Rubrica, curata da
don Alessandro, dove ogni giorno viene commentata brevemente la frase di un autore, non necessariamente cristiano. Per custodire, in questi tempi difficili, non solo la salute del corpo e della mente, ma anche quella dello spirito.
Domenica delle Palme 5 aprileIl successo è la capacità di passare da un fallimento all'altro senza perdere l'entusiasmo(W. Churchill)
Questa frase del capo di stato che governava l'Inghilterra durante la seconda guerra mondiale, la vidi dipinta su un muro del reparto di psichiatria dell'ospedale di Mantova. Come un invito, a coloro che nella propria vita stavano attraversando un tempo di depressione, a reagire, a non lasciarsi trascinare nel baratro, a non perdere la speranza. Oggi è la domenica delle Palme, in cui si fa memoria di Gesù che entra trionfante tra la folla a Gerusalemme. In realtà lo attendono la passione e la croce. E quindi la risurrezione, il trionfo della vita sulla morte. La vita è fatta anche di piccole morti quotidiane, di momenti in cui l'umore si abbassa, di fasi in cui si vede tutto nero. Coltivare la speranza nel cuore significa credere che, nonostante tutto, ce la farò; che ci sarà qualcuno a prendermi per mano; che posso continuare a guardare avanti.
Che per avere successo nella vita non devo fare grandi cose: basta non lasciarmi rubare l'entusiasmo e la speranza.
Sabato 4 aprileMeglio inciampare sul pavimento che con la lingua(dalla Bibbia, Sir 20,18)
È proprio vero che le parole che usiamo possono ferire più di un pugno o di una sberla; per questo dobbiamo porre attenzione a cosa diciamo, pensarci prima bene e non muovere la lingua solo sull'onda delle emozioni. Ciò è esercitare la virtù della prudenza.
Prima di parlare, se è possibile, può giovare farci tre domande. La prima è: cosa sto per dire? Ma la seconda domanda è altrettanto importante: come lo dico? Dire una cosa buona con tono aggressivo e arrabbiato deforma il contenuto di ciò che affermo, poiché la forma è già sostanza. Infine l'ultima domanda riguarda il fine: perchè lo dico? Qual'è la mia intenzione? Dico questa cosa per informare o per attaccare, per comunicare qualcosa o per togliermi un sassolino dalla scarpa?
La lingua può essere incisiva come una spada a due tagli e comunica ciò che abbiamo nel cuore. Per questo è meglio inciampare sul pavimento che con la lingua.
Venerdì 3 aprileTutti siamo forestieri. È un autentico cristiano chi riconosce d'essere forestiero perfino nella propria casa e nella propria patria.(Sant'Agostino)
Se avessimo piena consapevolezza che in fondo in questo mondo siamo davvero ospiti, che la vita terrena è un pellegrinaggio che dura un breve tratto, e che nulla di fatto è nostro ma è dato come un dono, guarderemmo alle cose, alle persone e alla vita in tutt'altra prospettiva.
San Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi scrive: "Che cosa possiedi che tu non l'abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto, perchè te ne vanti come se non l'avessi ricevuto?" (1 Cor 4,7).
Tutto ciò che possiedo è passeggero. Che cosa posso dire veramente "mio"? Vale la pena di legarsi in modo bramoso alle cose?
Sono italiano: per diritto, per nascita, per storia. Ma non siamo in fondo tutti un po' forestieri in un'unica patria che è questo mondo? È proprio così lecito impedire ad una persona che muore di fame nel proprio paese, di spostarsi nel mio ove esiste, probabilmente non grazie a me, maggiore benessere?
In fondo il significato della parola "cattolico" è "universale".
Se avessimo la consapevolezza di essere tutti forestieri in questo mondo, il nostro cuore sarebbe più attento alle cose essenziali, le nostre mani più generose, i nostri piedi, che toccano questa terra, più grati alla vita.
Giovedì 2 aprileChi può, metta; chi non può, prenda(nelle strade di Napoli)
Questa frase è stata scritta su un cesto appeso con una corda ad un balcone di Napoli, visibile a coloro che passavano per la strada. Fa appello alla coscienza e alla generosità delle persone, in questo periodo difficile che, per la cessazione del lavoro, rischia di mettere in difficoltà economica alcune famiglie che normalmente non hanno problemi di sussistenza. Chi può, metta dentro dei generi alimentari; chi non può, cioè chi non ha mezzi sufficienti, li prenda liberamente e li porti a casa. In questi giorni mi sto rendendo conto di come si stia risvegliando nella gente un senso di solidarietà generalizzato. Singole famiglie, imprese, chiedono in parrocchia se ci sono persone che hanno problemi economici e sono disposte a dare o fare qualcosa. Anche dai giornali si legge come diversi imprenditori, e anche la diocesi mantovana, abbiano donato dei soldi a favore degli ospedali che necessitano di risorse economiche ulteriori, per supplire alla carenza di mezzi per la cura delle persone. Nei periodi più difficili, nell'uomo si risveglia o il peggio o il meglio di sé, ma quasi sempre è quest'ultimo a prevalere, quel senso di solidarietà che il Signore ha messo nelle profondità del nostro cuore e che rende l'uomo autenticamente uomo e "sacramento" dell'amore di Dio.

