LETTURA - COMMENTO - VITA
Unità Pastorale Mincio
Goito 10 maggio 2020 V domenica di Pasqua
LetturaSiamo nella seconda parte del vangelo di Giovanni chiamata "Libro della gloria". Qui è presentata la glorificazione di Gesù, che si realizza nel compimento dell'"ora" della passione, crocefissione, risurrezione e ascensione. Gesù ha preannunciato ai suoi la sua partenza imminente (Gv 13, 31-38). Davanti a tale prospettiva i discepoli rimangono sconcertati e tanti problemi sorgono in loro. L'ultimo discorso di Gesù, iniziato nel capitolo precedente, vuole essere una risposta alle difficoltà che i discepoli incontrano dopo la sua partenza.
Gv 14,1-12 1Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. 2Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: "Vado a prepararvi un posto"? 3Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. 4E del luogo dove io vado, conoscete la via".5Gli disse Tommaso: "Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?". 6Gli disse Gesù: "Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. 7Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto".8Gli disse Filippo: "Signore, mostraci il Padre e ci basta". 9Gli rispose Gesù: "Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: "Mostraci il Padre"? 10Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. 11Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse.12In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch'egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre.CommentoIl brano inizia con una nota rassicurante di Gesù: "non sia turbato il vostro cuore". Il turbamento del cuore - cioè il disagio e la sofferenza di tutta l'interiorità dell'uomo nella complessità delle sue dimensioni - a causa dell'apparente lontananza di Gesù, è una caratteristica che i discepoli sempre sperimentano nel sostenere la lotta col principe di questo mondo. Il mondo, nella concezione giovannea, è da intendersi come l'ambito nel quale il demonio esercita la sua signoria. Essi superano il turbamento attraverso la fede: "abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me". La fede dei discepoli vince il principe di questo mondo perché essi, consegnandosi a Gesù Cristo, partecipano della vittoria del Padre realizzata per mezzo del Figlio. Gesù annuncia anche che nella casa del Padre "vi sono molti posti" e che egli tornerà a prendere i suoi per portarli con lui. Con un'immagine molto plastica Gesù cerca ancora di rincuorare i suoi, affinché non disperino per la sua assenza e abbiano la certezza di arrivare tutti nella casa del Padre. La prima parte del brano si chiude indicando come si fa ad arrivare al Padre: "e del luogo dove io vado voi conoscete la via" cioè seguire Gesù Cristo. La domanda di Tommaso - "Signore, mostraci il Padre e ci basta" - serve a Gesù per spiegare ulteriormente ai discepoli che lui è l'unica strada che porta sicuramente al Padre: "nessuno viene al Padre se non per mezzo di me". Di conseguenza un rapporto intenso vissuto con Gesù Cristo diventa anche relazione profonda col Padre. I discepoli non riescono a cogliere gli insegnamenti di Gesù e facilmente li fraintendono. Così egli è costretto a riprendere il discorso. Chi incontra Gesù, e con lui stabilisce una relazione vera e profonda, è in comunione col Padre: "chi ha visto me ha visto il Padre". Anche le parole e le opere di Gesù sono testimonianza della sua unione col Padre. Il brano si chiude con una solenne dichiarazione: "chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi". Il discepolo, dopo che Gesù è tornato al Padre, continua a lottare col male, lo vince e con la sua testimonianza permette a tutti di conoscere Gesù Cristo, fonte della vita e della comunione col Padre.
Concludendo, Gesù prevede lo sconcerto in cui si sarebbero trovati i suoi quando, dopo la sua partenza, avrebbero dovuto continuare nella storia la lotta col male da lui intrapresa. Per questo li incoraggia, li invita ad avere fede, li istruisce pazientemente e garantisce loro la piena partecipazione alla comunione col Padre. La sofferenza sperimentata dai credenti nella lotta col male non è vana. Essa diventa la linfa che irrobustisce la fede e rende la comunità segno efficace di Gesù Cristo via, verità e vita.
La vitaCerchiamo ora di interagire col testo del vangelo e chiediamoci :
- Quale parte del vangelo letto (in tutta la sua ampiezza) e commentato mi ha colpito di più e perché?
- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con quanto il vangelo ci comunica? Individuare almeno un punto su cui lavorare.
- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è un contributo che io posso dare,per diffondere il vangelo o per realizzarlo, che mi è stato ispirato dal vangelo letto e meditato?
