B
Preparate la via del SignoreIsaia 61, 1-2a.10-11 • Lc 1, 46-50.53-54 •1 Tessalonicesi 5, 16-24 • Giovanni 1,6-8.19-28
Lettura
Il brano evangelico di Giovanni della terza domenica d'avvento é la composizione di testi diversi. La prima parte, tratta dal così detto "Prologo", che nel suo insieme serve da introduzione a tutto il vangelo, presenta la vicenda della Parola incarnata. La seconda parte è l'inizio del "Libro dei segni", dove Gesù con fatti e parole mostra se stesso al suo popolo come rivelazione-manifestazione del Padre.
Gv 1,6-8.19-286 Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni.7 Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce,perché tutti credessero per mezzo di lui. 8Non era lui la luce,ma doveva dare testimonianza alla luce...19Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: "Tu, chi sei?". 20Egli confessò e non negò. Confessò: "Io non sono il Cristo". 21Allora gli chiesero: "Chi sei, dunque? Sei tu Elia?". "Non lo sono", disse. "Sei tu il profeta?". "No", rispose. 22Gli dissero allora: "Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?". 23Rispose: "Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaia".24Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. 25Essi lo interrogarono e gli dissero: "Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?". 26Giovanni rispose loro: "Io battezzo nell'acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, 27colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo". 28Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.CommentoI versetti presi dal "Prologo" (Gv 1, 6-8) indicano il ruolo di Giovanni il Battista nella storia della salvezza. Egli è presentato "uomo mandato da Dio" (v. 6), al quale è affidata la particolare missione di "essere testimone". L'oggetto della testimonianza è sottolineato col simbolo della luce: "per rendere testimonianza alla luce" (v. 7). Nel contesto del "Prologo" appare evidente che "la luce", a cui si fa riferimento, è quella citata in 1, 4: "nel Verbo era la vita e la vita era la luce degli uomini"; La luce è Gesù Cristo, il Verbo di Dio. Infine la testimonianza di Giovanni è destinata ad arrivare a tutti gli uomini: "perché tutti credano per mezzo di lui" (v. 7).
Gli altri versetti (Gv 1, 19-28) sono di approfondimento. Iniziano con una serie di risposte al negativo date dal Battista alle domande degli inviati dei giudei. Dapprima egli spiega di non essere "la luce", dicendo: "Io non sono il Cristo" (v. 20). Poi dichiara di non essere Elia. In questo modo viene allontanato ogni fraintendimento nei suoi riguardi, circa la possibilità di essere scambiato col Messia. Con la parte positiva della risposta (vv.22-23), partendo da Isaia 40, 3 ("voce di uno che grida nel deserto: preparate la via del Signore"), Giovanni attribuisce a sé il compito di araldo e di annunciatore della Parola, per preparare "la via del Signore" (v. 24). L'attenzione è infine orientata su colui che deve venire: "viene uno dopo di me, al quale io non sono degno di sciogliere il legaccio del sandalo" (v. 27). Giovanni poi afferma che in mezzo a loro vi era uno non conosciuto. Infatti i versetti non riportati dal testo liturgico (Gv 1, 29-42), narrano la potenza della parola pronunciata da Giovanni che, col suo ministero, orienta decisamente a Gesù i propri discepoli.
Giovanni Battista è colui che prepara la venuta della luce, cioè del Signore Gesù Cristo. Egli non è il Messia, ma per mezzo del suo ministero, esercitato attraverso l'annuncio della parola ed il gesto penitenziale del battesimo, fa incontrare i suoi discepoli e tutti gli uomini con colui che é più grande di lui. Costui, presente in mezzo agli uomini e da loro ignorato, chiede di essere riconosciuto per poter partecipare al suo dono e per essere, di conseguenza, testimoni della stessa luce.
Collegamento fra le lettureNel brano del vangelo, Giovanni, interrogato da sacerdoti e leviti, rimanda a uno che era in mezzo a loro, ma purtroppo sconosciuto. Sarà questo personaggio il latore ufficiale e definitivo del messaggio di Isaia, proclamato nella prima lettura. Egli, perché consacrato dallo Spirito del Signore ("Lo Spirito del Signore Dio è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l'unzione") , porta a compimento l'annunzio evangelico, privilegiando i poveri ed i miseri. Costoro, toccati dalla salvezza, giunta a loro per mezzo di Gesù, diventano il segno concreto delle parole del profeta: "Io gioisco pienamente nel Signore,...perché mi ha rivestito delle vesti di salvezza, mi ha avvolto con il manto della giustizia, ..." (Is 61,10). Tutto questo, sottolinea Paolo scrivendo ai tessalonicesi, si realizza in una comunità cristiana se essa cresce spiritualmente attraverso la forza del vangelo, animata dallo Spirito, che é lo stesso di Gesù. Si prepara realmente la venuta del Signore accogliendo il suo vangelo, lasciandosi guidare dallo Spirito e vivendo concretamente gli impegni fondamentali della vita cristiana. Solo così il cristiano farà esperienza di vera gioia e di beatitudine.
La vita(per continuare il lavoro nella riflessione personale)
Cerchiamo ora di interagire col testo del vangelo e chiediamoci :
- Quale parte del vangelo letto (in tutta la sua ampiezza) e commentato mi ha colpito di più e perché?
- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con quanto il vangelo ci comunica? Individuare almeno un punto su cui lavorare.
- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è un contributo che io posso dare, per diffondere il vangelo o per realizzarlo, che mi è stato ispirato dal vangelo letto e meditato?
(scegliere un impegno da vivere nella settimana)
8 Qoelet (qhlt) – EcclesiasteNel capitoli 4,17-5,1ss l'autore raccoglie una serie di massime e osservazioni sul rapporto tra l'uomo e Dio.
4, 17
Bada ai tuoi passi quando ti rechi alla casa di Dio. Avvicinati per
ascoltare piuttosto che offrire sacrifici, come fanno gli stolti, i quali non sanno di fare del male.
5, 1Non essere
precipitoso con la bocca e il tuo cuore non si affretti a
proferire parole davanti a Dio, perché Dio è in cielo e tu sei sulla terra; perciò
siano poche le tue parole. 2Infatti
dalle molte preoccupazioni vengono i sogni, e dalle
molte chiacchiere il discorso dello stolto.
3Quando hai fatto
un voto a Dio,
non tardare a soddisfarlo, perché a lui non piace il comportamento degli stolti:
adempi quello che hai promesso. 4È meglio
non fare voti che farli e poi non mantenerli. 5Non permettere alla
tua bocca di renderti
colpevole e davanti al suo messaggero non dire che è stata una inavvertenza, perché
Dio non abbia ad adirarsi per le tue parole e distrugga l'opera delle tue mani. 6Poiché dai molti sogni provengono molte illusioni e tante parole. Tu, dunque, temi Dio!
7Se nella provincia vedi
il povero oppresso e il diritto e la giustizia calpestati, non ti meravigliare di questo, poiché
sopra un'autorità veglia un'altra superiore e sopra di loro un'altra ancora più alta. 8In ogni caso,
la terra è a profitto di tutti, ma è il re a servirsi della campagna.
9Chi
ama il denaro non è mai sazio di denaro e
chi ama la ricchezza non ha mai entrate sufficienti. Anche questo è vanità. 10Con il crescere delle ricchezze
aumentano i profittatori e quale soddisfazione ne riceve il padrone
se non di vederle con gli occhi?
11
Dolce è il sonno del lavoratore, poco o molto che mangi;
ma la sazietà
del ricco non lo lascia dormire.
12Un altro
brutto guaio ho visto sotto il sole: ricchezze custodite dal padrone a suo danno. 13Se ne vanno in fumo queste ricchezze per un cattivo affare e il figlio che gli è nato non ha nulla nelle mani. 14Come è uscito dal grembo di sua madre, nudo ancora se ne andrà come era venuto, e dalle sue fatiche non ricaverà nulla da portare con sé. 15Anche questo è un
brutto guaio: che se ne vada proprio come è venuto.
Quale profitto ricava dall'avere gettato le sue fatiche al vento? 16Tutti i giorni della sua vita li ha passati nell'oscurità, fra molti fastidi, malanni e crucci.
17Ecco quello che io
ritengo buono e bello per l'uomo: è meglio mangiare e bere e godere dei beni per ogni fatica sopportata sotto il sole, nei pochi giorni di vita che Dio gli dà,
perché questa è la sua parte. 18Inoltre ad ogni
uomo, al quale Dio concede ricchezze e beni, egli dà facoltà di mangiarne, prendere la sua parte e godere della sua fatica:
anche questo è dono di Dio. 19Egli infatti non penserà troppo ai giorni della sua vita, poiché
Dio lo occupa con la gioia del suo cuore.
4,17 Quando ti rechi al Tempio (casa di Dio) di Gerusalemme nei giorni di pellegrinaggio, considera attentamente quello che stai facendo e rifletti durante il cammino, che avveniva a piedi e quindi c'era tutto il tempo per riflettere. Al Tempio si offrivano i sacrifici per le diverse occasioni o funzioni e Qoelet invita a non offrire sacrifici vuoti o inutili, ma devono essere riempiti dall'ascolto previo di Dio che parla (Dt diverse volte invita ad ascoltare Dio che parla: 6,4)[1] . Con Osea si ribadisce l'importanza della conversione piuttosto di sacrifici che non cambiano la vita [2].
v. 5,1-6 in questi versetti all'inizio del capitolo quinto l'autore invita il pio israelita ad usare bene la bocca e lingua nei rapporti con Dio e a non peccare. Qui il peccato consiste nel fare voti-promesse a Dio e poi non mantenerli. Emerge un'immagine di Dio antropomorfica e quindi si arrabbia e punisce. Questa immagine è stata da Gesù smontata e sostituita dal Dio-amore.
vv. 7-8 l'autore afferma che di fronte alla ingiustizia non ci si deve meravigliare perché sopra le persone c' c'è sempre qualcuno superiore che controlla. La terra è a disposizione di tutti ma il re se ne approfitta e la tiene per sé.
vv. 9-10 si mette in risalto il rischio della ricchezza della quale non si è mai sazi. Con le ricchezze emergono gli approfittatori e al ricco non resta che vedere le ricchezze.
v. 11 si afferma che la vita semplice permette il sonno tranquillo, mentre la ricchezza non fa dormire a causa dei pensieri che produce. Cfr. Lc 12, 13-21 dove si afferma il giudizio finale di Dio. In Qoelet non c'è questa prospettiva.
vv. 12-16 l'autore mette in guardia da due guai che derivano dalle ricchezze. Il primo nasce dalle ricchezze gestite male che poi vengono tutte vanificate e non resta nulla per i figli. Il secondo guaio e che nulla si porta con sé alla morte e si va dal mondo come quando si è nati.
v. 17 Qoelet afferma che c'è qualcosa di bello e di buono nella vita. Questo non è solo divertimento o piacere, ma è dono di Dio. La vita non è solo dolore ed assurdità perché c'è anche un fatto piacevole, il godere della soddisfazione di agire e di vedere i risultati ottenuto. Così anche in tutte le altre esperienze che arrecano piacere.
v. 18 anche le ricchezze sono dono di Dio e frutto delle sue fatiche e quindi cose positive. Il lavoro, il raggiugere risultati permettono all'uomo di non pensare alla vanità della vita e questo è concesso da Dio.
- Com'è il nostro rapporto con Dio e come viviamo le nostre liturgie e i nostri doni offerti a Dio?
- Il nostro rapporto con la ricchezza, i beni, le cose le attività come é?
- Tutto ciò di bello e positivo che viviamo è dono di Dio ne siamo convinti? Lo ringraziamo di questo? Ci spinge a lodarlo e ringraziarlo?
[1] Dt 6,4 Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. 5Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze.
[2] Os 6,6 poiché voglio l'amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti.
7 Qoelet (qhlt) – EcclesiasteNel capitolo 3 l'autore ha presentato che tutta l'opera di Dio è buona, ma anche l'esistenza della ingiustizia esercitata nei tribunali ora allarga lo sguardo su tutti i soprusi presenti nella società
4, 1Tornai poi a considerare tutte
le oppressioni che si fanno sotto il sole. Ecco
le lacrime degli oppressi e
non c'è chi li consoli; dalla parte dei loro
oppressori sta la violenza,
ma non c'è chi li consoli. 2Allora ho proclamato
felici i morti, ormai trapassati, più dei viventi che sono ancora in vita; 3ma più
felice degli uni e degli altri chi ancora non esiste, e
non ha visto le azioni malvagie che si fanno sotto il sole.
4Ho osservato anche che
ogni fatica e
ogni successo ottenuto
non sono che invidia dell'uno verso l'altro. Anche questo è vanità, un correre dietro al vento.
5
Lo stolto incrocia le sue bracciae divora la sua carne.
6Meglio
una manciata guadagnata con calmache due manciate con tormento e una corsa dietro al vento.
7E tornai a considerare
quest'altra vanità sotto il sole: 8il caso di
chi è solo e non ha nessuno, né figlio né fratello.