Mercoledì 1 aprileAfferrate stretto un fiore, ed esso non potrà più rivelarvi la sua bellezza; appassirà miseramente(H. Nouwen, scrittore)
Talvolta nel desiderio buono di tenere in mano un fiore per annusarlo, apprezzarne il profumo e la bellezza, corriamo il rischio di stringerlo troppo forte e di rovinarlo. Così è anche nel rapporto con le cose; così è soprattutto nelle relazioni con le persone. Vivere un rapporto autentico, di qualunque tipo esso sia (parentale, di amicizia, di amore...), significa sempre garantire all'altro quello spazio di libertà che gli permetta di essere ciò che si sente chiamato ad essere. Così ad esempio è con i figli. Talvolta, per il rischio di perderli, li teniamo stretti a noi, ne controlliamo e misuriamo ansiosamente ogni minimo passo, ma in realtà corriamo il rischio di soffocarli, di far perdere loro la libertà di esprimersi e la gioia di vivere. Finiamo per soddisfare più un nostro bisogno che perseguire il loro bene.
Teniamo aperta la mano con fiducia, coraggio e tenerezza: il fiore vivrà e spargerà tutto il suo profumo.
Martedì 31 marzoUna nave ancorata al porto è sicura, ma non per questo si costruiscono navi(W. Shed, scrittore)
Questa riflessione è per tutti, e in modo particolare per i giovani, per chi, cioè, ha tutta una vita davanti. Una nave non è costruita per rimanere ancorata al porto, ma per prendere il largo, gettare le reti per la pesca, scoprire nuove terre o anche semplicemente assaporare il vento sulla pelle. La navigazione potrà essere talvolta nella quiete, talvolta burrascosa o in mezzo alla tempesta. Ma per scoprire la bellezza della traversata, vale la pena correre questi rischi. Il rischio di camminare, di compiere dei passi, di prendere scelte importanti e definitive, di fare qualche gesto buono che sia controcorrente, il rischio, dimenticandosi di sé, di donare sé stessi. Dopotutto anche Dio si è preso un rischio con noi, quello di averci creati e creati liberi, nella speranza che facessimo della nostra vita un capolavoro. Dio ci ha creati con il desiderio dell'Infinito nel cuore. Non accontentiamoci di una vita calma e piatta, ma proviamo a fare in modo straordinario ogni cosa ordinaria, a gustare la presenza dell'Infinito in ogni cosa finita. Questa è la via per la santità; questa è la via per la felicità.

Lunedì 30 marzoNon darti troppo pensiero se uno è per te o contro di te; preoccupati piuttosto che Dio sia con te in tutto ciò che fai(dall'Imitazione di Cristo, testo medievale)
Ciò che gli altri pensano su di noi ha un grande effetto sul nostro stato d'animo, sui nostri pensieri e sulle nostre azioni. Ciò è tanto più vero quanto più si tratta di persone di cui abbiamo stima o a cui siamo comunque legati. Quando gli altri parlano bene di noi, ci sentiamo su di morale, andiamo in giro fieri e a testa alta; quando invece queste persone criticano il nostro operato, il rischio è quello di sentirci depressi, giù di morale.
L'effetto che può scaturire è quello di vivere come una banderuola, che segna il vento favorevole o contrario, rimanendo in balia del giudizio altrui.
Se invece riesco a distaccarmi dal giudizio altrui e a mettermi in ascolto della Parola del Padre che, come nel battesimo di Gesù, mi dice: "Tu sei il figlio mio, l'amato, in te ho posto il mio compiacimento" (Mc 1,11), allora mi sento amato per quello che sono e scopro che posso affondare saldamente le radici in questa verità. Sì, o Padre, "Tu mi scruti e mi conosci, tu conosci quando mi siedo e quando mi alzo, ti sono note tutte le mie vie" (Sal 139,1-3).
Allora so, o Dio, che tu sei con me in tutto ciò che penso, sento e faccio, e non sono in balia più di nulla, nemmeno del giudizio degli altri.