(scegliere un impegno da vivere nella settimana)
Se abbiamo la possibilità, prendiamo foglio e matita e scriviamo le nostre riflessioni. In questo modo si fissano meglio nel nostro cuore e avremo modo di rileggerle nella settimana.
Le Lectio delle domeniche precedenti vengono salvate nella sezione Calendario – Archivio.
Rubrica, curata da don Alessandro, dove ogni giorno viene commentata brevemente la frase di un autore, non necessariamente cristiano. Per custodire, in questi tempi difficili, non solo la salute del corpo e della mente, ma anche quella dello spirito.
Con questa riflessione sul coraggio si chiude la rubrica "pillole di spirito", con l'augurio che in questi due mesi di "clausura" forzata, vi abbia aiutato a custodire non solo la salute del corpo, ma anche quella dello spirito!don AlessandroGiovedì 7 maggioNon è perchè le cose sono difficili che non osiamo,ma è perchè non osiamo che le cose sono difficili.(Seneca, filosofo)
E' risaputo che tra le cosiddette virtù cardinali, ossia le virtù umane per una vita morale dedicata al bene, vi sia la prudenza, unitamente alla fortezza, alla giustizia e alla temperanza.
La prudenza permette di non andare fuori strada. Tuttavia, come virtù cristiana, anche se non appartiene alla Tradizione, vorremmo enunciare anche quella del coraggio, senza che diventi imprudenza. Senza il coraggio gli apostoli, dopo l'ascesa al cielo di Gesù, e molti altri cristiani dopo di loro, non avrebbero potuto annunciare il Vangelo in un tempo di persecuzione. Senza il coraggio, la chiesa di oggi, in un contesto fondamentalmente caratterizzato dall'indifferenza religiosa, sarebbe destinata a implodere sotto il peso dei propri timori, quello di perdere consensi, di disturbare, di essere contrariata, di doversi talvolta scontrare.
Ma spesso è perchè non osiamo che le cose divengono difficili. Se tentiamo, ci accorgiamo che le cose sono più facili di quanto pensassimo. Spesso è la paura a bloccarci.
L'imprudenza è quando ho agito senza calcolare i rischi, non quando ho rischiato.
Avere coraggio, anche all'interno della chiesa, è assumere la sfida di attraversare la paura con la fiducia nel Signore, in sé stessi e nel prossimo.
Avere coraggio, nella propria vita come nella vita della chiesa, in radice è un atto di fede.
Mercoledì 6 maggioLa fede ci fa essere credenti, ma solo la carità ci fa essere creduti.(Tonino Bello, vescovo)
Avete mai visto in televisione la pubblicità dell' 8 x mille alla Chiesa Cattolica? Quasi sempre, per spiegare come vengono utilizzati i fondi, vengono presentati preti che aiutano persone indigenti o che seguono case della carità, invece che mostrare opere di ristrutturazione delle chiese. Perchè? Forse perchè la gente è sensibile alle opere di carità; solo la carità rende la chiesa credibile agli occhi del mondo, cioè ci fa essere testimoni autentici del Vangelo.
Io sogno, forse come papa Francesco, una chiesa più semplice, sobria e più attenta agli ultimi. Una chiesa che sappia fare la scelta concreta di abitare le periferie dell'esistenza, ove risiedono gli ultimi. Gesù nel Vangelo dice: "Beati voi poveri, perchè vostro è il regno di Dio" (Lc 6,20). Sogno una chiesa povera per i poveri, capace di piegarsi a baciare i piedi di tutti perchè, in fondo, siamo tutti un po' "poveri".
Sogno una chiesa che celebri liturgie semplici, poiché il semplice è sempre anche capace di esprimere bellezza, armonia e non artificiosità.
Sogno una chiesa che non abbia paura di mostrare le sue ferite, poiché è una chiesa che sa amare e riconciliarsi con se stessa e con il mondo.
Io sogno. Guai se non sognassimo e non lottassimo per la realizzazione dei nostri sogni, poiché significherebbe che siamo già morti o semplicemente stanchi "dentro".
Sogno una chiesa che metta al centro della sua azione la carità nelle sue diverse forme, poiché Deus caritas est, ossia Dio è amore (1 Gv 4,8).