Eppure non smette mai di faticare, né il suo occhio è
mai sazio di ricchezza: "Per chi mi affatico e mi privo dei beni?". Anche questo è vanità e un'occupazione gravosa.
9
Meglio essere in due che uno solo, perché
otterranno migliore compenso per la loro fatica. 10Infatti, se cadono, l'uno rialza l'altro.
Guai invece a chi è solo: se cade, non ha nessuno che lo rialzi. 11Inoltre, se si dorme in due, si sta caldi; ma uno solo come fa a riscaldarsi? 12Se uno è aggredito, in due possono resistere: una corda a tre capi non si rompe tanto presto.
13
Meglio un giovane povero ma accorto,
che un re vecchio e stolto,che non sa più accettare consigli.
14Il giovane infatti può uscire di prigione ed essere fatto re, anche se, mentre quello regnava, era nato povero. 15Ho visto
tutti i viventi che si muovono sotto il sole stare con quel giovane, che era subentrato al re. 16Era una folla immensa quella che gli stava davanti.
Ma coloro che verranno dopo non si rallegreranno neppure di lui. Anche questo è vanità, un correre dietro al vento.
v.1 L'autore considera le oppressioni presenti nel mondo. Dappertutto ci sono oppressi che soffrono e che piangono senza essere consolati da nessuno e gli oppressori generano solo violenza. Sembra che nemmeno Dio si interessi di loro perché permette tutto ciò!
v. 2-3 Qoelet deduce, dalla osservazione precedente, delle conseguenze disastrose: meglio morire oppure meglio chi non è mai nato. Infatti la vita è tutto un soffrire e sotto il sole avvengono realtà molto malvagie e di dolore per le persone. Il dolore è incomprensibile per l'autore. Solo Cristo spiegherà il senso del dolore come conseguenza del peccato e lui lo redimerà con la sua morte e risurrezione e con la sua solidarietà con l'uomo che soffre. L'affermazione di Qoelet non è in contraddizione con quanto ha già affermato e riprenderà anche in seguito, che la vita è l'unica possibilità concreta che l'uomo ha a sua disposizione. Finchè si è vivi c'è la possibilità che il dolore scompaia.
v. 4 Non è chiaro il legame tra questo versetto ed i precedenti. Dopo l'assurdità del male che dilaga ora viene presentata un'altra negatività. Ciò che l'uomo costruisce con la sua fatica, quindi un bene ed un valore, può essere soltanto frutto di ambizione e di invidia per gli altri e questo è un male.
vv. 5-7 questi versetti si legano al precedente. L'agire umano non è che gelosia reciproca ed ambizione e la soluzione potrebbe sembrare essere non fare nulla e sciupare la vita (carne sta per vita). Ma chi sta con le mani in mano è uno stolto e la sapienza porta a darsi da fare ed è un valore. È meglio accontentarsi di poco che cercare di avere il massimo e fare tanta fatica. Il non agire è stoltezza e l'agire produce ambizione e logorio quindi che fare? Egli consiglia una via di mezzo. Alla fine conclude che non c'è guadagno sotto il sole.
v. 8 Ora si prende in considerazione un'altra situazione assurda. Agire, fare è connaturale all'uomo e le attività vengono svolte anche se non servono a nulla. L'uomo continua a sognare e desidera sempre più ricchezze perché è fatto cosi.
vv. 9-12 qui Qoelet vede e presenta un aspetto positivo: vivere insieme. Qui sembra che il conflitto tra azione ed utilità sia ridotto. L'essere in due è un vantaggio e ciò che si fa è utile.
vv. 13-16 il racconto del giovane sottolinea le tante possibilità che un giovane ha, se è sapiente. Uscire dalla prigione vuol dire uscire dalla stoltezza. Essere sapiente vuol dire ascoltare i consigli degli altri mente i vecchi stolti non ascoltano nessuno e non accettano pareri dagli altri. Anche il sapiente deve vigliare stare attento perché il successo lo può abbandonare.
Il v. 17 è meglio legarlo al cap. 5.
- Il tema dell'oppressione è molto d'attualità. Riusciamo ad identificarla? Che atteggiamento assumiamo nei suoi confronti? Ci è capitato di viverla e di subirla?
- L'invidia e la gelosia sono due piaghe molto grandi nella vita umana e anche dei cristiani. Ne siamo affetti? Come facciamo a curarle per essere guariti?
- Il vivere insieme è un valore. Ricerchiamo la vita comune? Accettiamo i doni e le difficoltà di questa esperienza?
- Essere sapienti vuol dire ascoltare e lasciarsi consigliare. Noi siamo sapienti?
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Goito 10 novembre 2023 – II Domenica di Avvento anno B
Viene il più forte di tuttiIsaia 40, 1-5.9-11 • Salmo 84 • 2 Pietro 3, 8-14 • Marco 1, 1-8
Lettura
La seconda domenica d'Avvento porta a leggere l'inizio del vangelo di Marco. L'apertura di un'opera è sempre molto importante, perché dà l'orientamento a tutta la composizione nel suo insieme. Di conseguenza la comprensione adeguata dei primi versetti, aiuta ad entrare correttamente all'interno di tutto il vangelo. Marco ha un inizio originale, diverso dagli altri evangelisti che premettono o racconti dell'infanzia di Gesù (Matteo e Luca) o un "prologo" (Giovanni). Vediamo da vicino il testo di Marco.
Mc 1, 1-81 Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio.2 Come sta scritto nel profeta Isaia:Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: egli preparerà la tua via.3 Voce di uno che grida nel deserto:Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri.4 Vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. 5 Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. 6 Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. 7 E proclamava: "Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. 8 Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo".CommentoIl brano si apre con il titolo dell'opera: "vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio". Il lettore si rende conto subito che inizia l'annuncio, cioè la buona notizia riguardante Gesù Cristo, l'uomo di Galilea morto e risorto. Così si comprende che il racconto non è un semplice ricordo storico, ma un annuncio che interpella personalmente i lettori. Costoro non possono restare indifferenti e sono chiamati a prendere posizione decisa riguardo a Gesù Cristo. Egli infatti è il Figlio di Dio. Così lo proclama la fede di Pietro a Cesarea di Filippo (Mc 8, 27-33) e del centurione ai piedi della croce (Mc 15, 39). La citazione composita di Isaia, che segue il titolo, ha lo scopo di indicare che le scritture hanno preparato da sempre questo momento. Ora infatti è arrivato il tempo di preparare "la via del Signore", perché egli è in mezzo al suo popolo. Il ministero di Giovanni Battista ed il suo modo di vivere rimandano alla venuta di un altro personaggio, più forte di lui nella lotta contro il male e capace di vincerlo definitivamente. Davanti a costui Giovanni non si ritiene degno nemmeno di compiere il servizio proprio dello schiavo: chinarsi e sciogliere i sandali al suo ritorno in casa. Il testo si chiude presentando il battesimo di Giovanni e quello di Gesù. Il ministero del Battista, che ha preparato la venuta del Signore, ha avuto nel battesimo con acqua il suo momento culminate, come segno di conversione. Ora l'opera va completata col dono dello Spirito Santo, dato da Gesù a coloro che lo seguono ricevendo il suo battesimo.
L'inizio del vangelo di Marco presenta da subito le coordinate della sua opera. Il lettore è invitato ad incontrarsi personalmente ed efficacemente con Gesù Cristo, il Figlio di Dio. Questa esperienza si realizza soltanto nella misura in cui si è guidati dalle Scritture, si intraprende un serio cammino di conversione e si riceve il dono dello Spirito Santo, dato da Gesù, e si è guidati da lui.
Collegamento fra le lettureIl Signore vuole incontrare ciascuno di persona. L'evento non si improvvisa ma va preparato; in questa linea spingono le forti parole di Isaia nella prima lettura: ("Nel deserto preparate la via al Signore, spianate nella steppa la strada per il nostro Dio. Ogni valle sia colmata, ogni monte e colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in vallata" Is 40, 3-4) e del Battista nel vangelo. Sono poi molteplici le situazioni e le esperienze che abilitano all'incontro con Dio che viene. Ed è consolante, in questo quadro estremamente serio, intravedere, nella seconda lettura, la possibilità che ci venga garantito un trattamento che sa tener conto delle nostre differenze e dei nostri veri limiti: "Il Signore non ritarda nel compiere la sua promessa, anche se alcuni parlano di lentezza. Egli invece è magnanimo con voi, perché non vuole che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi" (2Pt 3, 9). In conclusione al credente è chiesto di convertirsi in quanto è la conseguenza logica e necessaria del battesimo nello Spirito Santo ricevuto. Esso, per mezzo di Gesù, ci ha resi personalmente e comunitariamente luoghi in cui germina il futuro di speranza.
La vita(per continuare il lavoro nella riflessione personale)
Cerchiamo ora di interagire col testo del vangelo e chiediamoci :
- Quale parte del vangelo letto (in tutta la sua ampiezza) e commentato mi ha colpito di più e perché?
- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con quanto il vangelo ci comunica? Individuare almeno un punto su cui lavorare.
- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è un contributo che io posso dare, per diffondere il vangelo o per realizzarlo, che mi è stato ispirato dal vangelo letto e meditato?
(scegliere un impegno da vivere nella settimana)
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Goito 3 dicembre 2023 – I Domenica di Avvento anno B
State svegli: viene il signore!Isaia 63, 16b-17.19b; 64, 1c-7 • Salmo 79 • 1 Corinti 1, 3-9 • Marco 13, 33-37
Lettura
Il brano della prima domenica d'avvento è la conclusione del lungo discorso di Gesù riportato dall'evangelista Marco nel capitolo tredicesimo. Egli, dopo essere uscito dal Tempio di Gerusalemme, raggiunge il Monte degli Ulivi e, seduto rivolto verso il Santuario, dialoga con i suoi discepoli, mentre sullo sfondo si delinea ormai chiaramente l'ora della passione. In un quadro così solenne, il nostro testo non è soltanto semplice appendice di chiusura del discorso di Gesù. Esso, nel progetto narrativo di Marco, diventa un passo chiave per cogliere il senso del discorso pronunciato da Gesù dal Monte degli Ulivi e di tutto il suo ministero.
Mc 23, 33-3733 Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. 34 È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. 35 Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; 36 fate in modo che, giungendo all'improvviso, non vi trovi addormentati. 37 Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!".CommentoLa scena si apre presentando Gesù che dialoga con quattro discepoli. Costoro, scelti e chiamati per primi (cfr. Mc 1,16-20), sono ricordati anche in Mc 13,3. Al centro del brano c'è la parabola che narra di un tale il quale, in partenza per un viaggio, affida i suoi beni ai servi ed invita il portinaio a vigilare (vv. 35-36). Da ultimo troviamo una nuova esortazione alla vigilanza (v.37).
Le parole di Gesù iniziano col duplice invito: "fate attenzione" e "vegliate". Il motivo della doppia raccomandazione sta nel non conoscere "quando è il momento" (il kairòs) della venuta del Figlio dell'uomo e raccoglierà attorno a sé gli eletti. Ai discepoli, interessati a conoscere il tempo della fine, è preclusa ogni possibilità e non possono sapere nulla. A loro resta solo il compito di "vegliare" e di "stare svegli". Il tema del "non dormire" e del "vegliare" è centrale anche nella parabola. In essa viene sottolineato la situazione pericolosa del sonno e di chi dorme (forse è possibile vedere un collegamento col Getzemani, dove i discepoli prescelti non riescono a stare svegli). Il dormire è segno di disaffezione, disattenzione e disobbedienza al mandato e alla responsabilità ricevuti. La veglia è allora necessaria, perché non si sa quando il padrone tornerà. Sarebbe un guaio se, arrivando, scoprisse i suoi stretti collaboratori addormentati. La dichiarazione conclusiva: "Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!" (v.37) ha la funzione di estendere ai discepoli di tutti i tempi quanto viene detto agli immediati uditori di Gesù. L'ascoltatore o il lettore del vangelo deve sentirsi coinvolto personalmente; Gesù intende rivolgersi esplicitamente a lui.
La veglia o vigilanza dovrebbe essere l'atteggiamento che qualifica il cristiano. Essa si esprime nello stare svegli, cioè nell'accogliere con responsabilità, con attenzione e creatività la vocazione battesimale ricevuta, senza affievolire gli impegni in un primo tempo assunti. Tale compito è sostenuto, corroborato e consolidato dal vangelo di Gesù Cristo. Per suo mezzo il discepolo sarà capace di stare sveglio, eviterà la tentazione del sonno e saprà riconoscere Cristo al suo ritorno.
