Archivio

Lectio divina IV Domenica di Pasqua

LETTURA - COMMENTO - VITA
Unità Pastorale Mincio
Goito 3 maggio 2020 IV domenica di Pasqua

Lettura
L'evangelista san Giovanni ci porta ancora una volta a Gerusalemme, nell'ultimo giorno della festa delle Capanne, dopo la guarigione dell'uomo cieco dalla nascita. Gesù, recatosi al Tempio, insegna cercando di far conoscere la sua completa identità. I contasti sorti con i giudei e con le folle lo costringono a parlare non apertamente, ma attraverso immagini simboliche. Tra queste emerge la figura del pastore di Gv 10,1-18. Nella prima parte del capitolo (vv. 1-5) Gesù si rivela misteriosamente ai suoi uditori. Nel v. 6 l'evangelista annota che i farisei non capivano il senso delle parole di Gesù. Nei vv. 7-18 Gesù si fa conoscere chiaramente, collegando a sé i temi presentati nella prima parte. Il quadro si chiude con la reazione dei giudei (vv. 19-21).

Gv 10, 1-10  1"In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante. 2Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. 3Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. 4E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. 5Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei". 6Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
7Allora Gesù disse loro di nuovo: "In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. 8Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza.

Commento
Il brano inizia con una similitudine o parabola (vv. 1-5) raccontata da Gesù e tratta dalla vita comune dei suoi ascoltatori: il rapporto tra il pastore e le pecore. Il vero pastore delle pecore entra dalla porta del recinto mentre chi non è pastore cerca di accedere da un'altra parte. È l'entrare attraverso la porta che distingue il pastore dal ladro e dal brigante. Poi la parabola si chiude descrivendo lo stretto rapporto esistente tra il pastore e le sue pecore: "conoscono la sua voce - chiama le sue pecore - le conduce fuori - cammina davanti ad esse". I destinatari della parabola reagiscono con una generale incomprensione del significato del discorso di Gesù (v. 6). Per questo egli riprende la parola e spiega quanto detto prima (vv. 7-10). Innanzitutto Gesù si presenta come: "la porta delle pecore". All'immagine si può dare due significati. Chiunque è rivestito di autorità, in un ambito del vivere umano (famiglia, lavoro, scuola, ecc.), può esercitarla correttamente soltanto riferendosi a Gesù Cristo e imitando il suo modo di servire ("chi invece entra per la porta, è il pastore delle pecore"). Gesù poi allarga l'orizzonte e si presenta anche come unica porta attraverso la quale le pecore devono passare per trovare salvezza: "io sono la porta: se uno entra attraverso di me sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo". Pastori e pecore devono passare attraverso Gesù Cristo per avere la vita e la salvezza. Per questo egli afferma che tutti coloro i quali sono venuti prima di lui sono stati ladri e briganti, perché non in grado di dare vera salvezza. Solo Gesù Cristo è "venuto perché tutti abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza", senza ricercare interessi personali.

In conclusione, con una parabola, Gesù cerca di far comprendere ai suoi interlocutori che si comportano da briganti e non da pastori nella società se non cercano il bene della gente e non hanno un rapporto autentico con le persone. Solo chi passa attraverso Gesù Cristo e lo imita in tutte le sue dimensioni del vivere può creare rapporti interpersonali veri e guidare così altre persone. Gesù Cristo è l'unico che può offrire a tutti la salvezza e la vita di Dio.

La vita
Cerchiamo ora di interagire col testo del vangelo e chiediamoci :
- Quale parte del vangelo letto (in tutta la sua ampiezza) e commentato mi ha colpito di più e perché?
- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con quanto il vangelo ci comunica? Individuare almeno un punto su cui lavorare.
- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è un contributo che io posso dare,per diffondere il vangelo o per realizzarlo, che mi è stato ispirato dal vangelo letto e meditato?
(scegliere un impegno da vivere nella settimana)

Se abbiamo la possibilità, prendiamo foglio e matita e scriviamo le nostre riflessioni. In questo modo si fissano meglio nel nostro cuore e avremo modo di rileggerle nella settimana.


Le Lectio delle domeniche precedenti vengono salvate nella sezione Calendario – Archivio.