DOMENICA 29 MARZO 2020
Buona domenica amiche ed amici delle parrocchie dell'Unità Pastorale Mincio (Goito, Cerlongo, Solarolo e Vasto).
Anche in questa quinta domenica di Quaresima vi raggiungo con una riflessione legata alle letture della Liturgia della Parola, per incrementare la nostra amicizia, per progredire insieme nella fede e per stringerci assieme a Gesù Cristo unico nostro pastore e guida.
Il vangelo di Giovanni, che narra l'episodio di Lazzaro, amico di Gesù richiamato in vita, ci invita a riflettere seriamente su questo tempo particolare che viviamo. Forse anche noi rivolgiamo a Gesù la stessa invocazione delle due sorelle di Lazzaro, Marta e Maria: se tu fossi stato qui tutte queste persone non sarebbero morte, non si assisterebbe alla velocissima diffusione del virus, non ci sarebbe questa crisi totale a cui assistiamo. E gridiamo: Gesù dove sei!
Gesù risponde con le stesse parole pronunciate alle due sorelle: "questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio". Ora noi vediamo solo la morte, il buio, il dolore, ma certamente si manifesterà la gloria di Dio: Gesù Cristo morto e risorto.
Infatti in tutti noi è radicato lo Spirito Santo fin dal giorno del nostro Battesimo (1a lettura dal profeta Ezechiele), per cui siamo persone viventi qui ora e per sempre nell'eternità. La presenza dello Spirito di Dio in noi, dice Paolo scrivendo ai cristiani di Roma (2a lettura), ci ha fatti morire al peccato ed in noi c'è il germe fecondo che ci risusciterà come ha risuscitato Cristo Signore.
Ci sono poi degli aspetti nella nostra vita che sono realmente anticipazioni della vita eterna che Dio ci darà. Lazzaro, Maria e Marta erano amici di Gesù. L'amicizia, il volersi bene tra persone, l'affetto vero sono manifestazioni dello Spirito di Dio che è in noi e sono anticipazioni di quell'amore infinito che Dio ci donerà in Paradiso. Se ci amiamo percorriamo giorno per giorno la scala che ci porterà certamente nel Regno dei cieli con Dio e con i nostri cari. Quindi facciamo di tutto per volerci bene e ogni sera, se ci fossero stati screzi, incomprensioni, liti, chiediamoci scusa e ripartiamo radicati nell'amore reciproco.
Gesù pianse quando si rese conto che l'amico Lazzaro era morto. Il pianto di Gesù rivela, oltre all'affetto che egli nutriva per l'amico, la grande sensibilità del maestro di Galilea che riservava nei confronti di ogni persona. Anche noi, come Gesù, se curiamo la nostra sensibilità per gli altri, l'attenzione per le persone che ci circondano, se piangiamo davanti alle sofferenze degli altri, davanti ai poveri abbandonati, davanti a tanti paesi martoriati dalle guerre ed in particolar modo la Siria, davanti ai bambini che muoiono ogni giorno perché denutriti o ammalati, davanti ai profughi che fuggono dalla guerra e dalla fame, siamo animati dallo Spirito di Dio che è in noi.
Immagino che anche noi, come i discepoli di Gesù, in questi giorni siamo pieni di paura. Gesù ci rivolge le stesse parole pronunciate ai suoi: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Con coraggio e decisione rispondiamo: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo». Professiamo la nostra fede in Gesù Cristo e nella vita eterna domani mattina personalmente ed insieme quando alle ore 10 celebreremo in comunione la s. Messa. Tutti potrete partecipare da casa collegandovi su Youtube in diretta.
O Signore crediamo che tu sei il Cristo, che tu hai vinto la morte e vincerai anche questo morbo che ci sta affliggendo. Crediamo che ci libererai dalle paure e dai lacci della nostra morte. Sostieni la nostra fede, te lo chiediamo per intercessione di Maria che noi veneriamo col titolo di Madonna della Salute, Amen.
LETTURA - COMMENTO - VITA
Unità Pastorale Mincio
Goito 29 marzo 2020 V domenica di Quaresima
LetturaLa liturgia quaresimale continua a proporre passi dal vangelo di Giovanni. Nel "Libro dei segni" troviamo narrati sette miracoli di Gesù a fronte dei ventinove presenti nei vangeli sinottici. La scelta di sette miracoli-segno evidenzia l'intenzione simbolica dell'autore. Sette è il numero che indica perfezione e compiutezza. I sette miracoli-segno sono sufficienti per Giovanni a comunicare ai credenti la pienezza di grazia e di verità che la Parola incarnata ha portato agli uomini. Vediamo ora l'ultimo miracolo narrato: Lazzaro richiamato in vita da Gesù.