Collegamenti fra le lettureLe tre letture invitano a stare svegli per attendere. La riflessione sull'attesa è variamente articolata. Nella prima lettura si invoca il ritorno di Dio tra il suo popolo. Il peccato ha allontanato Israele dal suo Dio ("Perché Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, così che on ti tema?") ed ora si attende un rinnovato incontro col Dio: "Ritorna per amore dei tuoi servi, per amore delle tribù, tua eredità". Lui solo può cambiare il cuore dell'uomo e per tale ragione viene chiesto il dono della conversione: "Ma Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci forma, tutti noi siamo opera delle tue mani". Il testo paolino invita ad attendere la manifestazione del Signore Gesù Cristo attraverso la riscoperta positiva della comunità, con tutti i suoi doni: "perché in lui siete stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della scienza". Questi sono segni della presenza di Cristo nel suo popolo: "La testimonianza di Cristo si è infatti stabilita tra voi così saldamente, che nessun dono di grazia più vi manca, mentre aspettate la manifestazione del Signore Gesù Cristo". Per saper riconoscere ed incontrare Cristo occorre essere vigilanti, stare svegli. Infine il testo evangelico invita a stare svegli per attendere ed incontrare il Signore che viene. Noi non conosciamo quando sarà quel momento! Sarebbe un peccato se il sonno del disimpegno o del disinteresse annullasse le esperienze, gli impegni ed il cammino fatti precedentemente alla sequela del Signore Gesù.
La vita(per continuare il lavoro nella riflessione personale)
Cerchiamo ora di interagire col testo del vangelo e chiediamoci :
- Quale parte del vangelo letto (in tutta la sua ampiezza) e commentato mi ha colpito di più e perché?
- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con quanto il vangelo ci comunica? Individuare almeno un punto su cui lavorare.
- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è un contributo che io posso dare, per diffondere il vangelo o per realizzarlo, che mi è stato ispirato dal vangelo letto e meditato?
(scegliere un impegno da vivere nella settimana)
6 Qoelet (qhlt) – EcclesiasteDopo aver presentato il principio del tempo e aver mostrato che tutta l'opera di Dio è buona a suo tempo, Qoelet presenta subito il rovescio della medaglia: l'esistenza dell'ingiustizia nel mondo.
3, 16Ma ho anche notato che
sotto il sole al posto del diritto c'è
l'iniquità e al posto della giustizia c'è l'iniquità. 17
Ho pensato dentro di me: "Il giusto e il malvagio
Dio li giudicherà, perché c'è un tempo per ogni cosa e per ogni azione".
18Poi, riguardo ai
figli dell'uomo,
mi sono detto che Dio vuole metterli alla prova e mostrare che essi di per sé
sono bestie. 19Infatti
la sorte degli uomini e quella delle bestie è la stessa: come muoiono queste, così muoiono quelli; c'è un solo
soffio vitale per tutti.
L'uomo non ha alcun vantaggio sulle bestie, perché tutto è vanità. 20
Tutti sono diretti verso il medesimo luogo:
tutto è venuto dalla polvere
e nella polvere tutto ritorna.
21
Chi sa se il soffio vitale dell'uomo sale in alto,
mentre quello della bestia scende in basso, nella terra? 22Mi sono accorto che nulla c'è di
meglio per l'uomo che godere delle sue opere, perché questa è la parte che gli spetta; e chi potrà condurlo a vedere ciò che accadrà dopo di lui?
v. 16 L'autore richiama ancora ciò che si compie di giorno, sotto il sole. Altra traduzione dice "il luogo del giudizio, là era la malvagità e il luogo della giustizia, là era la malvagità". Io preferisco questa traduzione perché è meno universale e assoluta. L'ingiustizia domina molto probabilmente nel tribunale ad opera dei giudici.
v. 17 "Dissi io al mio cuore" (traduzione letterale) riflessione che è conseguenza di quanto vedeva accadere nei tribunali. A questa introduzione seguono due riflessioni. La prima è la convinzione di fede, comune nella tradizione ebraica testimoniata nella Scrittura che a suo tempo Dio giudicherà con giustizia e sistemerà tutte questi comportamenti ingiusti.
v. 18 La seconda riflessione, propria di Qoelet e provocatoria e devastante: Dio lascia prevalere l'ingiustizia per mostrare agli uomini che sono bestie e in questo modo mette a nudo la vera identità delle persone che operano lontane da lui.
v. 19 Di conseguenza non c'è differenza tra il destino dell'uomo che l'attende dopo la morte e quello delle bestie. Tutti muoiono allo stesso modo dal punto di vista esteriore. Qoelet che è uno spietato osservatore della realtà vedendo che uomini e bestie muoiono allo stesso modo si pone la domanda: se entrambi hanno la "nefesces"=spirito vitale che vantaggio ha l'uomo rispetto alle bestie? Tutto è vanità, perché se non c'è distinzione tra giusto e malvagio nell'amministrazione della giustizia, c'è da dubitare che esista differenza tra il destino dell'uomo e dell'animale.
v. 20 Continua l'analisi spietata di Qoelet. L'uomo e la bestia sono affini nello stesso termine di paragone: la morte; come in 7,15-20 la sapienza e la stoltezza danno lo stesso risultato: la morte e non c'è alcun vantaggio del sapiente rispetto allo stolto (forse collegamento tra sapienza e uomo come tra stoltezza e bestia?). tutto viene dal nulla-polvere e finisce nel nulla.
v. 21 L'autore si pone la domanda: chi può dire che lo spirito dell'uomo va in alto e quello delle bestie in basso? Non si sa se ci sia una diversità tra l'uomo sapiente e lo stolto. Non c'è una risposta a questa domanda che ritorna in altre occasioni dovesi parla del problema della ingiustizia e della sorte dei giusti e dei malvagi. Qoelet non risponde e si limita a presentare o a rilevare la situazione duplice, una positiva e una negativa
v. 22 Da tale situazione conflittuale degli opposti, Qoelet trae un imperativo: GODERE. Da intendersi non nel piacere sfrenato ma nell'essere felici per ciò che si fa e che da soddisfazione perché questo viene da Dio e l'esperienza concreta è ciò che l'uomo può vivere. La vanità non è la parola ultima. In questo modo l'autore rimanda la questione al futuro e non si può concludere che escluda la possibilità della vita dopo la morte.
- Come reagiamo di fronte alle ingiustizie sociali di qualsiasi genere?
- Abbiamo nella vita una esperienza o una attività che ci da gioia? Quale?
- Di fronte ai problemi o alle difficoltà ci ritiriamo e ci chiudiamo oppure attiviamo la speranza in una situazione diversa futura guidata da Dio?
5 Qoelet (qhlt) – EcclesiasteFino a questo punto abbiamo incontrato quelle che sembrano le linee portanti del pensiero di Qoelet. Ora l'autore cerca di definire la determinazione dei tempi.
3, 1Tutto ha il suo
momento, e ogni evento ha il suo
tempo sotto il cielo.
2C'è un tempo per
nascere e un tempo per
morire,
un tempo per
piantare e un tempo per
sradicare quel che si è piantato.
3Un tempo per
uccidere e un tempo per
curare,
un tempo per
demolire e un tempo per
costruire.
4Un tempo per
piangere e un tempo per
ridere,
un tempo per
fare lutto e un tempo per
danzare.
5Un tempo per
gettare sassi e un tempo per
raccoglierli,
un tempo per
abbracciare e un tempo per
astenersi dagli abbracci.
6Un tempo per
cercare e un tempo per
perdere,
un tempo per
conservare e un tempo per
buttar via.
7Un tempo per
strappare e un tempo per
cucire,
un tempo per
tacere e un tempo per
parlare.
8Un tempo per
amare e un tempo per
odiare,
un tempo per
la guerra e un tempo per
la pace.
9Che
guadagno ha chi si dà da fare con fatica?
10
Ho considerato l'occupazione che Dio ha dato agli uomini perché vi si affatichino. 11Egli
ha fatto bella ogni cosa a suo tempo; inoltre
ha posto nel loro cuore la durata dei tempi, senza però che gli uomini possano trovare la ragione di ciò che Dio compie dal principio alla fine. 12
Ho capito che per essi non c'è nulla di meglio che
godere e procurarsi felicità durante la loro vita; 13e che un uomo mangi, beva e goda del suo lavoro,
anche questo è dono di Dio. 14
Riconosco che qualsiasi cosa Dio fa, dura per sempre; non c'è nulla da aggiungere, nulla da togliere.
Dio agisce così perché lo si tema. 15
Quello che accade, già è stato; quello che sarà, già è avvenuto. Solo Dio può cercare ciò che ormai è scomparso.
v. 1 "momento" e "tempo" qui sono sinonimi e significa che ogni cosa che accade sulla terra avviene in un determinato tempo storico.
vv. 2-8 Le azioni umane possibili sono per Qoelet coppie di 14 con i loro opposti. Poiché sono 7x2 significa che qui l'autore voleva significare tutte le azioni umane. Prima si annuncia l'azione negativa e poi quella positiva e dal v.5 si alternano positivo e negativo nell'apertura.
Questi versetti sono spesso interpretati con un determinismo universale di Dio e l'uomo non può ne conoscere ciò che accadrà ne modificare gli eventi. Forse non è così che si devono interpretare i versetti in questione. Certamente ogni cosa ha il suo tempo ed è questo il pensiero sapienziale di Israele e dei popoli antichi e di ogni tempo. È vero che Qoelet con questa specie di filastrocca accentua l'idea del tempo adatto per tutto e che non ha paragoni con altri tempi. Per capire il senso e l'insegnamento da trarne si dovrà rileggere il testo alla luce del contesto in cui viene pronunciato.
L'annuncio programmatico (1,2-11) ha mostrato che non c'è utilità nell'opera dell'uomo perchè essa è parte di un processo cosmico ripetitivo che ritorna sempre continuamente su se stesso, non ha né inizio né fine e perciò non ha storia e non lascia ricordo. L'attività umana che Qoelet ha intrapreso su questa base è uno sforzo faticoso di tenere insieme gli opposti: sapienza e stoltezza (1,2-2,10). In questo processo una domanda ritorna continuamente: "qual è l'utilità di colui che lavora in quello in cui fatica?"
v. 9 Qui abbiamo la domanda fondamentale che l'autore si propone. È una domanda aperta che per ora non ha risposta.
Qoelet introduce la nozione di tempo adatto. Cioè c'è un tempo per ogni cosa e un tempo per il suo contrario. Con questo principio si tengono insieme gli opposti, la chiave che premette di entrare nel problema. Non si può fermare il processo che è inarrestabile, ma in questo modo ogni attività viene ancorata al suo momento. Questo ancoraggio la salva dal fluire perenne e le da rilievo e consistenza, la fa entrare nella storia perché produce ricordo. In conclusione la fa diventare un'attività che procura un vantaggio per chi la compie.
vv. 10-11 Il ragionamento di Qoelet, introducendo il concetto di tempo giusto, dimostra che l'attività umana è riscattata in quanto è ancorata all'attività di Dio che "tutto ha fatto bello". Egli si rifà al principio: Ho considerato l'occupazione che Dio ha dato agli uomini perché vi si affatichino (si occupino di essa). Si ricollega a 1,3 e si pone il problema del senso dell'attività umana, ma con una prospettiva diversa. Collocare l'attività umana sul terreno solo nel tempo adatto da ad essa senso e significato. Resta il limite per l'uomo di non arrivare mai a conoscere l'opera di Dio nella sua interezza.
vv. 12-15 questo lato nascosto della sapienza ha due scopi ben precisi introdotti da frasi simili: "ho capito" e "riconosco" che possono essere tradotti entrambi anche con "so che". Il primo scopo e che l'uomo goda delle opere di Dio. Anche il mangiare, il bere e il lavoro vengono da Dio e sono fonte di gioia. Il secondo scopo indica che il godere dell'uomo è uno scopo dell'opera divina e ciò che Dio fa è fatto bene e dura per sempre. Qui dobbiamo dire che la riflessione di Qoelet non è pessimistica. Anche l'opera di Dio si colloca nel fluire cosmico e lui solo può fissare anche quello che è avvenuto nel passato. Questa consapevolezza porta al "timore di Dio" che consiste non nella paura ma nella sua venerazione e rispetto.
- Che cosa ci ha colpito di più e perché?
- Che incidenza ha il punto su cui mi sono soffermato con la mia vita?
- Posso trovare egli spunti per la nostra vita comunitaria?
LETTURA - COMMENTO - VITA
Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 26 novembre 2023 – XXXIV Domenica del Tempo Ordinario – Cristo Re
Servire in fraternitàEzechiele 34,11-12.15-17 . Salmo 22 . 1 Corinzi 15,20-26a.28 . Matteo 25,31-46
Lettura
Siamo alla conclusione della vicenda storica di Gesù secondo la narrazione di Matteo. Ormai la tensione tra Gesù ed Israele (rappresentato dai capi, dagli scribi e dai farisei) ha raggiunto il suo apice ed egli, dopo aver abbandonato il tempio, dal monte degli ulivi annuncia in termini profetici il giudizio sulla città e sul suo santuario (24,1ss). Di questo ultimo discorso fa parte il nostro passo abitualmente denominato "venuta e giudizio del Figlio dell'uomo" o "giudizio finale". Gesù si rivolge idealmente ad un ampio uditorio. Esso non è costituito soltanto dai discepoli, né dalle folle che lo seguono, ma da tutte le genti. Presumibilmente, in modo profetico, Gesù vede già realizzato quanto anticipato in Mt 24,14: "frattanto questo vangelo del regno sarà annunciato in tutto il mondo, perché ne sia resa testimonianza a tutte le genti; e allora sarà la fine". Alla fine, quindi, tutte le genti toccate dal vangelo saranno convocate dal Figlio dell'uomo.