Pillole di Spirito 26 aprile - 03 maggio 2020

Rubrica, curata da don Alessandro, dove ogni giorno viene commentata brevemente la frase di un autore, non necessariamente cristiano. Per custodire, in questi tempi difficili, non solo la salute del corpo e della mente, ma anche quella dello spirito.

Domenica 3 maggio

Chi ha un perchè nella vita, può sopportare quasi ogni come.
(F. Nietzsche, filosofo)

Questa verità fu affermata da un autore a prima vista lontanissimo dalla dimensione religiosa come Friedrich Nietzsche. La possibilità di sopravvivere nelle situazioni più difficili o addirittura estreme, non è data anzituttto dalla costituzione fisica, dalla robustezza interiore e dalle forze a disposizione, ma dalla capacità sapienziale di trovare un significato a ciò che si sta vivendo. Se riesco a trovare un senso alla difficoltà che sto passando, senza per questo ridimensionarne il peso oggettivo, ma andando in profondità nelle ragioni dell'esistenza, tutto cambia prospettiva.
Penso a chi ha subìto delle ingiustizie, quando è mosso dalla forza della ricerca della verità e della giustizia. Penso a chi vive nella malattia o possiede un handicap debilitante, quando è mosso dall'accoglienza di sé come creatura comunque amabile e amata. Penso a chi fa una scelta di donazione totale, come il matrimonio o la vita consacrata, quando è disposto, in nome di quella scelta, a compiere qualsiasi sacrificio.
Ciò che conta è avere un "perchè" buono che ti muova nella direzione di vivere appieno l'esistenza, che ti è stata data come un dono. Allora quasi ogni condizione, quasi ogni "come", diventa sopportabile.

2020-05-03


Sabato 2 maggio

Chi non ha una ragione per vivere, non ha nemmeno una ragione per morire.
(dom H. Camara, vescovo)

Questo grande vescovo brasiliano del '900, povero e umile, profetico, fu perseguitato dalle autorità perchè considerato un sovversivo che lottava, con la sua predicazione, per i diritti dei poveri, stando dalla loro parte anche a costo di perdere la propria vita. Egli si sentiva tutt'uno col suo popolo, e ogni fedele era per lui come un figlio.
Quale padre o quale madre non darebbe la vita per un figlio? E quale padre o quale madre non vive di fatto, donando tutto se stesso, per un figlio?
Non è scontato che una persona abbia trovato una ragione di vita. In fondo si può vivere anche alla giornata, senza uno scopo o un senso preciso. Ma a mio avviso, solo vivendo per qualcosa o per qualcuno, si può dare un significato autentico alla propria vita e pertanto viverla appieno. Questo qualcuno potrà essere un figlio, un compagno, oppure il Signore e la sua chiesa; questo qualcosa potrà essere un principio fondamentale. Ma senza un centro che dia significato al tutto, ci sentiamo svuotati, privi di forza e di indirizzo verso cui tendere.
Proviamo a chiederci: per chi o per cosa sarei disposto a morire? Se riesco a dare una risposta a questa domanda, significa che sto già vivendo appieno la mia vita, o almeno ci sto provando.

2020-05-02

Venerdì 1 maggio

Chi si separa esistenzialmente dal povero, rimane privo di una delle essenziali porte d'accesso al mistero di Cristo.
(C. Scaglioni, sacerdote)

I poveri sono intorno a noi. Madre Teresa diceva che chi ha molta carità vede molti poveri, chi ha poca carità vede pochi poveri. I poveri sono intorno a noi.
Essi non sono anzitutto un impiccio, un disturbo, ma una delle porte di accesso al mistero di Cristo. Chi incontra un povero incontra Gesù Cristo. In un certo senso il povero è "sacramento" che rende presente il Signore. Infatti Gesù nel passo del Vangelo relativo al giudizio finale afferma: "In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,40), riferendosi, con i "piccoli", agli affamati, agli assetati, ai carcerati, ai malati....
In questo tempo di Coronavirus i poveri sono soprattutto coloro che si sono ammalati o i parenti di coloro che sono morti e che non hanno nemmeno avuto la possibilità di dare una degna sepoltura ai loro cari; ma in questo 1° maggio, giorno dei lavoratori, ricordiamo in modo particolare tutti coloro che, per questa pandemia, stanno vivendo l'incertezza del lavoro. Anche loro sono poveri, anche a loro dobbiamo guardare con empatia, a chi non dorme la notte per la preoccupazione di dover portare avanti un'attività e mantenere una famiglia, a chi non riesce a pagare le bollette. Li portiamo nella preghiera, e se possiamo, cerchiamo di essere loro vicini con una parola di speranza e con una carità concreta.