Martedì 5 maggioL'umiltà senza fiducia è depressione; la fiducia senza umiltà è presunzione.(S. Fausti, gesuita)
Umiltà non è nascondersi o mettersi nelle retrovie. L'umiltà (che deriva dal latino humus, che significa terra) è sempre feconda e capace di generare frutti. Pertanto l'umiltà è vera solo se si presuppone una certa fiducia in sè stessi, altrimenti si cade nel nascondimento o nella depressione. Umiltà è, ad esempio, cercare il bene della comunità prima del mio; umiltà è svolgere bene un servizio senza farlo pesare a chi riesce a compierlo meno bene di me; umiltà è fare un buon compito senza firmarlo. L'umiltà è quella virtù che quando la si possiede, si crede di non averla.
Tuttavia, se l'umiltà non è tale senza una buona dose di fiducia in sè stessi, all'inverso la fiducia non è reale senza una buona dose di umiltà, altrimenti di rischia di scivolare nella presunzione. Fiducia è avere consapevolezza dei propri mezzi; è avere lo sguardo elevato e proteso in avanti, senza per questo desiderare spiccare sugli altri; fiducia è amore verso sè stessi, senza per questo sentirsi il centro del mondo, poiché il mondo è tutto da scoprire ed è sempre più grande di me.
Umiltà e fiducia insieme: un equilibrio sempre da ricercare, una sapienza sempre da acquisire.
Lunedì 4 maggioLa suprema saggezza sta nel perdonare agli altri il fatto che sono diversi da noi(Proverbio orientale)
Quando si vive con persone che la pensano in modo diverso da noi, non è facile andare d'accordo. Pensiamo in una famiglia, per quanto piccola, quante voci discordanti vi sono. Se poi queste persone non si sono nemmeno scelte, penso ad una comunità di preti o di suore, la cosa è ancora più difficile.
Eppure se si prende consapevolezza che l'essere diversi tra noi è la normalità, proprio per il fatto che ognuno di noi è unico agli occhi di Dio, ciò dovrebbe aiutare a relativizzare le tensioni interiori ed esterne. Ci rendiamo conto che l'essere in conflitto è normale, poiché giungere ad un punto comune partendo da punti di vista differenti richiede lavoro interiore, fatica, smussamento degli angoli, revisione delle proprie idee e soprattutto mettere da parte l'orgoglio.
La questione allora non è tanto l'essere in situazioni di conflitto, piccole o grandi, con gli altri, ma accettare di esserlo e gestirlo nel modo più sapiente possibile, senza tirarsi indietro e nemmeno colpendo l'altro.
Prendere consapevolezza del fatto che non ci sono solo io, ma che esistono anche gli altri con le proprie idee e le loro sfumature, dovrebbe aiutarmi a sciogliere i pensieri cattivi e le emozioni disturbanti e a gestire i conflitti in modo sano, assertivo e sapiente.
DOMENICA 03 maggio 2020 – Domenica IV di Pasqua Carissimi tutti delle parrocchie dell'Unità Pastorale di Goito, Cerlongo, Solarolo e Vasto, che in questo momento siamo riuniti nella preghiera attorno alla Madonna della Salute, buon giorno e buona domenica.
Continuiamo ad essere isolati e tenuti lontani gli uni dagli altri ed anche le celebrazioni liturgiche ancora precluse tranne i funerali, che saranno celebrati con una infinità di prescrizioni difficili da gestire. Ci siamo però incontrati nelle celebrazioni eucaristiche che alla domenica abbiamo vissuto insieme attraverso la diffusione sul canale youtube. Il primo maggio è iniziato anche il mese dedicato alla Madonna che abbiamo voluto celebrare con solennità esponendo al portale delle Basilica l'immagine della Madonna della Salute. Ogni giorno ci sarà la possibilità di seguire il santo Rosario pregato in Basilica.
Le letture di questa domenica ed in particolare il passo di Giovanni, che narra la vicenda del pastore delle pecore, mi hanno suggerito di condividere con voi alcune riflessioni.