Mt 25, 31-4631 Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. 32 Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, 33 e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. 34 Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: "Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, 35 perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, 36 nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi". 37 Allora i giusti gli risponderanno: "Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? 38 Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? 39 Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?". 40 E il re risponderà loro: "In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me". 41 Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: "Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, 42 perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, 43 ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato". 44 Anch'essi allora risponderanno: "Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?". 45 Allora egli risponderà loro: "In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l'avete fatto a me". 46 E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna".CommentoNel passo di Mt 25,31-46 si distinguono chiaramente una introduzione (vv.31-33), che presenta la venuta del Figlio dell'uomo, un elemento centrale costituito dalla convocazione di tutte le genti con la loro separazione (vv.34-45) e da ultimo la conclusione (v.46), che indica l'applicazione della sentenza ai due gruppi divisi dal Figlio dell'uomo, re e signore. Nella parte centrale, sotto forma di dialogo, troviamo presentate dal re le motivazioni che stanno alla base della divisione delle genti in due gruppi. Su questo punto soffermiamo particolarmente la nostra attenzione.
Innanzitutto è il re che prende l'iniziativa. Dopo aver convocato tutte le genti prima si rivolge a quelli di destra e risponde alle domande dei giusti e poi parla a quelli di sinistra dando soddisfazione pure ai loro quesiti. I due gruppi, quello di destra e quello di sinistra, esistono e sono tali solo in relazione al re - Figlio dell'uomo; anche la loro identità e autocomprensione dipendono dalle parole del Figlio dell'uomo (Con questo appellativo Gesù si colloca nella tradizione dell'Antico Testamento cfr. Dn 7,13. Così nell'espressione si vede sia l'elevazione di Gesù Messia che la sua umiliazione).
Procedendo nell'analisi del dialogo vediamo che la benedizione e la partecipazione al regno dipendono dall'aver vissuto le opere di misericordia con un profondo collegamento con Cristo ["io ho avuto fame..., io ho avuto sete..." (v.35) "l'avete fatto a me" (v.40)] e dall'aver assunto un reale atteggiamento di fraternità, infatti Gesù riconosce suoi fratelli i poveri ed i bisognosi: "ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me."(v.40b). Anche la maledizione e la partecipazione al fuoco eterno sono conseguenza del non aver condiviso attivamente i disagi dei bisognosi, accogliendoli come fratelli.
La solidarietà e la condivisione con i poveri ed i bisognosi diventano criterio di benedizione o di maledizione, di partecipazione al regno o di allontanamento nel "fuoco eterno". Il fatto poi che Gesù chiami "fratelli" coloro che sono nella situazione di precarietà e di necessità, richiede che la "fraternità" diventi l'atteggiamento di fondo dal quale scaturisca, come conseguenza, la significativa solidarietà con i poveri. Qui si tratta di solidarietà vissuta nella fraternità, di carità che non resta all'epidermide della vita ma vi entra dentro, in tutte le sue dimensioni: intelligenza, affetto, sentimenti, creatività, ecc.
La vita(per continuare il lavoro nella riflessione personale)
Cerchiamo ora di interagire col testo del vangelo e chiediamoci :
- Quale parte del vangelo letto (in tutta la sua ampiezza) e commentato mi ha colpito di più e perché?
- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con quanto il vangelo ci comunica? Individuare almeno un punto su cui lavorare.
- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è un contributo che io posso dare, per diffondere il vangelo o per realizzarlo, che mi è stato ispirato dal vangelo letto e meditato?
(scegliere un impegno da vivere nella settimana)
LETTURA - COMMENTO - VITA
Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 19 novembre 2020 – XXXIII Domenica del Tempo Ordinario -A
Domenica dei poveri
La creatività dell'amoreProverbi 31, 10-13.19-20.30-31 . Salmo 127 . 1Tessalonicesi 5, 1-6 . Matteo 25, 14-30
Lettura
Gesù, dopo aver abbandonato il tempio ed aver discusso con i discepoli della sua magnificenza e della sua totale rovina ormai imminente, si reca sul monte degli ulivi. Qui i discepoli si accostano al maestro e a loro dà le ultime indicazioni e consegne, utilissime per tutta la comunità.
Mt 25, 14-3014 Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 15 A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito 16 colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. 17 Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. 18 Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. 19 Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. 20 Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: "Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque". 21 "Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone". 22 Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: "Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due". 23 "Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone". 24 Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: "Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. 25 Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo". 26 Il padrone gli rispose: "Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; 27 avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse. 28 Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. 29 Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. 30 E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti".CommentoIl brano odierno è costituito dalla famosa parabola detta dei "talenti" (un talento equivaleva a seimila dracme. La dracma o denaro aveva un valore di circa 50 euro. Avevano ricevuto quindi dei materiali preziosi che corrispondevano ciascuno a circa 300.000 euro). La vicenda narrata si sviluppa in tre momenti. Dapprima abbiamo la consegna da parte del padrone dei suoi beni a tre servi prima di partire per un viaggio (25,14-15). Poi è presentato il diverso comportamento dei servi nei confronti dei beni ricevuti mentre il padrone è assente (25,16-18). Infine si narra del ritorno del padrone e della resa dei conti con la ricompensa o la punizione dei servi, in relazione alle loro attività svolte durante la sua assenza (25,19-30). Le prime due fasi della storia, che presenta i rapporti di un padrone con i suoi servi, sono in funzione della terza che indica il culmine di tutta la vicenda. Il racconto ruota attorno a due poli: il padrone ed il terzo servo. Il padrone, dopo aver consegnato i suoi beni ai servi, parte. Dei tre servi che hanno ricevuto in consegna i talenti due li fanno fruttare, raddoppiandoli ed il terzo, "che ha ricevuto un solo talento", lo nasconde sotto terra per essere al sicuro di fronte ad eventuali problemi che potevano sorgere. La distribuzione dei beni è fatta dal padrone ai servi secondo le capacità di ciascuno, dando loro fiducia e responsabilità mentre lui è assente. La scena ha il suo punto culminante al ritorno del padrone. Egli chiama i servi e chiede loro di regolare i conti. Ai primi concede come premio del lavoro svolto di prendere "parte alla gioia del padrone". La punizione del terzo servo consiste nell'essere allontanato dal padrone e gettato nelle tenebre dove è pianto e stridore di denti. Quello che conta è la relazione col padrone che, in sua assenza, si è concretizzata per i primi due servi nel lavorare alacremente per lui e per l'ultimo nell'ignorare le sue attese ed essere negligente.
Il Signore ha dato a tutti doni ed attrezzature adeguate alle capacità di ciascuno. Al suo ritorno, la verifica e la valutazione dei singoli avverrà non tanto sui risultati ottenuti nei vari impegni e lavori, ma sull'amore vivo ed intraprendente che è stato riservato per lui. È dall'amore per il Signore che nascono poi nuove energie, risorse impensate e progetti adeguati a rendere fecondo e festoso l'incontro con lui.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTUREIl tema del rapporto fiducioso e pieno d'amore con Dio raccorda le letture di questa domenica. È l'amore per il padrone che spinge i servi a lavorare per lui e ad incrementare le sue sostanze, dice il vangelo. Mentre il disinteresse e la mancanza d'amore produce indifferenza e pigrizia. Anche la prima lettura, tratta dal libro dei Proverbi, approfondisce il tema presentando la donna saggia. Ella, che è proposta come moglie ideale, porta a perfezione tutte le sue abilità in quanto mossa da grande amore per il marito. La lettera dell'apostolo ai cristiani di Tessalonica dà istruzioni su come si deve vivere attendendo il Signore che viene. È certezza la venuta del Signore! Per questo allora i cristiani non possono perdersi in vani ragionamenti o abbandonare la speranza. Essi non sono impreparati perché, attraverso il battesimo e la fede, sono figli della luce e del giorno e quindi senza paura restano svegli, non si attardano nel buio dei vizi e si preparano con un atteggiamento d'amore ad incontrare festosamente il Signore che viene.
La vita(per continuare il lavoro nella riflessione personale)
Cerchiamo ora di interagire col testo del vangelo e chiediamoci :
- Quale parte del vangelo letto (in tutta la sua ampiezza) e commentato mi ha colpito di più e perché?
- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con quanto il vangelo ci comunica? Individuare almeno un punto su cui lavorare.
- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è un contributo che io posso dare, per diffondere il vangelo o per realizzarlo, che mi è stato ispirato dal vangelo letto e meditato?
(scegliere un impegno da vivere nella settimana)
4 Qoelet (qhlt) – EcclesiasteContinuano le sentenze di Qoelet che è alla ricerca del senso di ciò che capita nella vita cercando la sapienza.
2, 13Mi sono accorto che
il vantaggio della sapienza sulla stoltezza è
come il vantaggio della luce sulle tenebre:
14
il saggio ha
gli occhi in fronte,
ma
lo stolto cammina nel buio.
Eppure io so che
un'unica sorte è riservata a tutti e due. 15Allora ho pensato: "Anche a me toccherà la sorte dello stolto!
Perché allora ho cercato d'essere saggio? Dov'è il vantaggio?".
E ho concluso che anche questo è vanità. 16Infatti,
né del saggio né dello stolto resterà un ricordo duraturo e nei giorni futuri tutto sarà dimenticato.
Allo stesso modo muoiono il saggio e lo stolto.
17Allora
presi in odio la vita, perché mi era insopportabile quello che si fa sotto il sole. Tutto infatti è vanità e un correre dietro al vento. 18Ho preso in odio ogni lavoro che con fatica ho compiuto sotto il sole,
perché dovrò lasciarlo al mio successore. 19E
chi sa se questi sarà saggio o stolto? Eppure potrà disporre di tutto il mio lavoro, in cui ho speso fatiche e intelligenza sotto il sole.
Anche questo è vanità! 20
Sono giunto al punto di disperare in cuor mio per tutta la fatica che avevo sostenuto sotto il sole, 21
perché chi ha lavorato con sapienza, con scienza e con successo dovrà poi lasciare la sua parte a un altro che non vi ha per nulla faticato. Anche questo è vanità e un grande male.
22Infatti,
quale profitto viene all'uomo da tutta la sua fatica e dalle preoccupazioni del suo cuore, con cui si affanna sotto il sole? 23
Tutti i suoi giorni non sono che dolori e fastidi penosi; neppure di notte il suo cuore riposa. Anche questo è vanità! 24Non c'è di
meglio per l'uomo che mangiare e bere e
godersi il frutto delle sue fatiche; mi sono accorto che
anche questo viene dalle mani di Dio. 25Difatti,
chi può mangiare o godere senza di lui? 26
Egli concede a chi gli è gradito sapienza, scienza e gioia, mentre a chi fallisce dà la pena di raccogliere e di ammassare, per darlo poi a colui che è gradito a Dio. Ma anche questo è vanità e un correre dietro al vento!
v. 13 Dopo aver detto che la soddisfazione che è legata ad un certo tipo di esperienze saggie non ha valore, dichiara che la sapienza è superiore alla stoltezza, come il giorno alla notte. Sembrerebbe che la sapienza non abbia valore dalle affermazioni precedenti, ma invece Qoelet afferma che i valori ci sono e che la sapienza è un valore.
v. 14 La stessa sorte però toccherà ad entrambi. È questa l'assurdità la sapienza è un valore e si distingue dalla stoltezza ed il sapiente non è come lo stolto. Chi persegue i valori non ha una vita diversa e la morte attende tutti allo stesso modo.
v. 15 Se la sapienza è un valore (e lo è), ma se a me non porta nessun giovamento e soprattutto morirò come lo stolto, perché investire tanta fatica per apprendere la sapienza? Perché chi cerca la sapienza e la raggiunge non ha nessun vantaggio? La risposta verrà data più avanti.
v. 16 Perché l'autore continua a porsi il problema? Molto probabilmente perché vuole affermare che tutti sono uguali e non ci sono super eroi immortali. La questione della morte azzera tutto e tutti e soprattutto rende consapevoli che non occorre innalzarsi sugli altri o esaltarsi eccessivamente.
v. 17 E' la conseguenza naturale e la reazione umana di fronte a tutto ciò che accade. Come si fa ad amare una vita senza senso? Come si fa ad impegnarsi e lavorare sapendo che non serve a nulla?
v. 18 Qoelet odia la vita perché deve lasciarla. Tutto ciò che lui ha fatto servirà soltanto ad arricchire il suo successore. Lui scomparirà come origine di quella ricchezza ed emergerà il suo successore. Il vero assurdo della vita è la morte.
v. 19 Tutta la sua ricchezza accumulata andrà ad un altro indipendentemente dal fatto che sia sapiente o stolto.