2020-05-01

Giovedì 30 aprile

Gesù non ti chiama ad avere successo, ma ad essere fedele.
(Madre Teresa di Calcutta)

Non possiamo non dire che Madre Teresa nella sua vita sia stata una donna di successo, almeno nell'ambito della carità. Ha fondato un istituto religioso, ha sfamato ed assistito migliaia, forse milioni di persone, ha vinto un premio Nobel per la pace e infine è diventata santa.
Tuttavia durante la sua vita ella esprimeva senza timore di aver avvertito una forte aridità spirituale, ossia la lontananza di Dio, per un periodo di almeno tre anni durante il suo apostolato. Come poter continuare a vivere la propria missione quando si percepisce un'aridità così grande? Attraverso la fedeltà al Signore che, prima o poi, si farà sentire, ti darà un segno e non ti lascerà barcollare nel buio.
Anche per ognuno di noi, che nella propria vita possiede una missione affidatagli da Dio, quale ad esempio quella di padre, di moglie, di prete, di suora, di insegnante, vale lo stesso principio: il Signore non ti chiama ad avere successo, ma a rimanergli fedele, soprattutto nei tempi bui, quelli più difficili. È questa fedeltà a salvarci. Se penso a Gesù, nel momento culminante della sua missione salvifica, quando era sulla croce, ai piedi di essa "stavano sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèopa e Maria di Màgdala" (Gv 19,25) e il discepolo amato, Giovanni. E gli altri dov'erano? Erano fuggiti?! Se dovessimo misurare la missione di Gesù dai numeri, forse anche oggi, anche noi cristiani ci accorgeremmo che sarebbe meglio chiudere e ritirarsi.
Ma il Signore non ci chiede il successo, bensì la fedeltà, poiché è lui a condurre la storia, non noi, e in questo dobbiamo avere fiducia.

2020-04-30 2


Mercoledì 29 aprile

È ingiusto chiedere ad un una formica di portare delle travi
(S. Bernardo di Chiaravalle)

2020-04-29
C'è un motto latino, risalente agli antichi romani, che dice: "Ad impossibilia nemo tenetur", letteralmente: "Alle cose impossibili nessuno è tenuto". È un'affermazione molto liberante poiché siamo tenuti, in coscienza, solo alle cose che percepiamo possibili, alla nostra portata.
Ci sono momenti nella vita in cui qualcuno vorrebbe che noi portassimo delle travi più pesanti di quanto possiamo sopportare. Un genitore, un datore di lavoro, il proprio partner. Talvolta diamo corda a queste voci; esse diventano così forti che le interiorizziamo e così siamo noi a non accettare di non potercela fare.
Avere la giusta percezione delle proprie possibilità, oltre che di quelle altrui, non è segno di debolezza, bensì di grande saggezza.
C'è una preghiera molto bella, degli alcolisti anonimi, che recita così:
  Concedimi Signore la capacità di accettare ciò che non posso cambiare,
  il coraggio di cambiare ciò che posso,
  e la saggezza di distinguere ciò che posso da ciò che non posso.
Il Signore non permette che portiamo pesi superiori alle nostre forze (cfr. 1 Cor 10,13).
A noi la responsabilità di accogliere questa verità e di non lasciare che le persone attorno a noi la minaccino.