Nel racconto giovanneo le immagini della porta e di coloro che la transitano qualificano le persone per bene da quelle malvagie. Chi entra per la porta è il pastore e chi entra per altri accessi è un brigante o un ladro. È chiaro il racconto parabolico, ma ci chiediamo a chi rimanda l'immagine della porta? La porta è un simbolo che si riferisce a Gesù, lui è la porta. Passare attraverso questa porta significa assumere Gesù come esempio di vita e cercare di modellare la propria vita sui suoi insegnamenti. Ma qual'è il modello di vita proposto da Gesù? Lo troviamo presentato da Pietro nella seconda lettura. Gesù ha scelto di fare sempre e solo il bene e di sopportare la sofferenza. Poi ancora dice che nella sua bocca non si trovò inganno, insultato non rispondeva con insulti, maltrattato non minacciava vendetta. Si affidava a Dio che giudica con giustizia. Infine Pietro ricorda che Gesù vuole essere in nostro esempio perché anche noi possiamo seguire le sue orme.
Per passare in modo corretto dalla porta che è Cristo Signore, occorre attuare alcuni accorgimenti o scelte di vita, indicate dal testo di Atti:
1. "si sentirono trafiggere il cuore" significa rendersi conto che si sta vivendo lontano da lui, in quanto la nostra vita non si ispira a Gesù e ai suoi insegnamenti;
2. "convertitevi e cambiate vita" cioè intraprendere un cammino di conversione che sfocia nella celebrazione del sacramento della Riconciliazione.
Solo percorrendo questa strada avremo la certezza di passare per la porta che dà la vita: Cristo Signore.
Solo Gesù può donare la salvezza e ci farà pascolare nei prati dell'amore, della misericordia, della pace, della solidarietà e della fraternità. Infatti, ogni persona che sceglie liberamente di conformarsi alla vita di Gesù, alla sua persona, ai suoi insegnamenti, al fine vero della sua esistenza, partecipa alla vita stessa di Dio. Non è facile e le difficoltà sono molte, ma occorre fidarsi di Gesù. Noi oggi lo dichiariamo assieme guidati dalla materna protezione della Madonna della Salute: Gesù ci fidiamo di te. Questa non sia solo un'espressione detta in modo formale, ma sia una preghiera, la preghiera del cuore, che in questa settimana ripetiamo continuamente, perché essa ci plasmi sul modello Gesù. Se cercheremo di seguire Gesù non solo trarremo benefici per noi, ma saremo strumenti capaci di portare anche i nostri fratelli e le nostre sorelle a stare con Gesù.
Buona domenica a tutti anche a nome di don Alessandro, don Jonathan, don Fausto, il diacono Claudio e le nostre care suore.
Don Marco
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Unità Pastorale Mincio
Goito 3 maggio 2020 IV domenica di Pasqua
LetturaL'evangelista san Giovanni ci porta ancora una volta a Gerusalemme, nell'ultimo giorno della festa delle Capanne, dopo la guarigione dell'uomo cieco dalla nascita. Gesù, recatosi al Tempio, insegna cercando di far conoscere la sua completa identità. I contasti sorti con i giudei e con le folle lo costringono a parlare non apertamente, ma attraverso immagini simboliche. Tra queste emerge la figura del pastore di Gv 10,1-18. Nella prima parte del capitolo (vv. 1-5) Gesù si rivela misteriosamente ai suoi uditori. Nel v. 6 l'evangelista annota che i farisei non capivano il senso delle parole di Gesù. Nei vv. 7-18 Gesù si fa conoscere chiaramente, collegando a sé i temi presentati nella prima parte. Il quadro si chiude con la reazione dei giudei (vv. 19-21).
Gv 10, 1-10 1"In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante. 2Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. 3Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. 4E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. 5Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei". 6Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.7Allora Gesù disse loro di nuovo: "In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. 8Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza.CommentoIl brano inizia con una similitudine o parabola (vv. 1-5) raccontata da Gesù e tratta dalla vita comune dei suoi ascoltatori: il rapporto tra il pastore e le pecore. Il vero pastore delle pecore entra dalla porta del recinto mentre chi non è pastore cerca di accedere da un'altra parte. È l'entrare attraverso la porta che distingue il pastore dal ladro e dal brigante. Poi la parabola si chiude descrivendo lo stretto rapporto esistente tra il pastore e le sue pecore: "conoscono la sua voce - chiama le sue pecore - le conduce fuori - cammina davanti ad esse". I destinatari della parabola reagiscono con una generale incomprensione del significato del discorso di Gesù (v. 6). Per questo egli riprende la parola e spiega quanto detto prima (vv. 7-10). Innanzitutto Gesù si presenta come: "la porta delle pecore". All'immagine si può dare due significati. Chiunque è rivestito di autorità, in un ambito del vivere umano (famiglia, lavoro, scuola, ecc.), può esercitarla correttamente soltanto riferendosi a Gesù Cristo e imitando il suo modo di servire ("chi invece entra per la porta, è il pastore delle pecore"). Gesù poi allarga l'orizzonte e si presenta anche come unica porta attraverso la quale le pecore devono passare per trovare salvezza: "io sono la porta: se uno entra attraverso di me sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo". Pastori e pecore devono passare attraverso Gesù Cristo per avere la vita e la salvezza. Per questo egli afferma che tutti coloro i quali sono venuti prima di lui sono stati ladri e briganti, perché non in grado di dare vera salvezza. Solo Gesù Cristo è "venuto perché tutti abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza", senza ricercare interessi personali.