Gv 11, 1-451Un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. 2Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. 3Le sorelle mandarono dunque a dirgli: "Signore, ecco, colui che tu ami è malato".4All'udire questo, Gesù disse: "Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato". 5Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. 6Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. 7Poi disse ai discepoli: "Andiamo di nuovo in Giudea!". 8I discepoli gli dissero: "Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?". 9Gesù rispose: "Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; 10ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui".11Disse queste cose e poi soggiunse loro: "Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo". 12Gli dissero allora i discepoli: "Signore, se si è addormentato, si salverà". 13Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. 14Allora Gesù disse loro apertamente: "Lazzaro è morto 15e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!". 16Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: "Andiamo anche noi a morire con lui!".17Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. 18Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri 19e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. 20Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. 21Marta disse a Gesù: "Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! 22Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà". 23Gesù le disse: "Tuo fratello risorgerà". 24Gli rispose Marta: "So che risorgerà nella risurrezione dell'ultimo giorno". 25Gesù le disse: "Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; 26chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?". 27Gli rispose: "Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo".28Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: "Il Maestro è qui e ti chiama". 29Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. 30Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. 31Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro.32Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: "Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!". 33Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, 34domandò: "Dove lo avete posto?". Gli dissero: "Signore, vieni a vedere!". 35Gesù scoppiò in pianto. 36Dissero allora i Giudei: "Guarda come lo amava!". 37Ma alcuni di loro dissero: "Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?".38Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. 39Disse Gesù: "Togliete la pietra!". Gli rispose Marta, la sorella del morto: "Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni". 40Le disse Gesù: "Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?". 41Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: "Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. 42Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato". 43Detto questo, gridò a gran voce: "Lazzaro, vieni fuori!". 44Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: "Liberàtelo e lasciàtelo andare".45Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui. 46Ma alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono loro quello che Gesù aveva fatto. 47Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dissero: "Che cosa facciamo? Quest'uomo compie molti segni.CommentoIl racconto giovanneo inizia con alcuni versetti di ambientazione. Sono presentati i personaggi della scena (Gesù, Lazzaro, Marta e Maria) e la località dove si realizza la vicenda: Betania. Lazzaro è ammalato e quindi le sorelle si premurano di informare Gesù della situazione: "Signore, ecco, il tuo amico è malato". Qui Lazzaro è chiamato l'amico, colui che è amato da Gesù. Sicuramente Lazzaro è qui da considerare come il rappresentante di tutti quelli che Gesù ama: i cristiani. Subito dopo l'evangelista presenta lo scopo del miracolo-segno, che sta avvenendo per mezzo di Gesù: "questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato". La malattia di Lazzaro non finisce con la morte. Gesù ridà al suo amico diletto la vita fisica, segno di quella eterna. La vita ridata a Lazzaro è il motivo immediato che fa precipitare la vicenda e che porterà Gesù alla morte, come primo atto della sua glorificazione, nella quale si manifesta la gloria di Dio. I versetti che seguono (vv. 7-16), infatti, sottolineano l'andare a morire di Gesù: "i giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo? ... allora Tommaso disse: «andiamo anche noi a morire con lui»". É evidente l'intersecarsi di tre temi: la morte di Lazzaro, quella di Gesù e quella dei discepoli. Tutto il movimento descritto è finalizzato alla fede dei discepoli: "perché voi crediate". Nei vv. 17-33 troviamo presentato l'arrivo di Gesù a Betania ed il suo incontro con Marta e Maria, sorelle di Lazzaro. Il dialogo con le due donne permette a Gesù di far conoscere che lui non è un profeta come tutti gli altri. Egli può dare la vita, quella vera, a condizione che si creda in lui. Infine nei vv. 34-40 si presentano il dolore di Gesù per l'amico che amava ("si commosse profondamente... scoppiò in pianto") e l'obiezione di Marta circa l'opportunità di togliere la pietra, perché Lazzaro ormai era morto da quattro giorni. Gesù risponde ancora una volta chiedendo di aver fede: "se crederai vedrai la gloria di Dio". La fede di Marta non solo permetterà di vedere manifestata la grandezza di Dio nel miracolo che sta per realizzarsi, ma anche è condizione per contemplare direttamente Dio nella resurrezione finale. Il brano si chiude narrando brevemente il miracolo. È Dio Padre che ridà la vita fisica a Lazzaro per mezzo di Gesù. Il "grido a gran voce" di Gesù, può essere benissimo collegato col grido del Calvario, attraverso il quale tutti i discepoli, animati dalla fede, vengono tirati fuori dal buio del sepolcro e liberati dai legami della morte.