Martedì 28 aprile

Mia mamma mi ha insegnato ad amare gli altri,
ma non mi ha insegnato ad amare me stesso.
(Aimè Duval, gesuita e cantautore)

2020-04-28
 Queste parole di Duval lasciano intravedere che egli non abbia avuto un grande rapporto con la propria madre. Se Dio ci comanda: "Ama il prossimo tuo come te stesso", ci lascia intendere che è importante nella vita voler bene a sé stessi. Qui non si sta parlando di cadere nel narcisismo, ma di avere una sana autostima, un sano amore verso di sé.
 Ci possono essere diversi motivi per cui uno non ha coltivato, fin da piccolo, un sano amore per sé stesso. Uno di questi può essere che le persone più vicine, di solito i genitori, non hanno manifestato affetto, tenerezza e fiducia verso quel bambino. Per amare gli altri potrebbe bastare, paradossalmente, una norma morale che ce lo comanda; per amare sé stessi è necessaria l'esperienza di essersi sentiti amati.
 Mi colpiscono le parole del Padre quando Gesù viene battezzato: "Tu sei il Figlio mio, l'amato, in te ho posto il mio compiacimento" (Mc 1,11). Gesù gode di tutta la fiducia e dell'amore del Padre. E il salmista che si rivolge a Dio dice: "Io ti rendo grazie: hai fatto di me una meraviglia stupenda" (Sal 139,14).
Anche l'esperienza della fede, in fondo, è l'esperienza di sentirsi abbracciati da Dio e di sapere che posso contare su di Lui, sul mio prossimo e anche su quella creatura meravigliosa che sono io.


Lunedì 27 aprile

L'uomo è il rischio di Dio
(E. Ronchi, teologo)

Quando Dio ha creato l'uomo e la donna, li ha creati liberi e quindi si è assunto il rischio che si allontanassero da lui. E così fu, basti pensare ad Adamo ed Eva. Ma questa libertà che ci ha donato è proprio un segno del suo amore.
Provate a pensare ad un genitore quando dà alla luce un figlio: sa che egli prenderà la sua strada; cercherà di fare il meglio che può come padre o madre, ma poi il figlio farà le proprie scelte, giuste o sbagliate che siano.
Dio avrebbe potuto creare una marionetta ubbidiente ai suoi comandi anziché un uomo, privandolo della sua libertà. Ma questo è amore? L'amore si esprime nella fiducia, e Dio ha fiducia in noi. E quand'anche dovessimo perderci, Lui è sempre lì ad aspettarci, a riaccoglierci, perchè Lui è Dio e può farlo in qualsiasi momento.
Ieri dicevo ad una cara amica: "Io credo di andare in Paradiso". Potrei sembrare superbo, ma lo credo non perchè sono bravo e lo merito, dopotutto sono un povero peccatore come tutti, ma perchè credo fermamente nella bontà e nella misericordia di Dio, che mi accoglierà quando io mi rivolgerò a Lui.
Dio con noi si è preso un rischio; forse Dio ci chiede lo stesso, di rischiare la nostra vita su di Lui.