In conclusione, con una parabola, Gesù cerca di far comprendere ai suoi interlocutori che si comportano da briganti e non da pastori nella società se non cercano il bene della gente e non hanno un rapporto autentico con le persone. Solo chi passa attraverso Gesù Cristo e lo imita in tutte le sue dimensioni del vivere può creare rapporti interpersonali veri e guidare così altre persone. Gesù Cristo è l'unico che può offrire a tutti la salvezza e la vita di Dio.
La vitaCerchiamo ora di interagire col testo del vangelo e chiediamoci :
- Quale parte del vangelo letto (in tutta la sua ampiezza) e commentato mi ha colpito di più e perché?
- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con quanto il vangelo ci comunica? Individuare almeno un punto su cui lavorare.
- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è un contributo che io posso dare,per diffondere il vangelo o per realizzarlo, che mi è stato ispirato dal vangelo letto e meditato?
(scegliere un impegno da vivere nella settimana)
Se abbiamo la possibilità, prendiamo foglio e matita e scriviamo le nostre riflessioni. In questo modo si fissano meglio nel nostro cuore e avremo modo di rileggerle nella settimana.
Le Lectio delle domeniche precedenti vengono salvate nella sezione Calendario – Archivio.
Rubrica, curata da don Alessandro, dove ogni giorno viene commentata brevemente la frase di un autore, non necessariamente cristiano. Per custodire, in questi tempi difficili, non solo la salute del corpo e della mente, ma anche quella dello spirito.
Domenica 3 maggioChi ha un perchè nella vita, può sopportare quasi ogni come.(F. Nietzsche, filosofo)
Questa verità fu affermata da un autore a prima vista lontanissimo dalla dimensione religiosa come Friedrich Nietzsche. La possibilità di sopravvivere nelle situazioni più difficili o addirittura estreme, non è data anzituttto dalla costituzione fisica, dalla robustezza interiore e dalle forze a disposizione, ma dalla capacità sapienziale di trovare un significato a ciò che si sta vivendo. Se riesco a trovare un senso alla difficoltà che sto passando, senza per questo ridimensionarne il peso oggettivo, ma andando in profondità nelle ragioni dell'esistenza, tutto cambia prospettiva.
Penso a chi ha subìto delle ingiustizie, quando è mosso dalla forza della ricerca della verità e della giustizia. Penso a chi vive nella malattia o possiede un handicap debilitante, quando è mosso dall'accoglienza di sé come creatura comunque amabile e amata. Penso a chi fa una scelta di donazione totale, come il matrimonio o la vita consacrata, quando è disposto, in nome di quella scelta, a compiere qualsiasi sacrificio.
Ciò che conta è avere un "perchè" buono che ti muova nella direzione di vivere appieno l'esistenza, che ti è stata data come un dono. Allora quasi ogni condizione, quasi ogni "come", diventa sopportabile.
Sabato 2 maggioChi non ha una ragione per vivere, non ha nemmeno una ragione per morire.(dom H. Camara, vescovo)
Questo grande vescovo brasiliano del '900, povero e umile, profetico, fu perseguitato dalle autorità perchè considerato un sovversivo che lottava, con la sua predicazione, per i diritti dei poveri, stando dalla loro parte anche a costo di perdere la propria vita. Egli si sentiva tutt'uno col suo popolo, e ogni fedele era per lui come un figlio.