In conclusione, Dio Padre, attraverso l'azione di Gesù, ridà la vita fisica a Lazzaro. Il miracolo è un segno che richiama la vita eterna donata a tutti i credenti. Chi crede in Gesù e si fida di lui partecipa della redenzione da lui ottenuta per tutti i suoi amici, attraverso la morte e la resurrezione. Ai discepoli è chiesto di perseverare, perché così incontreranno definitivamente la vita vera.
La vitaCerchiamo ora di interagire col testo del vangelo e chiediamoci :
- Quale parte del vangelo letto e commentato mi ha colpito di più e perché?
- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con quanto il vangelo ci comunica? Individuare almeno un punto su cui lavorare.
- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è un contributo che io posso dare,per diffondere il vangelo o per realizzarlo, che mi è stato ispirato dal vangelo letto e meditato?
(scegliere un impegno da vivere nella settimana)
Se avete possibilità, prendete foglio e matita e scrivete le vostre riflessioni. In questo modo si fissano meglio nel vostro cuore e avrete modo di rileggerle nella settimana.
Le Lectio delle domeniche precedenti vengono salvate nella sezione Calendario - Archivio.
LETTURA - COMMENTO - VITA
Unità Pastorale Mincio
Goito 22 marzo 2020 IV domenica di Quaresima
Lettura
Anche il testo del vangelo di questa domenica, detto del cieco nato,(Gv 9, 1-41)si colloca nel "Libro dei segni". L'evangelista presenta Gesù che si rivela al popolo come inviato del Padre. In questa parte del vangelo di Giovanni hanno un posto determinante le feste giudaiche. La guarigione del cieco dalla nascita avviene a Gerusalemme durante la festa autunnale delle capanne o dei tabernacoli, in cui si festeggia per i raccolti di fine estate, facendo memoria del permanere degli israeliti sotto le tende nel deserto per quarant'anni.
Gv 9, 1-41.
In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo».Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va' a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa "Inviato". Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l'elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L'uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, me lo ha spalmato sugli occhi e mi ha detto: "Va' a Sìloe e làvati!". Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov'è costui?». Rispose: «Non lo so».Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest'uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c'era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l'età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l'età: chiedetelo a lui!».Allora chiamarono di nuovo l'uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da' gloria a Dio! Noi sappiamo che quest'uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l'ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell'uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.Gesù seppe che l'avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell'uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: "Noi vediamo", il vostro peccato rimane».Commento.
Nei primi cinque versetti l'evangelista presenta la vicenda che riguarda Gesù, un uomo ceco dalla nascita ed i discepoli. Partendo da una loro domanda, che sottolinea il problema del rapporto esistente tra peccato e malattia fisica, Gesù risponde affermando che la cecità non è conseguenza di qualche peccato commesso. Essa è una delle tante situazioni nelle quali si evidenzia il limite umano creaturale. Nel nostro caso, attraverso l'opera di Gesù, è messo in risalto l'azione benefica di Dio creatore. É così delineato il significato del segno che Gesù sta per compiere; è un esempio della luce che viene nelle tenebre: "finché sono nel mondo sono la luce del mondo". Nei vv. 6-7 troviamo la sobria narrazione del miracolo. Gesù, come un terapeuta, applica del fango sugli occhi del cieco, comunicando così al poveretto la certezza che la sua condizione è presa in seria considerazione. Poi lo invia a lavarsi nella piscina di Siloe, che si trova ai piedi della collina su cui sorge Gerusalemme, a sudovest di essa. Questo fatto si collega ad altre guarigioni famose narrate dalla Bibbia. Pensiamo per esempio a Naaman il siro, che è guarito dalla lebbra dopo essersi immerso nel Giordano, su consiglio del profeta Eliseo (cf 2 Re 5, 10-14). Così anche il nostro cieco, immersosi nella piscina, guarisce dalla cecità fisica attraverso l'opera di Gesù, l'inviato di Dio. Da questo momento inizia una serie di confronti- inchieste (vv. 8-34) tra alcuni gruppi di persone e l'uomo guarito. Dapprima è interrogato dai curiosi, che vogliono sapere e conoscere tutti i particolari dell'avvenimento per avere l'esclusiva della notizia. A costoro l'uomo sa dire soltanto che egli è guarito attraverso l'opera di un uomo di nome Gesù. Poi viene esaminato dai farisei, che contestano la guarigione avvenuta di sabato. In questo giorno, infatti, non è permesso alcun lavoro ed impastare del fango è proibito. Essi consultano anche i genitori dell'uomo guarito, per avere ulteriori spiegazioni. Di fronte all'insistenza dei farisei e alle loro contestazioni l'uomo afferma, partendo dall'esperienza fatta, che Gesù è Dio: "Da che mondo e mondo, non s'è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non fosse Dio, non avrebbe potuto far nulla". Infine (vv. 35-41) Gesù incontra nuovamente il cieco guarito. A costui si rivela e si manifesta nella sua identità di "Figlio dell'uomo". L'uomo guarito è desideroso di credere in lui e afferma, prostrandosi: "Io credo, Signore". Ora la guarigione è completa. Ha ricevuto la vista fisica ed ora vede anche con la fede che Gesù è il Signore, il Figlio di Dio. Nello stesso tempo l'evangelista presenta i farisei che si fissano inesorabilmente nella loro cecità. Così diventano vere le parole dette da Gesù: "sono venuto... perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi".