Riflessione di don Marco sulla III domenica di Pasqua

DOMENICA 26 APRILE 2020 – Domenica III di Pasqua

   Carissimi amiche ed amici delle parrocchie dell'Unità Pastorale Mincio (Goito, Cerlongo, Solarolo e Vasto) buon giorno e buona domenica.
   Un'altra settimana ci ha isolati e tenuti lontani gli uni dagli altri, ci ha separati anche dalle celebrazioni liturgiche. Ci siamo però incontrati nelle celebrazioni eucaristiche che alla domenica abbiamo vissuto insieme attraverso la diffusione sul canale youtube. Anche ogni giorno quando noi sacerdoti celebriamo alle ore 8,30 tutti voi siete con noi nella comunione ecclesiale e nell'affetto che portiamo per tutti.
   Le letture di questa domenica ed in particolare il racconto di s. Luca che narra la vicenda dei discepoli di Emmaus, mi hanno suggerito di condividere con voi alcune riflessioni.
   L'esperienza dei discepoli di Emmaus fotografa molto bene la nostra vita di questo tempo.
   Anche le nostre discussioni che viviamo in casa o sui social sono centrate penso tutte su questioni importantissime, ma che hanno un sottofondo di delusione. La pandemia che sembra qui in Lombardia non retrocedere. La crisi economica che sempre più si affaccia importante all'orizzonte a causa del lavoro fermo. False notizie che vengono diffuse e creano panico e sfiducia verso tutto e tutti.
   E ci ritroviamo a non parlare mai della nostra fede, anche delle nostre difficoltà a credere in questo tempo; ad aiutarci nel momento di buio e di difficoltà, sostenendoci e camminando insieme. È un po' come se la nostra vita cristiana fosse tra parentesi e non avesse a che fare con la vita concreta di ogni giorno.
   Anche con noi oggi cammina Gesù risorto, ma i nostri occhi non riescono a vederlo. In che modo Gesù è con noi?
   Nelle Scritture Sante che leggiamo personalmente, in famiglia e ascoltiamo nelle celebrazioni. Con le Scritture Gesù ci è accanto e col suo Spirito ci illumina, ci consola, ci da speranza, ci aiuta a camminare nella fede.
   È con noi quando ci fermiamo a pregare.
   È con noi quando amiamo e serviamo i nostri fratelli. Essi oggi più che mai sono sacramento del Signore, cioè segno concreto della sua presenza. Egli disse: "ogni volta che fate qualche cosa a un mio fratello più piccolo avrete fatto a me".
   Due segni, come nel vangelo, indicano la presenza del Risorto accanto a noi:
     - la gioia: il cristiano gioioso testimonia che anche nelle difficoltà il Signore è con lui, non è triste perché nel Signore intravede vie di uscita e di rinnovamento;
     - la necessità di raccontare agli altri la nostra vita cristiana e di testimoniare che è bello seguire Gesù.
   Chiediamo al Signore che è sempre con noi, di sperimentare la sua presenza e di essere capaci di vedere la luce nel buio, di andare avanti anche nelle difficoltà, di comunicare speranza perché lo abbiamo incontrato nella Scrittura e nei fratelli che ci stanno accanto.

   Buona domenica a tutti anche a nome di don Alessandro, don Jonathan, don Fausto, il diacono Claudio e le nostre care suore.
   Don Marco

Lectio divina III Domenica di Pasqua

LETTURA - COMMENTO - VITA
Unità Pastorale Mincio
Goito 26 aprile 2020  III domenica di Pasqua

Lettura
La liturgia odierna propone la lettura di un passo del vangelo di san Luca preso dal "trittico delle apparizioni pasquali". La prima scena del trittico è costituita dal ritrovamento del sepolcro vuoto e dall'annuncio pasquale alle donne (Lc 24, 1-12). La seconda scena riguarda il nostro brano (Lc 24, 13-35). Infine si ha l'apparizione del Risorto agli undici (Lc 24, 36-43). Dalle donne, protagoniste all'inizio, si passa ai due discepoli, per giungere infine agli Undici, i testimoni ufficiali dell'annuncio evangelico.

Luca 24, 13-35
13Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, 14e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. 15Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. 16Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. 17Ed egli disse loro: "Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?". Si fermarono, col volto triste; 18uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: "Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?". 19Domandò loro: "Che cosa?". Gli risposero: "Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; 20come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. 21Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. 22Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba 23e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. 24Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l'hanno visto". 25Disse loro: "Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! 26Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?". 27E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
28Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. 29Ma essi insistettero: "Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto". Egli entrò per rimanere con loro. 30Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. 31Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. 32Ed essi dissero l'un l'altro: "Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?". 33Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, 34i quali dicevano: "Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!". 35Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

Commento
Il racconto di san Luca inizia presentando due discepoli che, il primo giorno della settimana (la nostra domenica), lasciano Gerusalemme e scendono verso Emmaus. Anche se conversano "di tutto quello che era accaduto", non traspare nel loro discorso alcun riferimento all'evento pasquale che si era realizzato. Essi ormai hanno chiuso la parentesi felice, piena di progetti e di speranze, vissuta col maestro di Galilea ed ora stanno scendendo verso la monotonia della vita abituale. Allora Gesù in persona si accosta per camminare con loro, ma essi non lo riconoscono, e a lui raccontano tutta l'amarezza e la delusione che portavano dentro. Anche l'esperienza fatta dalle donne al sepolcro, e narrata successivamente agli altri discepoli, non è stata sufficiente a rianimare in loro la speranza: "ma lui non l'hanno visto". È a questo punto che la narrazione segna una svolta attraverso l'azione decisa e piena di amore di Gesù. Egli assume la loro situazione negativa e, attraverso le Scritture spiegate minuziosamente, la rovescia: "e cominciando da Mosé e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui". L'azione di Gesù non si è ancora completata in quanto gli occhi dei due discepoli "erano impediti a riconoscerlo". Solo quando Gesù si ferma, dopo che essi avevano insistito ("resta con noi perché si fa sera"), e seduto a tavola spezza il pane, i loro occhi si aprono e lo riconoscono. È nell'Eucarestia che il riconoscimento di Gesù si realizza pienamente! A questo punto il racconto volge rapidamente a conclusione. Gesù scompare ed i discepoli ripensano all'esperienza fatta: "non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi...?". Ritornano poi a Gerusalemme dove ricevono l'annuncio ufficiale della risurrezione ed essi raccontano il loro incontro col Risorto.