v. 20 La conseguenza è la disperazione perché non si vede via d'uscita.
v. 21 Il grande Qoelet sembra indispettito da questa situazione. Egli continua a scoprire distanza e incoerenza tra i valori perseguiti e il reale che si muove in modo opposto. Egli è colpito dallo scandalo del dolore.
v. 22 L'autore si interroga ancora e si chiede quale profitto ne ha in tutto questo. La sua fatica, i suoi impegni tutto il suo darsi da fare a che cosa serve? Quando l'uomo scompare non ha per lui nessuna importanza quello che ha fatto e le ricchezze che ha accumulato. Però il lavoro, la fatica, l'impegno per raggiungere la sapienza sono dei valori. La cultura giudaica di fronte a queste problematiche sviscerate con realtà e intelligenza aveva soltanto poche strade da percorrere. O respingere la problematica (compreso gli scritti dei profeti che ne sono la base) come fecero i sadducei che respinsero questa visione, rimuovendo il problema della morte e affermando che era necessario soltanto impegnarsi in questa vita e basta.
v. 23 Questa situazione di lavoro nel dolore dura per tutta la vita. Il cuore nella Bibbia è la sede di tutti i sentimenti, dei pensieri e anche può indicare il male. Il cuore soffre ed è lo scandalo del dolore. Qoelet concepisce il dolore solo come una punizione per una scelta del male, mentre l'altro dolore non lo capisce. Per lui è inconcepibile che l'impegno per la sapienza debba far soffrire e che non esista un principio di retribuzione. Se uno fa il bene deve esserci un premio e se uno fa il male la punizione. Poiché tutto ciò non esiste quindi tutto è vanità ed inutile. Nella predicazione cristiana il dolore verrà riscattato: "beati coloro che soffrono".
v. 24 All'uomo non resta quindi di accontentarsi delle gioie che la vite offre, non ultimo la soddisfazione dell'operare stesso. A questo punto afferma che tutto proviene dalla mano di Dio.
vv. 25-26 Chi vive in rapporto d'amicizia con Dio da lui riceve ogni bene ed ha senso tutto ciò che vive. Chi è lontano da lui compie tutto con fatica; realizza le cose per farsi vedere dagli altri e le sue realizzazioni vanno agli altri. Questo secondo aspetto è vanità.
LETTURA - COMMENTO - VITA
Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 12 novembre 2023 – XXII Domenica del Tempo Ordinario A
L'olio che illuminaSapienza 6, 12-16 . Salmo 62 . 1 Tessalonicesi 4, 13-18 . Matteo 25, 1-13
Lettura
Dopo il conflitto sostenuto con i capi religiosi, acutizzatosi nel capitolo ventitreesimo con la severa denuncia di Gesù contro i farisei, Matteo riporta il discorso finale del maestro rivolto ai discepoli e alle folle. Esso si articola nei capitoli ventiquattro e venticinque del vangelo. In un primo momento Gesù annuncia la venuta del Figlio dell'uomo e con la parabola dei due servi, il fedele e l'infedele, presenta il primo atteggiamento con cui bisogna predisporsi alla sua venuta. Abbiamo poi la parabola proposta dalla liturgia odierna.
Mt 25, 1-131Allora il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. 2Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; 3le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l'olio; 4le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l'olio in piccoli vasi. 5Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono. 6A mezzanotte si alzò un grido: "Ecco lo sposo! Andategli incontro!". 7Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. 8Le stolte dissero alle sagge: "Dateci un po' del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono". 9Le sagge risposero: "No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene". 10Ora, mentre quelle andavano a comprare l'olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. 11Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: "Signore, signore, aprici!". 12Ma egli rispose: "In verità io vi dico: non vi conosco". 13Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora.CommentoIl racconto inizia paragonando il regno dei cieli all'esperienza vissuta da dieci ragazze che partecipano ad una festa di nozze. È la festa della venuta definitiva del Figlio di Dio e partecipare ad essa è veramente una gioia grande. Il racconto continua sviluppandosi in tre momenti: la preparazione delle lampade e l'attesa dello sposo (25, 3-5), l'arrivo dello sposo (25, 6-9), l'inizio della festa di nozze (25, 10-12). La conclusione invita a vegliare perché non si conosce né il giorno né l'ora in cui arriva lo sposo. Questa esortazione finale produce effetto se si collega al secondo versetto, dove si dice che le ragazze si dividono in due gruppi: "cinque di esse erano stolte e cinque sagge". La saggezza o la stoltezza delle ragazze è determinata dall'avere o no con sé olio sufficiente fino alla venuta dello sposo. La negligenza delle ragazze stolte è anche fonte di discussione all'interno del gruppo ("dateci del vostro olio..., no, che non abbia a mancare per noi e per voi") e determina la loro esclusione definitiva dalla festa di nozze ("più tardi arrivarono anche le altre vergini e cominciarono a dire: Signore, signore, aprici! Ma egli rispose: In verità vi dico: non vi conosco"). Vegliare, allora, significa avere con sé l'olio che permette alla lampada di restare sempre accesa e quindi poter accogliere prontamente lo sposo quando arriva.
L'incontro definitivo con Gesù Cristo, che realizza pienamente il regno dei cieli, è una festa. Tale avvenimento non va solo atteso o ricercato, ma è necessario prepararlo con assiduità. Chi non si prepara, non può rimediare all'ultimo momento alla sua negligenza. Ci si prepara adeguatamente all'incontro col Signore, vivendo con fedeltà la volontà del Padre che Gesù ci ha fatto conoscere. La volontà del Padre riusciamo a conoscerla e a viverla se quotidianamente ci alimentiamo alla mensa della Parola. Solo così l'olio non verrà mai a mancare nella vita del cristiano. La sua lampada risplenderà sempre davanti agli uomini; essi vedranno le opere buone e daranno gloria al Padre, e l'incontro definitivo con lui sarà così veramente una festa.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTUREIl tema dell'attesa della venuta del Signore collega le letture di questa domenica. L'evangelista Matteo, con la parabola delle dieci vergini, che partecipano alla festa di nozze, invita i sui lettori a prepararsi adeguatamente ad accogliere il Signore, tenendo sempre abbondante nella propria vita l'olio della volontà del Padre, accolta e vissuta. Questa necessità è indicata anche nella prima lettura col tema della "sapienza". Essa può essere identificata con la volontà del Padre, rivelata a noi per mezzo di Gesù Cristo. Chi di buon mattino si leva per ricercarla "non faticherà, la troverà seduta alla sua porta". Il testo dice anche "che essa medesima va in cerca di quanti sono degni di lei, appare loro ben disposta per le strade, va loro incontro con ogni benevolenza". La Lettera di Paolo ai tessalonicesi invita i cristiani di quella comunità a non rattristarsi per la morte di alcuni fratelli. Egli afferma con autorevolezza: "noi crediamo infatti che Gesù è morto e risuscitato; così anche quelli che sono morti, Dio li radunerà per mezzo di Gesù Cristo insieme con lui". La morte non deve far paura, perché i credenti vivono nell'attesa della venuta del Signore. La speranza di incontrare il Signore e di partecipare dei sui doni dovrebbe azzerare tutta la negatività della morte e dovrebbe essere fonte di conforto e di consolazione.
La vita(per continuare il lavoro nella riflessione personale)
Cerchiamo ora di interagire col testo del vangelo e chiediamoci :
- Quale parte del vangelo letto (in tutta la sua ampiezza) e commentato mi ha colpito di più e perché?
- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con quanto il vangelo ci comunica? Individuare almeno un punto su cui lavorare.
- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è un contributo che io posso dare, per diffondere il vangelo o per realizzarlo, che mi è stato ispirato dal vangelo letto e meditato?
(scegliere un impegno da vivere nella settimana)
3 Qoelet (qhlt) – EcclesiasteQuesto brano presenta una serie di esperienze di vita fatte da Qoelet per ercare di raggiungere un "guadagno".
2, 1Io dicevo fra me: "Vieni, dunque,
voglio metterti alla prova con la gioia. Gusta il
piacere!". Ma ecco,
anche questo è vanità. 2Del
riso ho detto: "Follia!" e della
gioia: "A che giova?".
3Ho voluto fare un'
esperienza: allietare il mio corpo con il
vino e così afferrare
la follia, pur dedicandomi con la mente alla sapienza. Volevo
scoprire se c'è qualche bene per gli uomini che essi possano realizzare sotto il cielo durante
i pochi giorni della loro vita. 4Ho intrapreso
grandi opere, mi sono
fabbricato case, mi sono
piantato vigneti. 5Mi sono
fatto parchi e giardini e vi ho
piantato alberi da frutto d'ogni specie; 6mi sono
fatto vasche per irrigare con l'acqua quelle piantagioni in crescita. 7Ho
acquistato schiavi e schiave e altri ne ho avuti nati in casa;
ho posseduto anche armenti e greggi in gran numero, più di tutti i miei predecessori a Gerusalemme. 8Ho accumulato per me anche
argento e oro,
ricchezze di re e di province. Mi sono procurato
cantori e cantatrici, insieme con
molte donne, delizie degli uomini. 9Sono divenuto
più ricco e più potente di tutti i miei predecessori a Gerusalemme, pur
conservando la mia sapienza. 10Non
ho negato ai miei occhi nulla di ciò che bramavano, né ho
rifiutato alcuna soddisfazione al mio cuore, che
godeva d'ogni mia fatica: questa è stata la parte che ho ricavato da tutte le mie fatiche. 11Ho
considerato tutte le opere fatte dalle mie mani e tutta la fatica che avevo affrontato per realizzarle. Ed ecco:
tutto è vanità e un correre dietro al vento. Non c'è alcun guadagno sotto il sole.
12
Ho considerato che cos'è la sapienza, la stoltezza e la follia: "
Che cosa farà il successore del re? Quello che hanno fatto prima di lui".
v. 1 Qoelet, siccome la sapienza non produce vantaggio all'uomo anzi dolore, decide di darsi alla vita spensierata percorrendo diverse esperienze che dovrebbero produrre gioia, allegria e piaceri. Già nel primo versetto l'autore conclude che anche questo percorso è vanità.
v. 2 Ora vengono analizzate alcune esperienze che dovrebbero portare gioia e piacere. Si parte considerando (il "ridere") il "piacere", che di per sé è conseguenza di un'altra azione che qui non è descritta. Il piacere sembra per Qoelet stolto e quindi privo intrinsecamente di valore, perché la stoltezza vale meno della sapienza come la tenebra vale meno della luce. Nessuna utilità nemmeno nell'allegria e nel riso. Forse l'autore intende con "allegria" un significato negativo e con "gioia" un significato positivo. Quindi "riso=allegria" indica spensieratezza stolta e non porta valore. Ma anche la gioia forse non serve a nulla.
v. 3 Questo secondo tipo di scelta è sulla stessa linea della precedente e va ancora più a fondo su ciò che è da dimenticare e folle. Qui l'autore mette insieme esperienze al limite del lecito e la ricerca della sapienza (che in questo caso sarebbe meglio tradurre con felicità). La ricerca della felicità è opposta alla ricerca della sapienza. Però egli vuole provare anche questa esperienza in quanto è tutto così assurdo in questo mondo che si può provare anche questo percorso.
v. 4-5 Inizia qui la descrizione di una nuova esperienza, un'attività creativa. Egli racconta tutto ciò che ha fatto di grande e di importante.
v. 7 Un'altra esperienza viene descritta che consiste nel possedere persone al proprio servizio, e tutti i piaceri che questo può portare. Una ricchezza veramente sovrabbondante che si manifesta negli armenti e nei greggi. Pensa che con tutto questo egli possa allietare la vita. Il riferimento qui è a Salomone che fu grande e lui lo è di più di tutti i suoi predecessori.
v. 8 Egli ammassa ricchezze di ogni genere di preziosi e di territori con tesosi di re vinti in guerra. Si procura cantori e cantore e tante donne (principesse).
v. 9 egli si autoincensa e sottolinea la sua ricchezza e potenza. L'acquisto dei beni e della potenza non era fine a se stesso, ma tutto serviva per trovare il bene per sé, per l'uomo e per il popolo? In tutto questo sperimentare la sapienza lo accompagnava sempre ed era in funzione della sapienza che egli realizzava tutto questo.
v. 10 Qoelet ripete che ha voluto provare tutto ciò che l'animo umano può desiderare. Egli ha riscontrato qualche guadagno e qualche felicità nel suo lavoro. Nella vita esiste qualcosa che vale e cioè la soddisfazione di fare e di provare se stesso nelle varie attività e nelle varie esperienze. Da queste attività dice Qoelet devono essere escluse riso e allegria che non recano alcun giovamento. L'agire con successo produce soddisfazione e considera positivo le esperienze creative e di possesso con tutti i tipi di piacere che producono.
v. 11 Dopo aver detto che c'è un guadagno per l'uomo, afferma che l'agire umano è senza senso e che tutto è vano. La soddisfazione del successo esiste, ma questa ha valore? La risposta è negativa e poi spiega ne versetto seguente il perché.
v. 12 Qoelet deve risolvere il valore della soddisfazione. Per risolverlo si domanda che cosa farà il suo successore. Per rispondere allarga lo sguardo e considera gli uomini che agiscono. E la dolorosa conclusione è che anche in futuro, come è avvenuto in passato, gli uomini faranno come si è comportato lui. L'uomo nelle esperienze non riesce a fare un salto di qualità. Il fatto che tutti si comportano allo stesso modo toglie importanza alla sua soddisfazione perché tutti fanno così anche i posteri. Quindi la sua soddisfazione non ha più senso.