Concludendo, di può dire che Dio Padre, per mezzo di Gesù, è sempre vicino a coloro che soffrono a causa dei limiti della natura umana. Chi incontra Gesù e si lascia curare da lui arriva sicuramente ad uscire dal buio fisico per raggiungere anche la luce della fede. In questo cammino si incontrano pure molte difficoltà che vengono dall'esterno: il giudizio degli altri, le tradizioni, i condizionamenti familiari o dei gruppi di appartenenza, le nostre attività. Se si persevera nello stare con Gesù Cristo, ascoltando la sua parola ed eseguendo le sue indicazioni, ogni difficoltà si ridimensiona e si procede nell'itinerario di fede.
La vita
Cerchiamo ora di interagire col testo del vangelo e chiediamoci:
- Quale parte del vangelo letto e commentato mi ha colpito di più e perché?
- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con quanto il vangelo ci comunica? Individuare almeno un punto su cui lavorare.
- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è un contributo che io posso dare,per diffondere il vangelo o per realizzarlo, che mi è stato ispirato dal vangelo letto e meditato?
(scegliere un impegno da vivere nella settimana)
Rubrica, curata da
don Alessandro, dove ogni giorno viene commentata brevemente la frase di un autore, non necessariamente cristiano. Per custodire, in questi tempi difficili, non solo la salute del corpo e della mente, ma anche quella dello spirito.
Domenica 29 marzo
Uno ama col cuore che ha(G. Sovernigo, prete e psicologo)
Nella Bibbia il cuore è la sede delle decisioni più profonde e importanti.
Il nostro cuore è un organo sensibile, che porta impressi i segni della propria storia, delle esperienze fatte, dell'affetto ricevuto ma anche di quello mancato, dei desideri più alti così come delle paure più profonde. Uno discerne, sceglie e decide in base a tutto questo e quando Dio ci chiede di amare Lui, noi stessi e il nostro prossimo, ci sta chiedendo non di scalare l'Everest, ma di amare a partire da ciò che siamo nella nostra concretezza, con tutti i nostri doni e i nostri limiti. Insomma, nella vita uno fa ciò che può, l'impossibile lasciamolo a Dio solo! Per questo un genitore educa i propri figli come può, come riesce. Ce la metterà tutta, e tuttavia ci sarà sempre uno scarto tra ciò che i figli si attendono e ciò che egli può dare loro. Accettare questo scarto, questa "ferita del cuore", significa riconciliarsi con la vita e con sé stessi. Un prete porta con sé tanti sogni (guai se non fosse così!), ma poi deve anche accogliersi per ciò che è, con tutti i suoi limiti, fisici e caratteriali, che non sono mai pochi.
Uno ama col cuore che ha, e questa non è una brutta cosa, poiché Dio ci ha dato un cuore e la capacità di scendere in fondo ad esso per scoprire tutti i tesori che vi ha posto. Scoprire questi tesori preziosi e metterli a frutto in modo buono, è l'avventura della vita.
Sabato 28 marzoUn vero viaggio di scoperta non è cercare nuove terre, ma avere nuovi occhi(M. Proust, scrittore)
Vi sono persone, o forse siamo tutti un po' così, che hanno vivo in loro il desiderio di viaggiare. Il viaggio è anelito alla conoscenza, è desiderio di esperienza, è anche espressione della propria interiorità. Ma c'è un viaggio che, prima che fuori di noi, si compie dentro di noi. È il percorso di maturazione, umana e spirituale, che porta a vedere il mondo in una nuova prospettiva, quella dello stupore. Per questo è possibile viaggare stando a casa! Anche la mia casa, il mio giardino, o quel fiore che vedo tutti i giorni, può apparirmi diverso, nuovo. È il cammino che, nella tradizione spirituale cristiana, si chiama "conversione", ossia la possibilità di guardare al mondo, alle persone, agli eventi della vita e a me stesso, con uno sguardo "più alto", dalla prospettiva di Dio, ove tutto è meraviglia. Questo cammino è allo stesso tempo una grazia che viene dal Signore e un percorso che possiamo compiere con disciplina, attraverso la preghiera, l'ascolto della Parola e la carità, che danno forma al cuore.