In conclusione l'evangelista, volendo istruire il lettore credente, lo invita a riflettere sul suo itinerario di vita spesso percorso senza speranza nel Risorto. Con i discepoli cammina sempre il Signore, che ha la possibilità di cambiare radicalmente la loro vita spesso triste ed amara. È la compagnia assidua con le Scritture e la partecipazione consapevole all'Eucarestia che permettono un incontro autentico con Cristo. La mensa della Parola e del Pane, nel giorno del Signore, è culmine e punto di partenza della vita cristiana. Soltanto l'incontro con Gesù Cristo risorto fa nascere la fede, la alimenta e la porta a pieno compimento.

La vita
Cerchiamo ora di interagire col testo del vangelo e chiediamoci :
- Quale parte del vangelo letto (in tutta la sua ampiezza) e commentato mi ha colpito di più e perché?
- Che cosa devo cambiare nella mia vita personale per essere in sintonia con quanto il vangelo ci comunica? Individuare almeno un punto su cui lavorare.
- Nella mia vita sociale (famiglia, lavoro, relazioni, parrocchia) c'è un contributo che io posso dare,per diffondere il vangelo o per realizzarlo, che mi è stato ispirato dal vangelo letto e meditato?
(scegliere un impegno da vivere nella settimana)

Se abbiamo la possibilità, prendiamo foglio e matita e scriviamo le nostre riflessioni. In questo modo si fissano meglio nel nostro cuore e avremo modo di rileggerle nella settimana.


Le Lectio delle domeniche prcedenti vengono salvate nella sezione Calendario – Archivio.


Pillole di Spirito 20 - 26 aprile 2020

Rubrica, curata da don Alessandro, dove ogni giorno viene commentata brevemente la frase di un autore, non necessariamente cristiano. Per custodire, in questi tempi difficili, non solo la salute del corpo e della mente, ma anche quella dello spirito.


Domenica 26 aprile

Quella di voler sperimentare tutte le cose è una strada tortuosa
e un cammino senza fine.
(San Bernardo di Chiaravalle)

2020-04-26  
  Oggi viviamo in un mondo pluralistico, dove abbiamo la possibilità di usufruire e di godere di una moltitudine di cose. I bambini hanno un  sacco di attività tra cui poter scegliere nel tempo libero: calcio, karate, e qualsiasi altro sport. Sugli scaffali di un supermercato una donna che fa la spesa ha la possibilità di scegliere tra un'enormità di prodotti. Se mi metto davanti alla TV con il telecomando in mano, posso ormai navigare in un mare di canali.
  Questo pluralismo è certamente un dono per il nostro tempo, ma può trasformarsi anche in un limite poiché la mia libertà è disorientata e, paradossalmente, fa più fatica a compiere delle scelte. Si vorrebbe sperimentare tutto prima di scegliere, poiché potrebbe esserci una cosa migliore che non ho vagliato, ma a questo punto si finisce col non scegliere mai. Trasportiamo questo discorso nella relazione con le persone, nella scelta di una compagna, o in una scelta di vita, matrimoniale o religiosa, e ci accorgiamo che il rischio è quello di non scegliere mai.
  Ma ciò che da pienezza e senso alla vita non è provare tutto, ma il "gustare molto" una cosa, forse l'unica, ma fino in fondo. È giocarsi in una scelta definitiva, di donazione totale e unica, e viverla fino alla fine.
Per dirla con le parole di ieri, questa è la vera libertà: non il volo di un moscone, la libertà è partecipazione alle cose, è "giocarsi".