Quale padre o quale madre non darebbe la vita per un figlio? E quale padre o quale madre non vive di fatto, donando tutto se stesso, per un figlio?
Non è scontato che una persona abbia trovato una ragione di vita. In fondo si può vivere anche alla giornata, senza uno scopo o un senso preciso. Ma a mio avviso, solo vivendo per qualcosa o per qualcuno, si può dare un significato autentico alla propria vita e pertanto viverla appieno. Questo qualcuno potrà essere un figlio, un compagno, oppure il Signore e la sua chiesa; questo qualcosa potrà essere un principio fondamentale. Ma senza un centro che dia significato al tutto, ci sentiamo svuotati, privi di forza e di indirizzo verso cui tendere.
Proviamo a chiederci: per chi o per cosa sarei disposto a morire? Se riesco a dare una risposta a questa domanda, significa che sto già vivendo appieno la mia vita, o almeno ci sto provando.
Venerdì 1 maggioChi si separa esistenzialmente dal povero, rimane privo di una delle essenziali porte d'accesso al mistero di Cristo.(C. Scaglioni, sacerdote)
I poveri sono intorno a noi. Madre Teresa diceva che chi ha molta carità vede molti poveri, chi ha poca carità vede pochi poveri. I poveri sono intorno a noi.
Essi non sono anzitutto un impiccio, un disturbo, ma una delle porte di accesso al mistero di Cristo. Chi incontra un povero incontra Gesù Cristo. In un certo senso il povero è "sacramento" che rende presente il Signore. Infatti Gesù nel passo del Vangelo relativo al giudizio finale afferma: "In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,40), riferendosi, con i "piccoli", agli affamati, agli assetati, ai carcerati, ai malati....
In questo tempo di Coronavirus i poveri sono soprattutto coloro che si sono ammalati o i parenti di coloro che sono morti e che non hanno nemmeno avuto la possibilità di dare una degna sepoltura ai loro cari; ma in questo 1° maggio, giorno dei lavoratori, ricordiamo in modo particolare tutti coloro che, per questa pandemia, stanno vivendo l'incertezza del lavoro. Anche loro sono poveri, anche a loro dobbiamo guardare con empatia, a chi non dorme la notte per la preoccupazione di dover portare avanti un'attività e mantenere una famiglia, a chi non riesce a pagare le bollette. Li portiamo nella preghiera, e se possiamo, cerchiamo di essere loro vicini con una parola di speranza e con una carità concreta.
Giovedì 30 aprileGesù non ti chiama ad avere successo, ma ad essere fedele.(Madre Teresa di Calcutta)
Non possiamo non dire che Madre Teresa nella sua vita sia stata una donna di successo, almeno nell'ambito della carità. Ha fondato un istituto religioso, ha sfamato ed assistito migliaia, forse milioni di persone, ha vinto un premio Nobel per la pace e infine è diventata santa.
Tuttavia durante la sua vita ella esprimeva senza timore di aver avvertito una forte aridità spirituale, ossia la lontananza di Dio, per un periodo di almeno tre anni durante il suo apostolato. Come poter continuare a vivere la propria missione quando si percepisce un'aridità così grande? Attraverso la fedeltà al Signore che, prima o poi, si farà sentire, ti darà un segno e non ti lascerà barcollare nel buio.
Anche per ognuno di noi, che nella propria vita possiede una missione affidatagli da Dio, quale ad esempio quella di padre, di moglie, di prete, di suora, di insegnante, vale lo stesso principio: il Signore non ti chiama ad avere successo, ma a rimanergli fedele, soprattutto nei tempi bui, quelli più difficili. È questa fedeltà a salvarci. Se penso a Gesù, nel momento culminante della sua missione salvifica, quando era sulla croce, ai piedi di essa "stavano sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèopa e Maria di Màgdala" (Gv 19,25) e il discepolo amato, Giovanni. E gli altri dov'erano? Erano fuggiti?! Se dovessimo misurare la missione di Gesù dai numeri, forse anche oggi, anche noi cristiani ci accorgeremmo che sarebbe meglio chiudere e ritirarsi.
Ma il Signore non ci chiede il successo, bensì la fedeltà, poiché è lui a condurre la storia, non noi, e in questo dobbiamo avere fiducia.
