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Lectio divina sul Libro dell'Apocalisse - 18

APOCALISSE
Diciottesima Lettura

Lettura
Dopo la lunga serie di eventi che erano seguiti allo squillo della seta tromba (9,13-21) ora assistiamo al suono della settima ed ultima tromba.

Ap 11, 15-19
15Il settimo angelo suonò la tromba e nel cielo echeggiarono voci potenti che dicevano: "Il regno del mondo appartiene al Signore nostro e al suo Cristo: egli regnerà nei secoli dei secoli". 16Allora i ventiquattro anziani, seduti sui loro seggi al cospetto di Dio, si prostrarono faccia a terra e adorarono Dio dicendo: 17"Noi ti rendiamo grazie, Signore Dio onnipotente, che sei e che eri, 18perché hai preso in mano la tua grande potenza e hai instaurato il tuo regno. Le genti fremettero, ma è giunta la tua ira, il tempo di giudicare i morti, di dare la ricompensa ai tuoi servi, i profeti, e ai santi, e a quanti temono il tuo nome, piccoli e grandi, e di annientare coloro che distruggono la terra". 19Allora si aprì il tempio di Dio che è nel cielo e apparve nel tempio l'arca della sua alleanza. Ne seguirono folgori, voci, scoppi di tuono, terremoto e una tempesta di grandine.

Ap 12, 1-6
1Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle. 2Era incinta, e gridava per le doglie e il travaglio del parto. 3Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; 4la sua coda trascinava un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra. Il drago si pose davanti alla donna, che stava per partorire, in modo da divorare il bambino appena lo avesse partorito. 5Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro, e suo figlio fu rapito verso Dio e verso il suo trono. 6La donna invece fuggì nel deserto, dove Dio le aveva preparato un rifugio perché vi fosse nutrita per milleduecentosessanta giorni.

Commento
Dopo il suono della settima tromba nel cielo risuona una solenne proclamazione in onore del Sovrano celeste e di Cristo (v.15). Si ha ora la celebrazione del Regno del Messia, un po' sulla scia delle parole di Paolo: "Bisogna che Cristo regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi" (1Cor 15,25). L'espressione "regno del mondo" ci riporta alla definizione che troviamo nel vangelo di Giovanni "principe di questo mondo"[2] (cfr. Gv 14,30) riservata a satana e al rifiuto fatto da Gesù dell'offerta satanica dei "regni del mondo" avanzata dal tentatore (cfr. Mt 4,8). La vittoria pasquale di Gesù Cristo sulla morte, su satana e sul male fa si che ora tutto ciò che esiste sia riportato sotto la sovranità eterna di Dio. Ritornano in scena anche i 24 anziani della corte celeste, rappresentanti di tutti i giusti della Prima e della Seconda Alleanza (4,4). Col loro inno - che è forse una testimonianza degli inni che venivano cantati nelle liturgie della chiesa delle origini – essi adorano Dio come re del mondo e della storia. Prima l'avevano cantato come creatore (4,10) ed avevano celebrato l'Agnello Cristo come redentore (5,8-14), in attesa di cantare il giudizio divino su Babilonia, la prostituta (19,4). Col loro inno al Signore "che è e che era" (non c'è bisogno di attendere il futuro perché è già in azione, a differenza di quanto si diceva in 1,4.8), i 24 anziani proclamano l'era del giudizio definitivo (vv.16-18). Essi nel loro canto alludono al salmo messianico 2,1-5 e a quello del Regno di Dio 99,1. Con questi riferimenti si descrive sinteticamente il giudizio di Dio. Due sono i suoi aspetti, come due sono le fisionomie di Dio: c'è il giudice ed il salvatore, c'è la giustizia e l'amore, c'è la condanna e la ricompensa. Suggestiva è la quadruplice definizione dei giusti, ora salvati nel Regno di Dio. Essi sono "servi, profeti, santi e coloro che temono il nome" del Signore[3]. Viene così tratteggiato un ritratto del popolo di Dio, fatto di piccoli e grandi, delle sue varie dimensioni nate dal battesimo e attuate nella vita di fede e nella comunità ecclesiale: re, profeti e sacerdoti. La liturgia celeste aperta dall'inno dei 24 anziani ora si specifica ulteriormente nel v.19. Siamo nel tempio celeste che già abbiamo conosciuto. Ora si entra nel cuore del Santuario, il Santo dei Santi dove era custodita l'Arca Santa, segno concreto della presenza di Dio. Quell'arca nascosta agli sguardi umani da una spessa cortina di tessuto (il velo del Tempio) ora è aperta alla visione e alla contemplazione di tutti. Tuttavia la trascendenza di Dio rimane come è attestato dalla coreografia che rimanda alla manifestazione di Dio sulla terra con un linguaggio apocalittico (cfr. Es 19,19). Dio è vicino e lontano allo stesso tempo, è con noi e sopra di noi, è rivelazione e mistero.
Lasciati alle spalle i sette trombettieri con i loro squilli, prima di entrare nel terzo grandioso settenario delle coppe (c. 16), si ha un arco narrativo di quattro capitoli (cc. 12-15) molto densi e sembra che siano scanditi da tre "segni", ai quali si accompagnano altri elementi. Il primo elemento (12,1) è la donna; il secondo è il drago (12,3); il terzo segno sono gli angeli con i sette flagelli (15,19). Ci soffermiamo sui primi due segni. Questi due segni hanno come sfondo dei racconti del Primo Testamento: Gen 3,15 dove si contrappongono donna e serpente; Is 7,14 con la madre del re-messia; Is 66,7-14 Gerusalemme madre di tutti i popoli; Dn 7,7 che introduce il drago; Dn 10,13 battaglia contro il male ad opera di Michele. Siamo alla presenza di un mosaico di citazioni bibliche che vengono puntualizzate e reinterpretate. Il racconto si apre con la donna ammantata di dalla luce del sole come Dio stesso (Sal 104,2), segno di splendore e bellezza sovraumana. I dodici astri che fanno corona alla donna alludono alle dodici tribù d'Israele e ai dodici apostoli (cfr. Ct 6,10). Chi è questa donna? In ambito cristiano è stata identificata con Maria che partorisce il Cristo. Altri ritengono che sia personificata Gerusalemme o la Sapienza divina. Sicuramente l'autore è orientato in altra direzione e in questa donna raffigura l'Israele fedele sposa di Dio (Os 2 e Is 54) e nello stesso tempo la chiesa che lotta per mantenersi fedele a Dio e libera dal male: al suo interno può contare sempre della nascita di Cristo attraverso la parola evangelica e l'eucaristia. La donna incinta rimanda alla comunità fedele e feconda che soffre nel travaglio della storia, ma che sa di avere in sé il Figlio che salva. All'improvviso la dolce scena del parto è lacerata dall'apparizione del drago. È il secondo segno che è raffigurato come avversario di Dio richiamando in sé il male, il nulla, il demoniaco con nomi diversi: Rahab (Is 51,9), Leviatan (Is 27,1 e Sal 74,13-14), Behemot (Gb 40, 15-24). Un riferimento importante è pure il serpente di Gen 3. Le sette teste simboleggiano il suo potere immenso e le sette corna indicano una forza invincibile; le sette corone rimandano alla potenza demoniaca che si cela sotto le grandi potenze. L'azione del drago è una sfida al cielo e Giovanni riconosce al drago un potere soprannaturale. Il conflitto tra il drago e la donna col figlio diventa simbolo della lotta tra il bene e il male. Anche se il mostro è poderoso e la donna è fragile, la presenza del Figlio rimanda al Messia potente e armato (cfr. Sal 2). Il libro ci porta già alla risurrezione e ascensione al cielo e di conseguenza questa nascita non è quella di Betlemme ma del giorno di Pasqua. La madre è la madre del Messia e va nel deserto, luogo della intimità con Dio. Come Dio aveva protetto il popolo nel deserto dai nemici e l'aveva condotto nella terra promessa, così ora il nuovo popolo di Dio è difeso e protetto da Dio e la prova sarà limitata per un tempo di tre anni e mezzo.
- Dio ha uno sguardo positivo sul creato e sull'umanità, noi come ci poniamo? Quali conseguenze ne derivano?
- Che consapevolezza abbiamo della nostra identità di cristiani? Siamo dei salvati, dei redenti...
- Noi siamo sempre con Dio e Dio è con noi, solo il peccato grave ci separa da lui. La Riconciliazione riabilita la comunione con lui.
- Nella comunità-chiesa c'è la certezza della comunione con Dio per mezzo di Cristo.