- Qoelet e la sapienza greca, la filosofia greca che non possiamo ignorare.
- Il piacere e la gioia possono essere realtà effimere che non lasciano nulla. Pensiamo alla nostra cultura nella quale noi siamo completamente immersi.
- È bene fare tante esperienze ma occorre avere un fine un obiettivo da raggiungere.
- Essere in mezzo agli altri ci fa perdere la nostra identità e diventiamo gregge.
2 Qoelet (qhlt) – Ecclesiaste1, 12Io, Qoèlet,
fui re d'Israele a Gerusalemme. 13Mi sono
proposto di
ricercare ed
esplorare con
saggezza tutto ciò che si fa (è stato fatto)
sotto il cielo. Questa
è un'occupazione gravosa (brutta) che Dio ha dato agli uomini, perché vi
si affatichino. 14Ho
visto tutte le opere che si fanno sotto il sole, ed ecco:
tutto è vanità e un correre dietro al vento.
15Ciò che è
storto non si può raddrizzaree quel che
manca non si può contare.
16
Pensavo e dicevo fra me: "Ecco, io sono cresciuto e
avanzato in sapienza più di quanti regnarono prima di me a Gerusalemme. La mia mente ha
curato molto la sapienza e la scienza". 17Ho deciso allora di
conoscere la sapienza e la scienza, come anche
la stoltezza e la follia, e ho
capito che anche questo è un correre dietro al vento. 18Infatti:
molta sapienza, molto
affanno;
chi accresce il sapere aumenta il
dolore.
v. 12 Qoelet, che si definisce re d'Israele (è stato e lo è ancora?) e la tradizione lo ha identificato con Salomone, parla con la saggezza che gli deriva dall'aver già percorso il cammino dell'esperienza, senza la quale, per lui, non c'è alcuna conoscenza. "Fui re" nel senso non dopo la vita, ma dopo l'esperienza fatta.
v. 13 Qoelet insiste che egli ha indagato sul reale in modo personale con la sapienza-saggezza. Questo atteggiamento di Qoelet rivela il legame dell'autore con la mentalità greca di ricerca e di studio della realtà. Che cosa è la sapienza? È una facoltà umana attraverso la quale si compie un'indagine, una ricerca di qualsiasi tipo. Essa sembra anche indicare tutte le facoltà umane intellettive che corrispondono alla nostra "ragione", ma con un'area semantica più grande perché include anche la capacità di destreggiarsi nella vita e fare le scelte giuste (discernimento?). Egli quindi si è interessato di tutto ciò che avviene sotto il cielo. "Ciò che è stato fatto" rimanda a Dio creatore.
"E' una occupazione gravosa (brutta)" ricercare perché (cfr. v.17) la presa di coscienza del reale non serve ad aumentare la gioia, ma il dolore. La facoltà di conoscere è attribuita a Dio. Quindi Dio ha creato l'uomo e la donna "per conoscere", ma questo non è una gioia ma un dolore. Qui emerge subito un primo elemento dell'idea di Dio di Qoelet: è il creatore. Egli dona la sapienza perché le persone se ne occupino (gravosa?) con la ricerca. Tutta l'opera dell'uomo si esercita su ciò che Dio ha creato, perché l'uomo deve curarsene per tutta la vita. L'opera dell'uomo si esercita sull'opera di Dio e la presuppone. Dio e l'uomo sono all'opera nel mondo. La loro attività si incrociano, si incontrano e si scontrano. Spesso Qoelet ritorna su questo tema.
v. 14 La ricerca di Qoelet e la sua esperienza lo portano a concludere che tutto è vanità e tutto è un lavoro senza senso.
v. 15 Vengono ora elencati degli elementi che in natura si trovano storti e che l'uomo non può raddrizzare o delle carenze che non si possono colmare. Le leggi della natura sono immodificabili anche se per l'uomo sono gravi da sopportare. "Non si può contare" nel senso che non tutto ciò che esiste può essere sperimentato e conosciuto. Di conseguenza la possibilità di sperimentare ha un limite e quindi anche la conoscenza è limitata.
v. 16-18 L'autore esterna delle sue riflessioni elaborate. Inizia constatando che il suo impegno l'ha reso superiore ai suoi predecessori e la sua mente ha guadagnato in sapienza e scienza. Era l'obiettivo del saggio conoscere tutti gli aspetti della realtà. Questa era la sapienza tradizionale che includeva anche la scienza cioè ricercare l'opera di Dio nella creazione per raggiungere la sapienza. Egli però vuole andare oltre e sperimentare ed indagare anche ciò che era considerato pericoloso e cioè stolto e folle. Che cosa era stolto e folle? Acquistare case, vigne, ville, giardini, servi e serve, tutto ciò che era desiderabile e non rinunciare a nulla. Infatti "chi è veloce a diventare ricco non sarà senza colpa" dice Proverbi 28,20. Tutto questo esercizio è molto stressante e al limite delle capacità umane. Il saggio cerca di mettere distanza dalla sapienza e dalla stoltezza ma anche questo è vanità. La tensione degli opposti tenuti insieme, senza rifiutare l'uno o l'altro è un lavoro pesante e inutile. La conclusione però sembra amara in quanto il risultato della sua ricerca l'ha portato a concludere che sperimentare e ricercare è una occupazione assurda. Infatti "dove c'è molta sapienza c'è molta tristezza (affanno) e aumentando la scienza si aumenta il dolore". Il pensiero comune ritiene che aumentando l'impegno e lo sforzo di conoscere ci sia un guadagno. Invece diminuisce la gioia anche spiritualmente e questo è assurdo. Qui resta non chiarito in che cosa consista il dolore. Esso probabilmente è da identificarsi nella conseguenza immediata della presa di coscienza del reale che si rivela assurdo e vano: tanto più l'uomo è sapiente, e più sa che il mondo è cosa vana, senza nessuna utilità o guadagno possibile per l'uomo. È la sofferenza che deriva dal tenere insieme le cose, dal fallimento di questa operazione e dalla inutilità di tutto questo.
- Ritorna l'affermazione che la conoscenza vera arriva dopo l'esperienza
- Tutto ciò che esiste rimanda a Dio e l'uomo deve scoprire le sue leggi
- Il lavoro è impegnativo, stressante e a volte senza risultati
- Non si raggiunge nessun obiettivo senza impegno e dolore
La vitaCerchiamo ora di interagire col testo biblico e chiediamoci:
- Quale parte del vangelo letto e commentato mi ha colpito di più e perché?
- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con l'insegnamento di Gesù?
- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è qualcosa di urgente a cui io posso contribuire per un miglioramento evangelico della realtà?
Qoelet (qhlt) – EcclesiasteIl nomeIl vocabolo sembra derivare dalla radice ebraica qal che vocalizzata diventa qãhãl e significa "assemblea". La traduzione greca diventa ecclesìa da cui deriva il titolo di Ecclesiate. Di che assemblea si tratta? Assemblea liturgica o assemblea civile pubblica? Il personaggio autore del testo è un componente dell'assemblea o è uno che parla all'assemblea? È un problema secondario perché a noi interessa cogliere il messaggio che l'autore vuole comunicare col testo.
Testo1, 1
Parole di Qoèlet, figlio di Davide, re a Gerusalemme.
2
Vanità delle vanità, dice Qoèlet,
vanità delle vanità:
tutto è vanità.
3
Quale guadagno viene all'uomo
per tutta la fatica con cui si affanna sotto il sole?
4
Una generazione se ne va e un'altra arriva,
ma
la terra resta sempre la stessa.
5Il
sole sorge, il sole tramonta
e si affretta a tornare là dove rinasce.
6Il
vento va verso sud e piega verso nord.
Gira e va e sui suoi giri ritorna il vento.
7Tutti i
fiumi scorrono verso il mare,
eppure il
mare non è mai pieno:
al
luogo dove i fiumi scorrono,
continuano a scorrere.
8Tutte
le parole si esauriscono
e nessuno è in grado di esprimersi a fondo.
Non si sazia l'
occhio di guardare
né l'
orecchio è mai sazio di udire.
9
Quel che è stato saràe quel che si è fatto si rifarà;non c'è niente di nuovo sotto il sole.
10C'è forse qualcosa di cui si possa dire:
"Ecco, questa è una
novità"?
Proprio questa è già avvenuta
nei secoli che ci hanno preceduto.
11
Nessun ricordo resta degli antichi,
ma neppure di coloro che saranno
si conserverà memoria
presso quelli che verranno in seguito.
v.1 Il primo versetto può essere considerato il titolo di tutto il libro; questo e viene generalmente attribuito ad un discepolo che raccolse gli insegnamenti del maestro. È sicuramente uno "pseudepigrafo", cioè uno scritto realizzato da uno pseudonimo che non rivela la sua identità perché ciò che conta è l'insegnamento sapienziale che lui vuole comunicare.
"Parole" è un termine generale che vuole indicare tutti gli insegnamenti che lui darà.
"Figlio di Davide, re di Gerusalemme" il personaggio in questione è stato identificato con Salomone il re sapiente per eccellenza. L'opera è stata scritta più tardi dell'epoca salomonica, la lingua e i problemi descritti sono di epoca successiva. Tutti sapevano che non era Salomone l'autore, ma attribuire un testo ad un autore antico e riconosciuto da tutti saggio era un modo per dare autorevolezza allo scritto e per dire che conteneva gli insegnamenti che provenivano da lui.
v.2 La parola "vanità" è il termine più amato da Qoelet e significa soffio, nebbia leggera che svanisce velocemente e non lascia segno, qualcosa che fugge. L'espressione assume anche il senso di "assurdità" in quanto si crea una situazione che l'individuo non sa orientarsi. Vanità delle vanità, cioè vanità immensa.
v.3 Quale guadagno esiste ad essere uomini? Che utilità esiste ad essere uomini? Le espressioni 'fatica ed affanno' indicano il lavoro nel suo complesso con tutta la fatica che comporta durante il giorno 'sotto il sole', infatti di notte non si lavorava.
Nei versetti 2-3 l'autore il tema di tutta l'opera: c'è qualcosa di bene per l'uomo nella vita? Quale utilità c'è per l'uomo nella vita?
v.4 La storia è fatta dal succedersi di tante generazioni, sempre nuove, ma in mezzo al mutare degli eventi, la terra con i suoi abitanti e le loro vicende sono sempre immobili. Tutto sulla terra si muove ma essa non cambia mai; le generazioni passano ma la storia resta sempre la stessa.
v.5 Come è immobile la terra così è immobile il ciclo del sole.
vv. 6-7 Esempi di immobilità e di staticità.
v. 8 La Parola è limitata così come lo è la vista e l'udito
v. 9 C'è un ritmo di vita immutabile che si sussegue nel tempo senza novità.
v. 10 Non c'è nulla di nuovo e tutto si ripete
v. 11 Anche delle persone non ci sarà nessun ricordo.
In questi versetti l'autore esprime alcuni capisaldi del suo pensiero. Ciò che si muove è come se fosse fermo perché non uscirà mai dall'ordine impresso dalla natura. Pertanto tutto ciò che l'uomo compie sarà sempre dentro i limiti dell'umano. Tutto ciò che c'è è sempre stato e sempre sarà. La conoscenza per Qoelet è sempre frutto di esperienza (cfr. 2,3) e l'esperienza è sempre limitata. Però egli non è pessimista perché l'uomo nella natura è in grado di conoscerne le leggi ed è consapevole di conoscerne solo una parte.
Per noi:
- Invito ad essere consapevoli dei nostri limiti e non considerarci onnipotenti.
- Il creato la natura va rispettata e non stravolta.
- È opportuno esercitare sempre la coscienza critica su noi stessi e le nostre attività chiedendoci se è utile per noi e per l'umanità ciò che facciamo
LETTURA - COMMENTO - VITA
Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 5 novembre 2023 – XXXI Domenica del Tempo Ordinario A
Servire nell'amoreMalachia 1, 14b-2,2b.8-10 . Salmo 130 . 1 Tessalonicesi 2, 7b-9.13 . Matteo 23, 1-12
Lettura
Continua nel tempio di Gerusalemme il confronto - scontro tra Gesù ed i capi religiosi e politici. Dopo la precisazione sul comandamento più importante di domenica scorsa, l'evangelista Matteo riporta un passo dove Gesù chiarisce il collegamento tra Messia e figlio di Davide. Nello stesso tempo egli dichiara la sua superiorità, perché "Signore". Segue il lungo brano di denuncia di Gesù contro i farisei (23, 1-39) del quale oggi leggiamo una parte.