La Quaresima è tempo di conversione e lo è ancor di più in queste settimane di Coronavirus, in cui viviamo un digiuno degli spostamenti e dei viaggi. Tuttavia, possiamo compiere quel cammino interiore che ci permette di guardare alla nostra stanza, alla nostra casa, al nostro giardino e alle solite persone più in profondità, con occhi capaci di cogliere, con stupore, dettagli sempre nuovi.
Venerdì 27 marzoDormivo e sognavo che la vita era gioia; mi svegliai e vidi che la vita è servizio; servii e m'accorsi che il servizio è gioia.(R. Tagore, poeta)
Fare esperienza che il servizio è gioia, è una delle scoperte più importanti della vita.
Chi di noi ha mai provato questa sensazione, svolgendo un servizio in parrocchia con i bambini, i ragazzi o gli anziani, o facendo un po' di volontariato per i più bisognosi? Anche in questo tempo di Coronavirus, apprezziamo quelle persone che, attraverso il loro lavoro di medici, infermieri, o altro, contribuiscono a fare del bene e, nonostante il pericolo, li vediamo determinati nell'affrontarlo.
Gesù stesso, nella notte in cui istituì l'Eucaristia e fu tradito, si chinò e lavò i piedi ai suoi discepoli e "li amò sino alla fine" (Gv 13,1). Raggiunta una certa maturità umana e magari anche spirituale, capiamo che il servizio diventa una scelta e uno stile di vita: per chi è sposato servire la propria famiglia, per chi è diventato prete servire il Signore e la sua Chiesa nei volti concreti di una comunità, per qualcuno servire attraverso il proprio lavoro.
Il Signore ci ha messo questa gioia nel cuore come un segno e un dono mai scontati: quando ci facciamo servi del prossimo e ci chiniamo su di lui, siamo sulla buona strada della vita.
Non c'è, in un'intera vita, cosa più importante da fare che chinarsi perchè un altro, cingendoti il collo, possa rialzarsi.
Giovedì 26 marzoL'uomo è come un soffio, i suoi giorni come ombra che passa(dalla Bibbia)
Questo versetto del Salmo 144 mi pare interpretare bene il sentimento che c'è nel cuore di molti di noi in questi giorni. Basta un piccolissimo virus per fermare il mondo intero, chiudere la popolazione dentro le proprie case, fermare le attività e le relazioni sociali. L'uomo è davvero come un soffio, la sua vita può anche terminare in un istante, in un battito d'ali. Oggi ci sei, domani chissà. Nella nostra Unità Pastorale, durante le ultime tre settimane, abbiamo portato al cimitero e accompagnato nella preghiera di congedo una ventina di persone.
Eppure questa creatura, che si dimostra, oggi più che mai, piccola e fragile, porta dentro di sé il soffio, il respiro di Dio fin dalla creazione di Adamo.
"Che cosa è l'uomo perchè te ne ricordi, il figlio dell'uomo perchè te ne curi? Eppure lo hai fatto poco meno di un dio" (Sal 8).
In tutta la nostra fragilità, in tutte le nostre contraddizioni, portiamo tuttavia impressa in noi l'immagine di Dio.
Questa è la nostra grandezza, e Dio non lascerà soli i figli che ha plasmato con le sue mani.
No, non li lascerà soli!
Mercoledì 25 marzoLimitarsi a vivere non è abbastanza. C'è bisogno anche del sole, della libertà e di un piccolo fiore.(H. C. Andersen, scrittore)
Un giorno il condottiero Alessandro Magno si rivolse a Diogene, noto per la sua sobrietà e sapienza, il quale viveva in una botte di legno, e gli disse: "Chiedimi tutto ciò che vuoi, e io te lo darò". E Diogene, nella sua semplicità, rispose: "Spostati un poco, perchè mi stai togliendo la luce del sole".