   


Sabato 25 aprile

La libertà non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone.
La libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione.
(G. Gaber, cantautore)

Quel 25 aprile di 75 anni fa, il popolo italiano vide concludersi una delle più sanguinose guerre della storia, la seconda guerra mondiale, e ottenne la liberazione da ogni forma di occupazione da parte di un paese ostile. Forse solo chi ha vissuto una guerra come quella può assaporare il dono della libertà.
Libertà non è star sopra un albero a guardare chi passa, o a godersi una brezza leggera. Libertà non è nemmeno il volo di un moscone, che vaga di qua e di là a proprio piacere a seconda di come tira il vento.
Libertà è partecipazione, è impegno, è azione, talvolta anche lotta pacifica per ciò in cui si crede e per coloro che si amano. Libertà è coinvolgimento di tutto se stessi: della mente, delle emozioni, del cuore in un progetto o in una causa che ci supera e per la quale vale la pena di vivere, forse anche morire.
Libertà è partecipazione. Facciamo memoria di tutti coloro che, in nome della libertà, hanno perso la propria vita.


Venerdì 24 aprile

Alla sera della vita saremo giudicati sull'amore
S. Giovanni della Croce
2020-04-24

C'è un bellissimo passo del Vangelo in cui Gesù afferma che, quando verrà alla fine dei tempi nella sua gloria, interrogherà ognuno di noi chiedendoci se gli abbiamo dato da mangiare quando era affamato, se gli abbiamo dato da bere quando era assetato, se lo abbiamo accolto quando era straniero, se lo abbiamo visitato quando era malato o in carcere. "Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,40). Alla sera della vita, saremo giudicati sull'amore che abbiamo avuto nei confronti dei nostri fratelli, soprattutto quelli più "poveri".
Ogni persona, in particolare la più bisognosa, è "sacramento" di Cristo, cioè sul suo volto scorgiamo il volto crocifisso e risorto di Gesù. Questa immagine è all'origine della mia vocazione sacerdotale. Quando ero ancora giovane, insieme ad alcuni amici del gruppo missionario del mio paese, aiutavo i più poveri e sul loro volto mi sembrava svelarsi il volto di Gesù sulla croce che mi diceva: "Ho sete" (Gv 19,28).
Un giorno Papa Giovanni Paolo II disse: "Gli occhi dei bambini africani ci giudicheranno".
Non restiamo indifferenti ai bisogni di chi ci circonda, anzi lasciamo che la carità verso di loro edifichi la nostra vita nel segno del sacrificio, del dono e della gioia.
Alla sera della vita saremo giudicati sull'amore.



Giovedì 23 aprile

Se il giovane sapesse e il vecchio potesse, non ci sarebbe cosa che non si farebbe
(Papa Francesco)

Gli anziani hanno, o dovrebbero avere, il dono della saggezza. L'esperienza della vita infatti ha insegnato loro molte cose di cui fare tesoro.
I giovani invece hanno, o dovrebbero avere, il dono della freschezza: si sentono protagonisti dell'esistenza che hanno davanti e vivono nel desiderio e nell'entusiasmo di poter realizzare i propri sogni.
Se ogni persona potesse essere saggia come un anziano e fresca come un giovane!
Ciò in genere non è possibile, poiché si porta con sé anche o la stanchezza della vita o l'imprudenza di chi la vita non l'ha ancora conosciuta.
È possibile tuttavia fare in modo che queste virtù, quelle della saggezza e della freschezza, si incontrino dentro qualsiasi comunità che possa dirsi "civile".
I giovani dovrebbero valorizzare gli anziani, mettersi loro in ascolto, fare tesoro della sapienza da loro acquisita soprattutto attraverso le prove della vita. In tal senso i vecchi sono un patrimonio, e non lo scarto, di una comunità.
Ma allo stesso tempo i più anziani dovrebbero dare fiducia ai giovani, lasciar loro esprimere la propria freschezza e intraprendenza, guidandoli coi propri consigli. Una comunità in cui i più anziani non "lasciano spazio" ai giovani, è una comunità senza futuro, e purtroppo questo capita spesso, si pensi solo a quanto concerne la classe politica e dirigente piuttosto che, me lo si lasci dire, anche la Chiesa stessa!
Per una comunità, fare sintesi tra la saggezza degli anziani e la freschezza dei giovani è possibile solo attraverso un dialogo autentico e sincero tra le generazioni.
Allora tale comunità potrà definirsi davvero "civile".