Mercoledì 29 aprileÈ ingiusto chiedere ad un una formica di portare delle travi(S. Bernardo di Chiaravalle)
C'è un motto latino, risalente agli antichi romani, che dice: "Ad impossibilia nemo tenetur", letteralmente: "Alle cose impossibili nessuno è tenuto". È un'affermazione molto liberante poiché siamo tenuti, in coscienza, solo alle cose che percepiamo possibili, alla nostra portata.
Ci sono momenti nella vita in cui qualcuno vorrebbe che noi portassimo delle travi più pesanti di quanto possiamo sopportare. Un genitore, un datore di lavoro, il proprio partner. Talvolta diamo corda a queste voci; esse diventano così forti che le interiorizziamo e così siamo noi a non accettare di non potercela fare.
Avere la giusta percezione delle proprie possibilità, oltre che di quelle altrui, non è segno di debolezza, bensì di grande saggezza.
C'è una preghiera molto bella, degli alcolisti anonimi, che recita così:
Concedimi Signore la capacità di accettare ciò che non posso cambiare,
il coraggio di cambiare ciò che posso,
e la saggezza di distinguere ciò che posso da ciò che non posso.
Il Signore non permette che portiamo pesi superiori alle nostre forze (cfr. 1 Cor 10,13).
A noi la responsabilità di accogliere questa verità e di non lasciare che le persone attorno a noi la minaccino.
Martedì 28 aprileMia mamma mi ha insegnato ad amare gli altri,ma non mi ha insegnato ad amare me stesso.(Aimè Duval, gesuita e cantautore)
Queste parole di Duval lasciano intravedere che egli non abbia avuto un grande rapporto con la propria madre. Se Dio ci comanda: "Ama il prossimo tuo come te stesso", ci lascia intendere che è importante nella vita voler bene a sé stessi. Qui non si sta parlando di cadere nel narcisismo, ma di avere una sana autostima, un sano amore verso di sé.
Ci possono essere diversi motivi per cui uno non ha coltivato, fin da piccolo, un sano amore per sé stesso. Uno di questi può essere che le persone più vicine, di solito i genitori, non hanno manifestato affetto, tenerezza e fiducia verso quel bambino. Per amare gli altri potrebbe bastare, paradossalmente, una norma morale che ce lo comanda; per amare sé stessi è necessaria l'esperienza di essersi sentiti amati.
Mi colpiscono le parole del Padre quando Gesù viene battezzato: "Tu sei il Figlio mio, l'amato, in te ho posto il mio compiacimento" (Mc 1,11). Gesù gode di tutta la fiducia e dell'amore del Padre. E il salmista che si rivolge a Dio dice: "Io ti rendo grazie: hai fatto di me una meraviglia stupenda" (Sal 139,14).
Anche l'esperienza della fede, in fondo, è l'esperienza di sentirsi abbracciati da Dio e di sapere che posso contare su di Lui, sul mio prossimo e anche su quella creatura meravigliosa che sono io.
Lunedì 27 aprileL'uomo è il rischio di Dio(E. Ronchi, teologo)
Quando Dio ha creato l'uomo e la donna, li ha creati liberi e quindi si è assunto il rischio che si allontanassero da lui. E così fu, basti pensare ad Adamo ed Eva. Ma questa libertà che ci ha donato è proprio un segno del suo amore.
Provate a pensare ad un genitore quando dà alla luce un figlio: sa che egli prenderà la sua strada; cercherà di fare il meglio che può come padre o madre, ma poi il figlio farà le proprie scelte, giuste o sbagliate che siano.
Dio avrebbe potuto creare una marionetta ubbidiente ai suoi comandi anziché un uomo, privandolo della sua libertà. Ma questo è amore? L'amore si esprime nella fiducia, e Dio ha fiducia in noi. E quand'anche dovessimo perderci, Lui è sempre lì ad aspettarci, a riaccoglierci, perchè Lui è Dio e può farlo in qualsiasi momento.
Ieri dicevo ad una cara amica: "Io credo di andare in Paradiso". Potrei sembrare superbo, ma lo credo non perchè sono bravo e lo merito, dopotutto sono un povero peccatore come tutti, ma perchè credo fermamente nella bontà e nella misericordia di Dio, che mi accoglierà quando io mi rivolgerò a Lui.
Dio con noi si è preso un rischio; forse Dio ci chiede lo stesso, di rischiare la nostra vita su di Lui.