Limitarsi a vivere, a respirare, a lavorare, a fare ciò che facciamo ogni giorno non è abbastanza: occorre gustare ciò che viviamo. Durante questi giorni in cui siamo costretti a casa dal Coronavirus, siamo obbligati a rallentare i nostri ritmi di vita, quasi ad annoiarci; in realtà possiamo godere, con maggior consapevolezza, delle cose più semplici che spesso diamo per scontate: fare una buona colazione in compagnia della mia famiglia, sorseggiare un buon caffè, rimanere a letto un po' più del solito, restare al telefono con un amico che non sento da tempo. Sono queste piccole cose che danno gusto alla vita e che spesso volano via senza accorgermene, per la velocità con cui le vivo.
Sì, c'è bisogno di sentire il calore del sole sul volto e il profumo di un fiore: di avvertire che ogni cosa è dono e che posso gustarla fino in fondo.
Martedì 24 marzoOgni volta che mi do il diritto di accogliere un mio limite, si apre un fiore(G. Sovernigo, prete e psicologo)
Una delle cose più difficili nella mia vita, è stata quella di accettare i miei limiti.
Prima di tutto quelli fisici, di salute, ma anche quelli caratteriali, legati alla mia storia e ai miei affetti più cari. La società, gli altri, ti dicono: devi essere al massimo! Finchè arrivi a crederci.
I limiti sono certamente un peso, una zavorra che rallenta il cammino e talora impedisce di compierlo in modo sereno. Il pericolo si fa acuto quando identifico il mio limite con me stesso: poiché ho questo difetto, sono io che non vado bene, che non sono a posto, che non son degno di vivere, ed è facile cadere nello scoraggiamento, talvolta anche nella depressione.
Ma quando riesco ad accogliermi così come sono, quando do ai miei limiti il diritto di esistere ed essere parte di me, allora la vita fiorisce da dentro e un senso di pace affiora.
Sono così, e allora?!
Quando Gesù fu battezzato nel fiume Giordano, si aprirono i cieli e la voce del Padre scese su di lui: "Tu sei il figlio mio, l'amato, in te ho posto il mio compiacimento" (Mc 1,11). Ti amo e mi piaci così come sei, come ti ho pensato da sempre, non perfetto, ma certamente amato.
Donami, Signore, la grazia di amare me stesso come tu mi ami.
Donami, Signore, la grazia di trasformare le mie ferite in feritoie attraverso le quali scorre la tua grazia e fiorisce la vita.
Lunedì 23 marzoNessuna cosa è bella da possedere, se non si hanno amici con cui condividerla(Seneca)
Ce ne stiamo accorgendo proprio in questi giorni, in cui al tempo del Coronavirus viviamo più isolati dagli altri. Ci manca la partita a carte al bar, il match a pallone, il ritrovo in oratorio, la cena a casa di amici.
Non ci mancano le cose, è che abbiamo nostalgia della condivisione di esse. Ci manca il grazie dell'amico, la sua pacca sulla spalla in un momento di sconforto; paradossalmente potrebbe mancarci anche la sfuriata del nostro capo ufficio...
Penso al fatto che Gesù visse proprio al tempo del filosofo Seneca. Attraverso Gesù, Dio ha voluto condividere ogni cosa con noi: la nascita, la morte e la risurrezione, il gioco e il lavoro, la crescita e la sofferenza, e ha fatto della condivisione della nostra esistenza il senso della sua stessa vita. Anche a noi Dio chiede la responsabilità della condivisione, soprattutto con i più poveri e gli ultimi: la telefonata ad un parente anziano che vive solo, un'offerta in denaro a qualche ospedale che è in frontiera, giocare finalmente coi miei figli che possono godere del mio tempo libero.
La condivisione non è solo responsabilità, porta in sé il gusto delle cose e la promessa di una gioia grande, che allarga lo sguardo e riempie il cuore.
Domenica 22 marzo
La vita è una cosa seria, ma non è grave!(Etty Hillesum)
Etty Hillesum è un'ebrea olandese che visse e morì in un campo di concentramento nazista.
La sua fede in Dio e la sua fiducia profonda nell'uomo, la portò a non abbattersi mai, anche nei momenti più drammatici della sua vita. Amava la vita, nonostante tutto.
È giusto prendere seriamente gli avvenimenti che accadono quotidianamente, se siamo persone responsabili; tra queste anche le presenti vicende del Coronavirus.
Ma prendere la vita seriamente non significa assumerla drammaticamente. Chi ha fiducia nella vita e in particolare chi è cristiano, non può non leggere la storia e le vicende quotidiane alla luce della Pasqua di risurrezione del Signore, che ha vinto la morte. Dentro questa forte convinzione, allora potremo essere stanchi, ma non abbattuti; tristi, ma non disperati, e avremo sempre nel cuore un pizzico di speranza e una sana leggerezza interiore.
Il Coronavirus, questo tempo particolare, la vita tutta, è una cosa seria, ma non è grave!