Mt 23, 1-121Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli 2dicendo: "Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. 3Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. 4Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. 5Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; 6si compiacciono dei posti d'onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, 7dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati "rabbì" dalla gente.8Ma voi non fatevi chiamare "rabbì", perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. 9E non chiamate "padre" nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. 10E non fatevi chiamare "guide", perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. 11Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; 12chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato.CommentoIl testo si apre presentando i destinatari della prima parte del discorso di Gesù: la folla ed i suoi discepoli. A costoro, dopo aver affermato l'autorevolezza degli scribi e dei farisei in quanto continuatori del ministero di Mosè, Gesù rivolge la prima esortazione: "quanto vi dicono fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno". Seguono le motivazioni concrete che illustrano cosa significa: "dicono e non fanno". Secondo Gesù gli scribi ed i farisei impongono un legalismo oppressivo alla gente, che veramente risulta schiacciata. Tutto quanto è prescritto dai capi non è da loro assolutamente preso in considerazione: "non vogliono muoverli neppure con un dito". Infine essi sono considerati esibizionisti e bigotti, perché "tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini". Infatti i filatteri e le frange allungati, il saluto ricevuto nelle piazze ed il titolo di "rabbi" sono indici di religiosità no autentica, finalizzata al prestigio e alla ricerca di privilegi personali. Per evirate che i discepoli cadano in questi tranelli, Gesù dà loro una regola di comportamento. Essi non devono farsi chiamare "maestro" e "padre", perché solo Gesù Cristo è il loro maestro e soltanto il Padre del cielo è il loro padre autentico. Da ultimo Gesù invita i suoi a vivere il servizio vicendevole. Chi più ha responsabilità nella comunità maggiormente è chiamato a mettersi al servizio dei fratelli nelle piccole cose di ogni giorno.
Chi ha responsabilità nella comunità e chi da sempre vive in essa corre il rischio di arroccarsi in sicurezze e formalismi, che fanno perdere di vista lo scopo principale della vita comunitaria. Questo resta sempre l'incontro con Dio Padre per mezzo di Gesù Cristo. Il pericolo denunciato da Gesù si può evitare se si mettono in pratica gli insegnamenti da lui dati e se nella comunità si vive la fraternità, esercitando concretamente il servizio vicendevole nell'amore.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTUREL'invito a vivere con coerenza la propria fede collega le letture della domenica. La critica di Gesù ai capi religiosi del giudaismo è un invito a tutti i discepoli a non ricercare nella religiosità soltanto interessi materiali oppure comportamenti esterioristici, ma a fare di essa l'occasione per vivere l'incontro con Gesù Cristo, l'unico maestro, e per sperimentare la paternità di Dio. Anche la prima lettura è in questa linea. Il profeta si rivolge ai sacerdoti del tempio e li richiama al loro dovere fondamentale: "se non mi ascoltate e non vi prendete a cuore di dar gloria al mio nome". Essi devono poi istruire il popolo perché resti fedele all'alleanza e quindi riceva la benedizione di Dio, cioè rinnovi continuamente l'incontro con lui. La seconda lettura presenta la testimonianza di Paolo. Egli, scrivendo ai tessalonicesi, offre l'occasione per dire come deve essere il sevizio nella comunità: "siamo stati in mezzo a voi come una madre nutre ed ha cura delle proprie creature". L'amore di Paolo per i suoi fratelli, lo spinge ad essere disposto a dare la sua stessa vita per loro e per la loro crescita. È questo l'atteggiamento concreto che porta poi ad una vera coerenza di vita.
La vita(per continuare il lavoro nella riflessione personale)
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- Quale parte del vangelo letto (in tutta la sua ampiezza) e commentato mi ha colpito di più e perché?
- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con quanto il vangelo ci comunica? Individuare almeno un punto su cui lavorare.
- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è un contributo che io posso dare, per diffondere il vangelo o per realizzarlo, che mi è stato ispirato dal vangelo letto e meditato?
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LETTURA - COMMENTO - VITA
Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 29 ottobre 2023 – XXX Domenica del Tempo Ordinario A
Amare Dio ed il prossimoEsodo 22, 20-26 . Salmo 17 . 1 Tessalonicesi 1, 5c-10 . Matteo 22, 34-40
Lettura
Continua il confronto - scontro tra Gesù ed alcuni esponenti significativi della comunità ebraica su due questioni nodali. Dapprima il dibattito si focalizza sul problema della resurrezione dei morti (22, 23-33). Poiché i sadducei non credevano nella resurrezione dei morti, cercano di incastrare Gesù su questa tematica. Gesù risponde dicendo che la questione della resurrezione non va trattata secondo le categorie umane, essa è qualcosa di diverso. La stessa identità di Dio porta a credere alla vita eterna. La seconda questione riguarda il comandamento più importante (22, 34-40).
Mt 22, 34-40
34 Allora i farisei, avendo udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme 35 e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: 36 "Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?". 37 Gli rispose: "Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. 38 Questo è il grande e primo comandamento. 39 Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. 40 Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti".CommentoIl testo si apre presentando ancora il contesto di controversia all'interno della quale si colloca la vicenda. Questa volta sono di scena i farisei. Costoro, "udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono... per metterlo alla prova". Un dottore della legge, un giurista, pone a Gesù una domanda con intenzione insidiosa: "Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?". Egli, partendo dall'usanza diffusa a quel tempo di sintetizzare in una frase il principio unificatore della spiritualità ebraica, cerca di trovare nelle parole di Gesù motivi per condannarlo. La risposta di Gesù si colloca su un altro piano e diventa un insegnamento autorevole. Dapprima Gesù ripropone un precetto basilare della vita ebraica: "amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente". Dio va amato in modo integro e totale dall'uomo, per questo vengono indicate le sue facoltà fondamentali: cuore, anima e mente. Ciò significa che è necessario conoscere Dio (mente) in ogni aspetto della sua identità, del suo insegnamento e delle sue opere. Con Dio occorre anche costruire una relazione di affetto, che lo collochi al centro della vita della persona (cuore). Dio deve anche ispirare tutta la vita, le scelte e i comportamenti umani (anima). Anche l'amore al prossimo, indicato come secondo comandamento, è presentato da Gesù con le stesse esigenze dell'amore a Dio. Le parole di Gesù si chiudono dichiarando i due comandamenti sull'amore come cardini di tutta la rivelazione biblica: "da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge ed i Profeti".
Gesù non si lascia invischiare nella polemica provocatoria messa in atto dai suoi avversari. Egli, riprendendo due testi fondamentali della tradizione ebraica, contenuti nella Torà, dà un nuovo insegnamento ai suoi uditori. L'amore a Dio e al prossimo vanno espressi nella vita in modo totale ed integrale, sviluppando tutte le loro dimensioni. Solo così si evita il formalismo religioso e si realizza pienamente la volontà di Dio Padre.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTURELa novità, introdotta da Gesù nel vangelo, di amare in modo totalitario Dio ed il prossimo, collega le letture di questa domenica. Nella prima lettura, li libro dell'Esodo presenta prescrizioni a tutela delle figure più deboli della società: il forestiero, la vedova, l'orfano, l'indigente ed il prossimo povero. Queste persone non occorre molestarle, né opprimerle, né maltrattale; ad esse non bisogna imporre alcun interesse o sottrarre il mantello, perché la collera di Dio si accenderà sugli oppressori in quanto ascolta sempre il grido di aiuto del povero. Anche la seconda lettura, presentando la testimonianza di Paolo ai tessalonicesi, sottolinea la loro decisione nel seguire Dio. Essi infatti si sono convertiti a Dio, allontanandosi dagli idoli, "per servire il Dio vivo e vero". Chi accoglie la parola di Gesù "con la gioia dello Spirito Santo, anche in mezzo a tribolazioni", ha la possibilità reale di amare Dio ed il prossimo, diventa modello a tutti i credenti e attende la venuta del Figlio di Dio, "che egli ha risuscitato dai morti e che ci libera dall'ira ventura".
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Goito 22 ottobre 2023 – XXIX Domenica del Tempo Ordinario A
Nel mondo con lo sguardo rivolto a DioIsaia 45, 1.4-6 . Salmo 95 . 1 Tessalonicesi 1, 1-5b . Matteo 22, 15-21
Lettura
Il brano odierno si colloca in san Matteo in una controversia tra Gesù ed alcuni gruppi rappresentativi del giudaismo: i sadducei, i farisei e gli erodiani. I farisei erano laici ed esigevano in tutti i campi un'osservanza assolutamente stretta della Legge ed anche della tradizione orale degli antichi. Essi credevano alla resurrezione ed in una retribuzione futura. Questi aspetti di fede non erano invece accolti dai sadducei, gruppo a cui appartenevano tutti i discendenti di stirpe sacerdotale. I sadducei erano anche conservatori nel senso più stretto. Il gruppo degli erodiani era formato da ebrei che si erano associati in una specie di partito a sostegno di Erode il grande e dei suoi discendenti.
Mt 22, 15-2115 Allora i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come coglierlo in fallo nei suoi discorsi. 16 Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: "Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. 17 Dunque, di' a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?". 18 Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: "Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? 19 Mostratemi la moneta del tributo". Ed essi gli presentarono un denaro. 20 Egli domandò loro: "Questa immagine e l'iscrizione, di chi sono?". 21 Gli risposero: "Di Cesare". Allora disse loro: "Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio". 22 A queste parole rimasero meravigliati, lo lasciarono e se ne andarono.CommentoNei primi versetti vengono presentati i personaggi della scena che si apre e lo scopo della vicenda: "tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo nei suoi discorsi". Al centro del racconto abbiamo Gesù, che viene coinvolto con una domanda sul problema della liceità di pagare o no il tributo a Cesare. La domanda è subdola e Gesù smaschera subito l'intenzione dei suoi interlocutori: "ipocriti, perché mi tentate?". Infatti la questione posta vuole coinvolgere Gesù in uno schieramento politico o a favore o contro il potere di occupazione romano. Per i giudei pagare il tributo a Cesare era segno di sottomissione ad un potere straniero e nello stesso tempo era considerato una forma di idolatria, perché l'imperatore romano attribuiva a sé anche un culto esterno. Questo non poteva essere esercitato dagli ebrei, che dovevano adorare solo Dio e soltanto a lui rendere culto. Gesù risolve il problema chiedendo di vedere la moneta del tributo. Poiché essa portava l'immagine e l'iscrizione di Cesare, egli sentenzia dicendo: "rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio". Così Gesù non si schiera da alcuna parte. Egli introduce il principio che la correttezza nel pagare le tasse può coesistere con la scelta religiosa di fedeltà a Dio. Il brano si chiude col v. 22, non riportato dal testo liturgico, dove si dice che gli interlocutori di Gesù rimangono meravigliati delle sue parole e tutti se ne vanno.
È un falso problema ritenere inconciliabili la scelta di seguire Dio e l'impegno nelle realtà terrene! Il credente è invitato ad essere consapevole che Dio non s'identifica in esse ed è infinitamente superiore. Nello stesso tempo Gesù invita i suoi a svolgere con responsabilità i propri compiti nel "mondo", e chiede anche con decisione di qualificare notevolmente la loro relazione con Dio Padre.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTURELa scelta decisiva, di essere fedeli a Dio da parte dei credenti, collega le letture di questa domenica. Nel testo di Isaia il profeta, a nome di Dio, presenta il ruolo di Ciro, re dei persiani, nel rientro dei deportati e nella ricostruzione di Gerusalemme: "io l'ho preso per la destra, per abbattere davanti a lui le nazioni... e nessun portone rimarrà chiuso". Dio si serve di Ciro per realizzare il bene del suo popolo. Infatti egli dichiara: "Io sono il Signore e non v'è alcun altro; fuori di me non c'è dio". Chi si fida di questo Dio e lo colloca all'apice dei suoi obiettivi non resta deluso: "Io sono il Signore e non v'è alcun altro". Non è il tributo pagato a Cesare che ha la capacità di incrinare il rapporto profondo che gli individui hanno creato col loro Dio, dice Gesù nel testo di Matteo. Dio non entra in concorrenza col potere di Cesare, in quanto si colloca su di un piano superiore. Gesù chiede ai sui discepoli di schierarsi dalla parte di Dio Padre e di relativizzare poi tutte le realtà terrene. Per questo allora con Paolo anche noi dobbiamo "ringraziare sempre Dio", per i doni avuti, per l'impegno nella fede e per aver ricevuto "la costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo".
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Goito 15 ottobre 2023 – XXVIII Domenica del Tempo Ordinario A
Tutti chiamati alla comunione con DioIsaia 25, 6-10a . Salmo 22 . Filippesi 4, 12-14.19-20 . Matteo 22, 1-14
Lettura
Continua il confronto polemico tra Gesù ed i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo. Con loro Gesù cerca di comunicare con la parabola. La parabola è un racconto inventato, tratto dall'esperienza comune delle persone, che ha la possibilità, per chi comprende, di fa conoscere qualcosa di importante o di Gesù o del Regno di Dio. Analizziamo il racconto odierno.