2020-04-23

Mercoledì 22 aprile

Io diffido di coloro che non hanno mai provato difficoltà a credere;
vuol dire che non hanno mai capito di ciò che si tratta.
(J. Green, scrittore)

Proprio nella liturgia di domenica scorsa, il Vangelo presentava la figura di Tommaso, che dubitò dell'apparizione del Signore risorto ai suoi compagni e solo quando lo vide di persona credette e disse: "Mio Signore e mio Dio!" (Gv 20,28).
In fondo Tommaso ci è un po' simpatico, poiché in lui ritroviamo la parte non credente che è in noi, ovvero la nostra fatica a credere fino in fondo. Chi non ha mai avuto dubbi, forse non ha percepito che cosa significhi rimanere come dei piccoli mendicanti di fronte all'immensità di Dio: di un Dio morto e risorto, Uno e Trino, Dio e uomo allo stesso tempo.
Quando il dubbio non è radicale, ma nasce dalla percezione della propria sproporzione rispetto a Dio e alla sua grandezza, è un dubbio sano, che ci mette in moto nel ricercarlo, nell'interrogarlo, nel desiderarlo.
Un giorno, sant'Agostino in riva al mare meditava sul mistero della Trinità, volendolo comprendere con la forza della ragione. S'avvide allora di un bambino che con una conchiglia versava l'acqua del mare in una buca. Incuriosito dall'operazione ripetuta più e più volte, Agostino interrogò il bambino chiedendogli: «Che fai?» La risposta del fanciullo lo sorprese: «Voglio travasare il mare in questa mia buca». Sorridendo Sant'Agostino spiegò pazientemente l'impossibilità dell'intento ma, il bambino fattosi serio, replicò: «Anche a te è impossibile scandagliare con la piccolezza della tua mente l'immensità del Mistero trinitario». E detto questo sparì.


Martedì 21 aprile

Un aneddoto su San Francesco di Sales

Un giorno si presenta a San Francesco di Sales un energumeno che comincia a vomitare insulti e a gesticolare quasi volesse venire alle mani. Il santo vescovo di Ginevra, dalla proverbiale pazienza, sta come un albero sotto la pioggia. Sotto quel diluvio di ingiurie, rimane tranquillo finchè l'altro si calma. Quando finalmente tace, san Francesco dice: "Potete dire quello che volete, potete anche cavarmi un occhio, ma vi avverto che, in questo caso, me ne rimane un altro per guardarvi con amore".

2020-04-21

Lunedì 20 aprile

Anche un orologio fermo segna l'ora giusta due volte al giorno
(Hermann Hesse, scrittore)

2020-04-20
  Ci sono momenti della vita in cui percepiamo di avere davvero poco valore. La nostra autostima cade sotto i piedi e rischiamo di cadere in una sorta di  depressione. Non vediamo nulla di buono in noi e crediamo che gli altri non ci diano alcun valore.
  Ma un orologio, anche quando è fermo, segna l'ora giusta almeno due volte al giorno. Non c'è persona nella quale non possiamo trovare qualcosa di buono, delle qualità e dei doni. Incluso me stesso. Convincermi di ciò non è sempre facile, quando tutto sembra andare male. Eppure Dio, che mi ha creato a sua immagine, ha messo una fiamma dentro di me che può essere sempre alimentata e fatta crescere. In questo l'aiuto di persone vicine, buone, che mi incoraggino, è determinante.
  Quando l'orologio non si muove, si muove comunque il tempo e il tempo è di Dio, non è nostro. Perciò lasciamo che il Signore riveli a noi "il tesoro nascosto nel campo" (Mt 13,44) della nostra persona, tutte potenzialità che ci ha donato, le più recondite, e abbiamo fiducia in noi stessi. Ricorda! Dio possiede una grande fiducia in te, anche quando ti sembra di essere "fermo".

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