La vita
Cerchiamo ora di interagire col testo biblico e chiediamoci:
- Quale parte del vangelo letto e commentato mi ha colpito di più e perché?
- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con l'insegnamento di Gesù?
- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è qualcosa di urgente a cui io posso contribuire per un miglioramento evangelico della realtà?

[2]Il termine "mondo" nel quarto vangelo ha diversi di significati. Esso designa l'universo, la natura, il creato che è opera di Dio per mezzo del Verbo («Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste... Egli era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui», 1,3.10).
Il "mondo" è anche l'umanità intera, ossia le creature umane che popolano la terra (detta pure "mondo") e che, come si è visto (3,16-17), sono amate da quel Dio «il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati» (1Timoteo 2,4). Fin qui il valore del termine è positivo e non giustifica quella frase di Gesù: "Io non prego per il mondo ma per coloro che mi hai dato... (Gv 17,9). C'è, però, un terzo significato radicalmente negativo: il "mondo" è anche la "mondanità", cioè coloro che rigettano coscientemente e coerentemente i valori dello spirito, la verità, l'amore, il bene, la giustizia. Non sono i semplici peccatori, che possono essere toccati nel cuore e convertirsi, ma i superbi oppositori del Bene, i sistematici negatori di ogni valore e, quindi, gli avversari di Cristo, consapevoli della sua verità ma, per interesse proprio o per arroganza di potere, pronti a rigettarla. Sono coloro che hanno per guida «il principe di questo mondo», Satana (Giovanni 12,31; 16,11).

[3]Nell'ebraismo no si poteva pronunciare il nome di Dio. Solo il sommo sacerdote lo gridava nel Santo dei Santi il giorno della festa dello Jom Kippur (della penitenza). Quando nella lettura del testo biblico si incontrava il nome di Dio, che non è mai stato vocalizzato degli studiosi "masoreti", si pronunciava "Adonai" nella celebrazione liturgica oppure "il nome" quando la lettura del testo avveniva in un altro contesto.
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