Mt 22, 1-141 Gesù riprese a parlare loro con parabole e disse: 2 "Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. 3 Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. 4 Mandò di nuovo altri servi con quest'ordine: "Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!". 5 Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; 6 altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. 7 Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. 8 Poi disse ai suoi servi: "La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; 9 andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze". 10 Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. 11 Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l'abito nuziale. 12 Gli disse: "Amico, come mai sei entrato qui senza l'abito nuziale?". Quello ammutolì. 13 Allora il re ordinò ai servi: "Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti". 14 Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti".CommentoDopo il versetto introduttivo abbiamo la parabola, che si divide in due parti. La prima contiene l'identificazione del regno dei cieli come "un re che fece una festa di nozze per suo figlio", un duplice invio di servi "a chiamare gli invitati alle nozze" e il persistente rifiuto degli invitati a partecipare al banchetto preparato dal re. La scena si chiude con la reazione del re e la punizione degli invitati, i quali arrivano addirittura ad uccidere i servi a loro mandati. La seconda parte si apre con un nuovo invio dei servi a radunare dalle piazze e dalle strade nuovi invitati al banchetto di nozze. I servi eseguono il comando del re e "la sala delle nozze si riempì di commensali", secondo il progetto originario. Infine è narrata l'ispezione compiuta dal re nella sala, dove erano raccolti i commensali. Colpisce a questo punto la condanna inflitta all'invitato che non indossa l'abito bianco. La scena è simbolica, anche se si radica in una tradizione ebraica. Si vuole così sottolineare che al banchetto preparato dal re non si può partecipare con superficialità, senza preparazione e adeguate attrezzature. Molto probabilmente la veste allude alla coerenza tra fede e vita, richiesta per partecipare alla comunità dei credenti e al banchetto definitivo preparato dal Signore. Chi non indossa tale veste riceve la condanna eterna: "legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti". Una sentenza chiude il brano: "perché molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti". Dio chiama tutti al suo banchetto; dipende poi dai singoli aderire pienamente all'elezione.
Dio chiama incessantemente le persone a partecipare alla comunione e all'amicizia con lui. Egli usa strategie impensabili per creare tale relazione. Purtroppo l'uomo sovente disattende l'opera di Dio perché travolto dalle cose e dalle vicende, perché incapace di coniugare assieme fede e vita, perché lento e superficiale nella risposta.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTUREIl banchetto preparato dal Signore e l'insistenza con cui chiama tutti a parteciparvi connota particolarmente la Liturgia della Parola di oggi. Nella prima lettura, dopo l'esilio, i credenti rinnovano la loro fede in Dio e dicono: "Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse". Ritornati in patria, immaginano la convocazione operata da Dio sul monte Sion come "un banchetto di grasse vivande, ... un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati". A questo appuntamento egli attende tutti i popoli per incontrarsi con loro. Anche nel vangelo, oltre al banchetto preparato emerge l'insistenza con cui il re manda i servi per riempire la sala da pranzo. La lettera di Paolo potrebbe indicare l'atteggiamento che il credente dovrebbe assumere nei confronti delle realtà materiali, dopo aver fatto esperienza di comunione con Dio per mezzo di Gesù Cristo. Egli infatti colma ogni "bisogno secondo la sua ricchezza con magnificenza in Cristo Gesù". Chi ha partecipato al banchetto preparato da Dio e ad esso aderisce continuamente, non si lascia più condizionare dalla povertà o dalla ricchezza ed è "iniziato a tutto, in ogni maniera: alla sazietà e alla fame, all'abbondanza e all'indigenza".
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Unità Pastorale Madonna della Salute
Goito 8 ottobre 2023 – XXVII Domenica del Tempo Ordinario
L'amore produce frutti di salvezzaIsaia 5, 1-7 . Salmo 79 . Filippesi 4, 6-9 . Matteo 21, 33-43
Lettura
Continua la lettura del capitolo ventunesimo di san Matteo. Gesù è entrato solennemente a Gerusalemme ed ora si trova nel tempio dove, nei cortili antistanti il santuario, il confronto polemico con i capi si fa sempre più vivo.
Mt 21,33-4333Ascoltate un'altra parabola: c'era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. 34Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. 35Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. 36Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. 37Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: "Avranno rispetto per mio figlio!". 38Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: "Costui è l'erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!". 39 Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. 40Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?". 41Gli risposero: "Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo".42 E Gesù disse loro: "Non avete mai letto nelle Scritture:La pietra che i costruttori hanno scartatoè diventata la pietra d'angolo;questo è stato fatto dal Signoreed è una meraviglia ai nostri occhi?43Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti.CommentoDopo la parabola letta domenica scorsa, troviamo l'invito rivolto da Gesù ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo perché ascoltino un'altra parabola. Il testo si articola in due parti: il racconto parabolico dei vignaioli ribelli e omicidi (21, 33b-39) e la sua applicazione mediante un dialogo tra Gesù ed i suoi interlocutori (21, 40-43). Il testo liturgico lascia cadere i versetti 44-46 che presentano una sentenza di Gesù e la reazione dei capi e dei farisei, i quali capiscono che Gesù si riferisce a loro. La parabola si apre presentando un padrone che con somma cura pianta una vigna in un podere, attrezzandola di tutte le strutture necessarie, e poi l'affida in affitto a dei vignaioli perché la coltivino con impegno e raccolgano di conseguenza frutti abbondanti. Segue l'altra parte della parabola tutta dedicata alle iniziative intraprese dal padrone per avere dai vignaioli i frutti della vigna. Dapprima manda i servi "da quei vignaioli a ritirare il raccolto", ma questi vengono uccisi. Poi invia altri servi che subiscono la stessa sorte dei primi. Infine manda il figlio, perché risolva definitivamente la questione, ma il dramma si acutizza. I vignaioli, vedendo a portata di mano la possibilità di impossessarsi dell'eredità, prendono il figlio, "lo cacciano fuori della vigna e lo uccisero". Con la domanda: "quando dunque verrà il padrone della vigna che cosa farà a quei contadini?", Gesù inizia ad applicare la parabola ai suoi ascoltatori. Infatti la risposta data dagli ascoltatori diventa una sentenza che ricade su loro stessi. Le parole di Gesù poi riprendono il tema della risposta data e lo definiscono: "perciò io vi dico: a voi vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un altro popolo che ne produca frutti". Nel versetto precedente Gesù ha indicato anche quale deve essere l'innesto sicuro per portare frutti: "la pietra che i costruttori hanno scarta è diventata la pietra d'angolo".
Attraverso Gesù Cristo, la pietra angolare, Dio Padre cura i rapporti col suo popolo. Questo, di conseguenza, deve dare frutti come segno di comunicazione efficace col suo Dio. I frutti da produrre si collocano nell'ambito della salvezza che viene dal Signore e che si realizza nel seguire fedelmente i suoi insegnamenti. L'amore a Dio Padre e alla sua volontà, per mezzo di Gesù Cristo, garantisce una messe abbondante di frutti di salvezza.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTUREL'immagine della vigna ritorna nelle letture di questa domenica. Essa diventa immagine del popolo eletto e rimanda al rapporto di salvezza e all'alleanza che Dio ha realizzato col suo popolo. Nella prima lettura abbiamo il noto "canto della vigna" di Isaia. L'autore si presenta amico dello sposo che canta per lui "un cantico d'amore per la sua vigna". Il canto di Isaia si articola in tre momenti. Dapprima si presentano le cure particolareggiate riservate dal viticoltore alla sua vigna e la delusione finale per i frutti non avuti: "egli aspettò che producesse uva, ma essa fece uva selvatica". Poi c'è la decisione di abbandonare la vigna sterile perché diventi pascolo per gli animali: "toglierò la sua siepe e si trasformerà in pascolo". Infine il profeta applica tutto il discorso precedente alla casa d'Israele: "la vigna del Signore degli eserciti è la casa d'Israele; gli abitanti di Giuda la sua piantagione preferita". Dal suo popolo Dio "si aspettava giustizia, ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudini ed ecco grida di oppressi". Anche il brano evangelico, partendo dalla parabola della vigna, focalizza il discorso sui suoi frutti, che il padrone vuole raccogliere. La seconda lettura si collega con le altre in quanto indica atteggiamenti e scelte pratiche che permettono di essere vigna del Signore e di portare frutti per il Signore, seguendo l'esempio di Paolo.
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Goito 1 ottobre 2023 – XXVI Domenica del Tempo Ordinario - A
Nella volontà del Padre si è figli e fratelliEzechiele 18, 25-28 . Salmo 24 . Filippesi 2, 1-11 . Matteo 21, 28-32
Lettura
Il capitolo ventunesimo di san Matteo ci presenta Gesù a Gerusalemme. Dopo aver lasciato Gerico giunge a Betfage. Da qui inizia l'ingresso messianico nella città santa, cavalcando un'asina, mentre la gente lo acclama e stende mantelli sulla strada. Entrato nel tempio, scaccia coloro che vendono e comprano, perché la sua casa è di preghiera e non un covo di ladri. È proprio qui che si acutizza il contrasto con i capi dei sacerdoti ed i notabili del tempio. Questo è il contesto immediato del brano odierno.
Mt 21, 28-3228"Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: "Figlio, oggi va' a lavorare nella vigna". 29Ed egli rispose: "Non ne ho voglia". Ma poi si pentì e vi andò. 30Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: "Sì, signore". Ma non vi andò. 31Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?". Risposero: "Il primo". E Gesù disse loro: "In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. 32Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli.CommentoIl brano si apre con la parabola dei due figli, incorniciata da due domande rivolte agli ascoltatori. "Che ve ne pare?" dice Gesù, chiedendo così un parere esplicito ai suoi interlocutori. Egli presenta poi il caso di un padre con due figli. Al primo figlio comanda di andare a lavorare nella vigna di famiglia e subito egli reagisce dichiarando di non voler andare perché non ha voglia. Poi ritorna sulla sua decisione, si pente della risposta data e va al lavoro nella vigna. Il secondo davanti alla proposta del padre sembra aderire con entusiasmo all'invito e dice: "si, Signore". Ma il racconto prosegue annotando che invece non andò. La seconda domanda chiude la parabola di Gesù: "chi dei due ha compiuto la volontà del padre?". La risposta corale degli uditori di ieri e di oggi è a favore del primo figlio e "tutti dicono il primo". Questa risposta non è soltanto un'affermazione verbale, ma nell'intenzione di Gesù, coinvolge esistenzialmente tutti i suoi ascoltatori e diventa giudizio per la vita di ciascuno. Infatti le parole di Gesù che seguono diventano estremamente chiarificatrici. I pubblicani (cioè gli imbroglioni ed i ladri istituzionalizzati) e le prostitute, che sembrano aver detto di no al regno di Dio e alle sue regole, di fatto precedono in esso i notabili del tempio ed i capi dei sacerdoti, perché queste categorie di persone rispecchiano i due atteggiamenti dei due figli presentati dalla parabola. La prova concreta di quanto Gesù sta affermando è data dall'atteggiamento che le persone hanno avuto nei confronti di Giovanni il battista. Egli, il profeta del deserto, ha invitato alla conversione, ma nessuno lo ha preso sul serio se non i pubblicani e le prostitute. La stessa cosa capita anche a Gesù che è accolto, seguito e amato da coloro che erano messi al bando nella società del tempo. La conclusione del brano è molto realistica e segnata da un velo di amarezza: "voi (che siete i prediletti) pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti così da credergli".
Non sono le strutture religiose e nemmeno i comportamenti esteriori e formali che salvano, ma la logica del Padre celeste insegnata da Gesù. Egli infatti invita i suoi a non accontentarsi di una fede verbale e teorica. I veri discepoli, quelli che costituiscono la nuova comunità dei figli e dei fratelli, sono quelli che fanno la volontà del Padre che è nei cieli.
COLLEGAMENTO FRA LE LETTUREIl tema della volontà di Dio Padre collega la liturgia della Parola di questa domenica. È la volontà del Padre, rivelata da Gesù e accolta nella vita di ciascuno, che rende figli fedeli. Non contano le strutture e nemmeno i comportamenti esteriori. Dio guarda soprattutto la fedeltà di ciascuno agli insegnamenti da lui lasciati. In questa prospettiva va letta la prima lettura. Non è la condotta di Dio che va messa in discussione, ma quella degli uomini. "Se il giusto si allontana dalla giustizia (dalla salvezza portata da Dio) ... egli muore appunto per l'iniquità che ha commesso". Per questo è necessario vigilare per non allontanarsi dalla fonte della giustizia, per evitare le colpe e così vivere in Dio. La lettera ai Filippesi di san Paolo indica il criterio di fondo per fare sempre la volontà di Dio Padre: "abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù". Solo così si può essere obbedienti al Padre, non si fa nulla per spirito di vanagloria, si considerano gli altri superiori a se stesso, non si cerca il proprio interessa ma quello degli altri.
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